«VOGLIATE BENE A BARTALI ...»

«VOGLIATE BENE A BARTALI ...» «VOGLIATE BENE A BARTALI ...» raziocinio, mentre qualcuno, in quel momento più forte di lui, lo precedeva. Superato il Rio, Gino ha alzato una volta ancora la testa per guardare il suo avversario. Glielo indicava un grosso nembo di polvere, tre tornanti più sopra. Ha intravisto la maglia bianca e celeste sbucare tra i due blocchi.di neve che segnavano la curva. Più avanti c'era la vetta. Allora io l'ho lasciato, con un augurio. Ho raggiunto Coppi prima della cima. C'erano degli stupidi giovanotti mascherati da indiani tra la folla. Ce n'era uno a testa rasata e gambe nude, avvolto in un lenzuolo, che fingeva di essere Gandhi: si è inchinato al passaggio di Fausto, l'ha salutato al modo indù. E c'era il sole, l'aria frizzante, la neve dei 2300 metri. Coppi si è buttato nella discesa, con Tragella alle spalle, accoccolato nel suo camioncino, che gli gridava: - Giù, Fausto, alla morte! Era il nuovo campione che compiva la gesta da tutti e da tanto attesa, la sua laurea definitiva. Era il Coppi che conosciamo, in una grande giornata. Ha tenuto, tutto solo, per 150 chilometri. Buffalo Bill aveva toccato il tappeto. Ma un attimo appena. Già era in piedi lungo la discesa. Può ancora vincere il Giro, può ancora rovesciare il suo avversario con una cintura maestra. Non è il suo epicedio, non è la sua palinodia che scriviamo. Il vecchio campione è lontano dal tramonto; tuttavia oggi, sui monti del Falzarego e del Pordoi, il cielo si è fatto grigio al disopra della sua testa. Ha annunziato il crepuscolo della sua inimitabile giornata di atleta. Vogliategli bene, ora più che mai. (Trento, 12 giugno) Le care ombre Un adolescente tutto può inventarsi e desiderare: di diventare Sandokan e Montecristo, Lindbergh e Tunney, il centroattacco Petrone e il marciatore Dorando Petri; di visitare la pampa, il Polo Nord, gli abissi marini e la stratosfera; di possedere l'universo, una fionda, una stella alpina. Io ero un ragazzo povero, povero forse anche di fantasia: sognavo di possedere un orologio e di seguire il Giro. Vi dico queste cose perché penso che molti di voi mi capiranno. Dico che non bisogna mai riporre i sogni dell'adolescenza, rinunziarvi significa inaridirsi ed invecchiare. Passano venti anni, magari, e su cento, mille ragazzi che avevano formulato lo stesso desiderio, uno c'è che lo vede realizzarsi. Questa volta il fortunato sono stato io. Il 29 marzo qualcuno mi aveva regalato un orologio tutto particolare; il 24 maggio partivo, con l'orologio al polso, al seguito del Giro. Ero io ragazzo quando mi presentai alla punzonatura. Un signore gentile, il cui nome autentico è Poeta, mi dette un cartellino rosa e una rosa azzurra, di pezza, con una medaglia in mezzo. Era il distintivo della mia investitura di girino. Nella medaglia c'era scritto: Mens sana in corpore sano. Non la meritavo: mi doleva un dente, maledettamente. L'unzione l'ebbi da papà Cougnet: mi strinse la mano e mi disse: - Benvenuto! - Il cuore mi faceva tup-tup. Mi si sfrenò addirittura quando l'indomani mi presentarono un signore eie gantissimo che aveva la pan cetta e un volto tondo, abbron zato, un po' porcino. - Il cavalier Guerra - mi dissero. Mi mancava il terreno sotto i piedi. Sprofondai dall'emozione addirittura, una sera, a Pieve di Cadore. - Il cavalier Binda - mi disse ro. Ecco, Binda, sì, Binda lo rico noscevo: era ingrassato, la collottola leggermente lardosa, ma i lineamenti erano quelli, gli stessi della fotografia fatta al Nurburg-Ring ch'io ritagliai dalla «Gazzetta» e appesi sopra il capezzale suscitando l'ira e i ceffoni della nonna. - Oh, cavaliere! - gli dissi, con. la strozza in gola, con un pani co di cui non avevo mai cono sciuto l'uguale. Così finì la nostra conversazione. Fu al Bar Tiziano di Pieve di Cadore, fu l'ultima cara ombra dell'adole scenza che venne a visitarmi, ancora fresca di carne, ossa, sangue e sorriso sulle labbra Fu l'ultima emozione del genere e la più intensa. L'indomani già aizzavo il mio autista perché superasse la macchina di Binda e la relegasse dietro di noi, nel polverone. Le altre care ombre le trattavo ormai da pari a pari; impertinente e soddi sfatto come un ragazzo a cui sia stata concessa confidenza. Vasco Pratolini trito/ini '.omhardi i le sue dal (Uro»

Luoghi citati: Bar Tiziano, Pieve Di Cadore, Trento