Comizio-sfida del miliardario populista a Little Rock nello Stato di Clinton

Con Perot, nella tana del nemicoComizio-sfida del miliardario populista a Little Rock, nello Stato di Clinton Con Perot, nella tana del nemico «Dicono che voglio comprare la Casa Bianca, ma per voi» Inni, Dixieland, ma il discorso via satellite fa cilecca LITTLE ROCK (Arkansas) DAL NOSTRO INVIATO Niente satelliti nel povero Arkansas, ma un semplice, tradizionale discorso a circa 3000 seguaci. Il solito discorso, del tipo «sono pronto a saltare sul ring» e «dicono che voglio comprare la presidenza coi dollari, ma la voglio comprare per voi». Sulla via di casa verso il Texas, proveniente dalla Florida, Ross Perot si è fermato nella tana di Bill Clinton per carburare il morale dei suoi volontari nello State House Convention Center. Clinton, governatore dello Stato, non è stato ospitale e ha accolto Perot dichiarando livido che «un Presidente così dividerebbe l'America». Il «plutocrate populista», la voce chioccia impastata in un pesante accento texano, ha mostrato ancora una volta di divertirsi un mondo nella parte dello «spoiler», del guastatore. Conclude i suoi bagni di folla, spezzati da urla di «Go Perot Go», vai Perot vai, da inni patriottici cantati da tenori neri, o, come ieri, dal cantante country Willie Nelson e da musichette Dixieland, con domande retoriche tipo: «Vi è sembrato rituale questo incontro?». «Nooo». «Vi è sembrato falso?». «Noooo». «Vi è sembrato genuino e vero?». «Sìiiii». «Allora facciamo in modo che continui così anche dopo novembre». Perot non propaganda contenuti, ma regole di vita, le sue. «E se vi trovaste in guerra, ricordate, vero, che non si lascia mai nessuno indietro? Lo ricordate, eh?». «Sìiiii». «Bene, ma io ci penserei tre volte prima di fare una guerra. Non rischierei a cuor leggero la vita della gente». Il condottiero Perot ammannisce il suo particolare catechismo e la gente risponde con urla, fischi di approvazione e facendo danzare i cartelli cen su scritto «Ross for Boss». I veterani del Vietnam, la tuta mimetica, barbe feroci e sguardi miti da cani bastonati, agitano le bandiere nere con le insegne dei MIA, i Missing In Action, gli scomparsi in azione. «Let's talee America back», Perot ci restituisce l'America. Accade dovunque, era accaduto anche il giorno prima, nel vecchio mercato delle vacche di Orlando, dove, secondo un partecipante alla manifestazione, «è cominciata la politica del 210 secolo». Poco male che, dal punto di vista strettamente tecnico, il «comizio elettronico» non si possa proprio definire un successo. C'erano dei giganteschi camion dietro il palco, con su montati degli enormi paraboloidi. Di lì la voce di Ross sarebbe salita al satellite SBS 6, che l'avrebbe rispedita sulla terra, da cui sarebbe rimbalzata in alto verso il Telstar 302, che, a sua volta, l'avrebbe ridistribuita nelle capitali di altri sei Stati, dove «i volontari per Perot presidente» si erano riuniti. «Dai, Ross, dì qualcosa anche a loro, salutali». Ross stava al gioco: «Sentiamo l'Ohio, ci sei Ohio?», gracchiava nel microfono. In risposta, gli altoparlanti diffondevano un impressionante «aaaaaarrrrgh», come se mille persone insieme avessero aperto la bocca per ordine del dentista. «Alabama, ci sentite?». Niente. Solo un sibilo sordo. «Sabotaggio», ha urlato un «perottiano». Come il loro capo, i «perottiani» credono facilmente alle congiure. Perot parlò apertamente di congiura contro di lui, quando la Casa Bianca gli negò la guida dell'operazione «recupero dei prigionieri di guerra in Viet¬ nam». In quel caso, individuò anche un capo della congiura, un «dottor No», nella persona del vicesegretario di Stato Richard Armitage, di cui Perot, da allora, cominciò a raccogliere foto, secondo lui, compromettenti in compagnia di presunte spie vietnamite. E, venerdì a Orlando, quando, dopo aver citato la moglie Margot, ha percepito la delusione della folla che non la vedeva comparire, Perot ha detto: «Sarò schietto. Lei voleva venire, ma io gliel'ho impedito. Le voglio troppo bene e non voglio che prenda rischi. Voi mi capite, vero? Gira strana roba qua attorno». Le teste della gente interdetta si sono voltate in giro per il capannone delle vacche, come per individuare qualcosa di minaccioso, mentre la banda «dixie» intonava «Here we come California», arriviamo California. Paolo Passarmi Anche nell'Arkansas un trionfo di folla per Perot [FOTOAP]