L'amico italiano di Lautrec geniale naufrago dell'arte
L'amico italiano di Lautrec geniale naufrago dell'arte La riscoperta di Manzi: incisore, mercante, editore L'amico italiano di Lautrec geniale naufrago dell'arte E PARIGI RA amico di ToulouseLautrec e di Degas. Anatole France ne ha fatto il personaggio di un romanzo. E' naufragato nell'oblio come un'ombra: rare citazioni, qualche riga nelle enciclopedie specializzate. Nella mostra al Grand Palais c'è un acquarello in cui Lautrec è raffigurato mentre lo ritrae. Quell'uomo robusto, capelli scuri, naso pronunciato, è Michele Manzi, napoletano trapiantato a Parigi, ingegno versatile, editore, mercante d'arte, incisore, collezionista. Un nipote che vive in Provenza, Michel Ellen-Prévot, ha tirato fuori documenti e cimeli, compreso un paio di occhialetti dimenticati da Lautrec. Ci racconta: «Era il 12 luglio 1901. Toulouse-Lautrec al mattino arriva in casa di mio nonno. Non stava bene, era come se volesse dirgli addio. "Voglio farle il ritratto prima di partire". Chiede da bere, gli danno una bottiglia di rum, poi si mette a lavorare. Terminato il quadro si sente stanco, si addormenta. E quando va via dimentica gli occhiali. Due mesi dopo Lautrec era morto». Ellen-Prévot, scavando tra lettere e testimonianze, si appassiona: «Sto scrìvendo un libro su mio nonno. Uscirà in francese e in italiano». Meritata riscoperta. Il Midi Libre, giornale del Sud, vi ha dedicato un'intera pagina dicendo perfino (con un raffronto di immagini) che Degas, per la sua famosa ballerina curva nell'atto di sistemarsi una scarpetta, ha «copiato» un disegno di Manzi. Verità storica? Orgoglio di famiglia? A Torino un pronipote, Renato Fiore, dirigente industriale in pensione, ci mostra un album con disegni, fotografie, ritagli di giornale. Anche Fiore è andato sulle tracce dell'avo inseguendo il sapore della storia, il documento preciso. Ma chi era Michele Manzi definito un re del tout-Paris alla fine del secolo? Figlio di un cospiratore carbonaro «un po' pantofolaio», Manzi respira l'aria risorgimentale e lascia Napoli per Torino dove studia alla Scuola di Guerra, poi approda a Firenze all'Istituto geografico militare. Presto spicca come un pioniere della fotogrammetria (la rilevazione del suolo con strumenti fotografici) e speri¬ menta nuove tecniche di incisione nella tipografia Barbera. Il suo estro sorprende, lo chiamano a Parigi. Lui scrive al padre: «A te l'oro piace averlo sulle spalline, io lo preferisco nelle tasche...». Eccolo nel 1881 lavorare per Goupil, editore, proprietario della galleria d'arte curetta da Theo Van Gogh, il fratello di Vincent. Sarà una rapida asce¬ sa. Manzi diventa un mago della stampa illustrata, cura periodici (come Le Figaro Illustre) e riproduzioni di maestri del colore, stringe amicizia con artisti. Ma non è solo un tecnico, ha il talento del disegnatore, la sensibilità del collezionista. La sua raccolta di stampe giapponesi è definita «straordinaria». Frequenta Degas, Gauguin, Toulouse-Lautrec, compra quadri che la critica ufficiale disdegna. Unico mistero: alle sue pareti non sono mai apparse opere di Van Gogh. E' socio di Maurice Joyant, il protettore di Lautrec. Generoso, si cela spesso'diètro un tono ironico, come quando dice a un giovane pittore che si lamenta di non avere i mezzi per comprarsi una tela: «Se uno ama la pittura dipinge comunque, non impor- ta quando, non importa dove, anche sulle natiche della sua amante!». I rapporti con Degas? Sono amici, si scambiano ritratti. Ma una volta - riferisce Edmond de Goncourt nel diario - a Degas non piace com'è venuto il suo profilo in un'incisione di Manzi e vuole la lastra per ritoccare il naso. La matrice sparisce, resta una tiratura di sei esemplari: quel profilo compare spesso nelle storie dell'impressionismo. E Henri de Toulouse-Lautrec? C'è una lettera alla madre che dice: «Uno dei miei dipinti sta per essere venduto al signor Manzi, che io conosco già da tempo. Ciò mi obbliga a fargli un prezzo da amico, ma il vantaggio è che il mio quadro sarà visto da un sacco di gente». Commovente è il riconoscimento di Alphonse de Toulouse-Lautrec, dopo la morte del figlio. Ringrazia Manzi per i fiori inviati al funerale, afferma che lui e Joyant hanno avuto un «pensiero tutelare» per Henri: «Lui credeva nei suoi schizzi e voi con lui... Grazie al vostro appoggio ha sfondato, deve a voi l'aver soffocato le chiacchiere malevole. E' vostro figlio per l'incoraggiamento nell'arte». Anche una vena letteraria percorre la vita di Manzi. Scrìve un romanzo satirico, UAcadémie Renaudin, e un saggio tra scienza e fantasia sull'Atlantide. Conosce D'Annunzio: una foto inedita lo mostra con il Vate, il viso ispirato che emerge da un lungo cappotto, a Parigi per la prima de La città morta. La fine lo coglie nel 1915, a 66 anni, tra lampi di guerra. Tramonta la Belle Epoque, naufraga la maison Manzi-Joyant, la collezione finisce all'asta nel 1919 ed è un clamoroso avvenimento che disperde un pezzo, di storia. Commenta Renato Fioré: «Se si volessero rivedére oggi tutte queste opere, bisognerebbe girare i musei di mezzo mondo». Ernesto Gagliano Alpadre: «A te piace l'oro sulle spalline: a me nelle tasche». Alpittore senza tele: «Usa le natiche della tua amante» ditore rec arte Il ritratto' di Lautrec ad opera di' Manzi (del 1901). A sinistra: acquarello del 1900 che raffigura autrec mentre / a sua volta ritrae Manzi I Alpl'ora mAlp«Usdel Il ritratto' di Lautrec ad opera di' Manzi (del 1901). A sinistra: acquarello del 1900 che raffigura Lautrec mentre / a sua volta ritrae Manzi
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