Vendetta serba, Dubrovnik in fiamme

Vendetta serba, Dubrovnik in fiamme Mentre riprende la guerra in Dalmazia continua il bombardamento su Sarajevo allo stremo Vendetta serba, Dubrovnik in fiamme La Croazia ha chiesto a Bush di inviare la Sesta flotta Médecins sans Frontieres: «Sì all'intervento militare» ZAGABRIA NOSTRO SERVIZIO Poche ore di gioia e festeggiamenti per la ritrovata libertà. Poi, alle 12,40 di ieri Dubrovnik ripiomba nell'inferno della guerra. Le truppe serbofederali ritiratesi due giorni fa dalla città dalmata hanno sferrato un furioso attacco contro il centro storico e i quartieri residenziali di Dubrovnik. Decine di razzi sparati dai micidiali katiuscia hanno sventrato i monumentali palazzi sui quali sventolano le bandiere biancoazzurre dell'Unesco. Ma questa protezione simbolica del patrimonio culturale e mondiale non può certamente fermare i cannoni e i mortai di un'armata che da mesi non rispetta le vite umane, infierendo senza pietà contro donne, bambini e vecchi. Sparano all'impazzata, dalle loro postazioni a Sud-Est della città, presso l'aeroporto di Cilipi, ma anche da Trebinje, centro militare della vicina Erzegovina. La Croazia ha chiesto ieri sera agli Stati Uniti di inviare la loro marina militare per proteggere il porto di Dubrovnik dall'attacco dei serbi. In un'intervista rilasciata da Zagabria alla televisione britannica «Channel Four», il ministro degli Esteri croato Zvonimir Separovic ha detto che il sindaco di Dubrovnik gli ha chiesto di trasmettere un appello al presidente Bush affinchè invii navi della sesta flotta, che opera nel Mediterraneo, a protezione della città adriatica. Anche l'organizzazione umanitaria internazionale «Medecins sans Frontieres» ha chiesto un intervento militare straniero nella ex Jugoslavia1, sostenendo che gli aiuti umanitari non sono sufficienti. «L'azione umanitaria non serve assolutaménte a nulla, se non a coprire ciò che sta realmente accadendo, è diventata un'impostura morale» ha detto alla televisione francese Rony Brauman, il presidente della sezione francese dell'organizzazione. :' «Una forza armata deve essere inviata sul posto per intervenire e fermare questo massacro» ha aggiunto. Ieri i militari si sono scatenati come; mai finora. Oltre all'artiglieria pesante Dubrovnik è stata cannoneggiata dalle navi militari stazionate presso il porto di Cavtat. Lì si sono svolte in mattinata le trattative tra l'esercito serbofederale e le forze armate croate, alla presenza degli osservatori della Cee e degli ufficiali dell'Orni. Il gruppo era appena rientrato a Dubrovnik che i federali hanno aperto il fuoco contro la perla dell'Adriatico. In poche ore sono stati centrati la cattedrale, la chiesa di San Biagio, il convento francescano, la chiesa ortodossa, le case dello Stradun, la via centrale della città, ma anche i palazzi di Mokosica, il più grande quartiere periferico. I danni sono incalcolabili. Colonne di fumo nero s'innalzano dappertutto. Le granate sono cadute nei pressi dell'albergo dove sono sistemati gli os- servatoli internazionali, costretti a scendere nei rifugi. Anche i 50 mila abitanti di Dubrovnik e i 18 mila profughi sistemati in città sono al riparo. Non si sa ancora il numero delle vittime, ma quattro persone ferite sono state ricoverate all'ospedale cittadino. A duecento chilometri di distanza un altro dramma, quello di Sarajevo, ma con gli stessi protagonisti principali del macabro scenario. «Colpisci! Colpisci la presidenza! Scarica sulla Bascarsija! Bruciala tutta! Radila al suolo! Colpisci ancora la presidenza!». Gli agghiaccianti comandi del generale Ratko Mladic, capo dell'esercito serbo in Bosnia che ha ottenuto la promozione dopo i bombardamenti di Zara, rimbombano nella città sventrata dalle esplosioni. Ca¬ ptati nella notte tra giovedì e venerdì dalla polizia bosniaca gli ordini del generale, registrati su nastro, vengono trasmessi dalla radio e dalla televisione di Sarajevo. Una voce gelida, senza traccia di emozioni, quella di Mladic mentre si rivolge ai suoi subalterni chiedendo loro consiglio sui nuovi bersagli da colpire. Ma poi finisce col dettare lui stesso le mete preferite. E sono quelle che appaiono nelle terribili immagini degli ultimi crimini compiuti dalle truppe serbofederali contro la capitale bosniaca. Nelle ultime 24 ore non si contano più le vittime. Decine di morti e un centinaio di feriti sono il primo tragico bilancio del violento attacco sferrato dai militari nella notte di giovedì. Palle di fuoco hanno squarciato il cielo fino alla mat¬ tina. In tutta Sarajevo non c'è una casa rimasta intatta. A cominciare dal Palazzo della Presidenza setacciato dalle granate. Le fiamme avvolgono u' Parlamento e gli edifici del centro. Per essere sicuri dei risultati, i militari hanno usato per la prima volta i micidiali katiuscia e i razzi terra-terra nonché i cannoni dal calibro di 155 millimetri, Più dì dìièmiri granate* Sono state sparate contro la città. Tre hanno nuovamente colpito l'ospedale dei bambini, dove sei neonati sistemati in un'incubatrice hanno cessato di respirare. L'apparecchio si è fermato per mancanza di corrente in seguito all'esplosione. Sei piccole vite, stroncate dagli ordini di un generale assetato di sangue, che vengono ad aggiungersi ai bambini uccisi da un colpo di mortaio nel parco giochi della città croata di Slavonski Brod. Oltre ai tre morti sul posto, in seguito alle ferite riportate ieri sono deceduti altri due piccoli, mentre un terzo è in fin di vita in ospedale. A Sarajevo ieri sono rimasti feriti anche due ufficiali delle forze di pace dell'Onu. Le granate hanno colpito il loro quartier generale. Le autorità bosniache hanno ordinato la mobilitazione generale della difesa territoriale di tutti i quartieri della città. Alle 15,23 attraverso la radio locale il colonnello Siber, capo dello Stato Maggiore dei territoriali bosniaci, ha invitato gli abitanti di Sarajevo a scendere nei rifugi. Ingrid Badurina Molte incubatrici senza corrente per le cannonate morti sei neonati Immagini del dramma di Sarajevo A sinistra, un uomo cerca di spegnere un incendio causato dai bombardamenti Sotto, un'equipe medica assiste una donna ferita dal fuoco serbo Qui accanto, un campo profughi musulmano nei dintorni di Fiume [FOTO EPA)

Persone citate: Brod, Bush, Ingrid Badurina, Mladic, Ratko Mladic, Rony Brauman, Zvonimir Separovic