Ratzinger: la Chiesa non è un partito
Ratzinger: la Chiesa non è un partito Il cardinale all'attacco, «nessuno può cambiare i programmi della fede» Ratzinger: la Chiesa non è un partito «Basta con la teologia progressista» CITTA' DEL VATICANO. Joseph Ratzinger spara a zero sulla «teologia progressista» e ammonisce: non bisogna degradare la Chiesa a un partito, che può cambiare i propri programmi come vuole. Il prefetto dell'ex Sant'Uffizio, ora Congregazione per la Dottrina della Fede, commemora i ventanni di «Communio», la rivista teologica nata anche per far sentire una voce diversa da quella della consorella «Concilium» al popolo di Dio, e si toglie non pochi sassolini dalle scarpe cardinalizie. «L'Europa è oggi in procinto di diventare un'altra volta pagana», ammonisce il teologo bavarese «ma anche fra questi nuovi eroi c'è anche una nuova sete di Dio. Certamente essa non viene placata con i sogni di nuove Chiese e neppure con una Chiesa che vuole rigenerare se stessa con discussioni a non finire, la fede non è l'autoaffermazione di alcuni che hanno del tempo da perdere». E le colpe, se di colpe si tratta cominciano da lontano, secondo il porporato: vent'anni e più fa, quando intorno alla «grandezza indiscutibile» dei testi del Concilio Vaticano II «si erano insediati una quantità di spiriti di bassa natura», che con il «pretesto e con l'appiglio della fede miravano a postulati e ad affermazioni che corrispondevano al gusto dei contemporanei ed apparivano stimolanti per il fatto che finora erano stati ritenuti inconciliabili con la fede della Chiesa». Ratzinger si riferisce, senza fare nomi, a un'ampia ala della teologia mondiale, e giunge fino a definire «eretici» questi suoi colleghi, accusandoli di «offrire dei fondi di magazzino liberali come vera, nuova teologia cattolica». Joseph Ratzinger, prima di diventare cardinale di Monaco, era stato uno dei teologi del Concilio, e dell'ala cosiddetta «progressista», da cui si è staccato dopo il 1968. Erano gli anni in cui la teologia «la si valutava unicamente secondo le categorie formali dell'alternativa fra conservatore e progressivo. Chi poteva essere incasellato come conservatore veniva per ciò stesso tacciato di meschinità e non occorreva ricorrere ad altri argomenti». Non è difficile scoprire un accento e un ricordo personale, in queste parole. E subito dopo il cardinale va all'attacco di una delle formule più usate nel dopo-Coniclio, e ancora in vigore. «La formula "Popolo di Dio" - afferma - venne sempre più concepita nel senso di una so¬ vranità popolare, come un diritto a una determinazione comunitaria democratica di tutti riguardo a ciò che doveva essere e fare la Chiesa. Dio rimase, in simili condizioni, fuori gioco». «La Chiesa viene degradata al livello di un partito» accusa il cardinale. «In simili concezioni i testi del Concilio vengono scambiati con programmi di partito e i Concili scambiati con sedute partitiche». I partiti possono cambiare il loro programma, sostituirlo con uno nuovo; «ma la Chiesa non ha il diritto di cambiare la fede e di aspettarsi a un tempo dai credenti di rimanere con essa. «I concili non possono quindi escogitare ecclesiologie o altre dottrine, escogitarle e poi rigettarle». Sono accuse molti simili a quelle che pronunciava Marcel Lefebvre. Il Prefetto conclude la sua relazione con una serie di domande brucianti per i teologi: «Abbiamo veramente inviato in un mondo affamato la parola della fede ai cuori? 0 non siamo forse rimasti all'interno del circolo di coloro che nella loro lingua da specialisti si gingillano gettandosi la palla l'un l'altro»? Marco Tosarti Il cardinale Joseph Ratzinger
Persone citate: Joseph Ratzinger, Marcel Lefebvre, Ratzinger
Luoghi citati: Citta' Del Vaticano, Europa
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