In Giro senza fantasia nell'Italia più vera
In Giro senza fantasia nell'Italia più vera TV E SPORT In Giro senza fantasia nell'Italia più vera gregario di lusso del capitano. Fa invece un po' d'effetto vedere che ormai i Giri possono seguirli in moto anche quelli come Gianni Cerqueti, un giovane fine dicitore preso a prestito dal calcio. Algido nella sostanza, concitato nei modi, come tutti i pulcini del vivaio misto Rai-Fininvest. Infine Ivana Vaccari, addetta al «colore» (condoglianze). Eppure il vecchio Giro marcia accanto a questo circense d'oggi, come un anziano suiveurs un po' defilato. Viaggia a quaranta all'ora, accompagna i corridori attraverso i luoghi di tutti i giorni - una strada di montagna, una curva di paese - che la fatica trasfigura in paesaggi magici. Riesce perfino, ma solo qualche volta, a oscurare il marchio dello sponsor, a far tacere l'assessore di turno e il direttore sportivo preoccupato di omaggiare l'onorevole Formigoni. E' questo il Giro che ci consente una delle ultime avventure televisive. Che permette ogni pomeriggio a due milioni di spettatori di evadere per un paio d'ore dall'Italia piccola e mostruosa dei telegiornali-telequiz-talk show e di tuffarsi in quella reale. Migliore, peggiore, diversa. Certo, qualcuno potrebbe raccontarcele queste cose, durante il viaggio. Invece di limitarsi a leggere le classifiche, intervistare i ciclisti alla partenza e all'arrivo, presentare la tappa del giorno dopo con la cartina altimetrica. Cose buone e giuste. Ma, tutto qui? Non si potrebbe avere un guizzo di fantasia, solo uno? E dire che li invidiamo tanto, massi, i De Zan e Santini e Vaccari e perfino il cerqueto da sellino. Perché questi al Giro ci sono e lo seguono dal cuore della carovana. E a noi, miseri, tocca invece farcelo raccontare da loro. Curzio Maltese >sej DOMENICA scorsa il Giro, alla partenza da Genova, ha osservato un minuto di silenzio per Giovanni Falcone. Il campionato di'calcio, all'ultima giornata, no. Un minuto di silenzio è niente, si capisce. Ma la vicenda serve a capire le differenze tra due grandi spettacoli di sport. Con tutto il suo traballante impero di tubi e assessori, megafoni e tendoni, il Giro rimane uno specchio d'Italia, un romanzo popolare. Il Giro ha sofferto la guerra e il dopoguerra, ha «fatto il '68», l'autunno caldo, i sit-in ecologisti, i cortei di cassintegrati, i cortei contro la mafia. E' stato una delle grandi avventure della televisione dei pionieri. Come «Lascia o raddoppia?» e «Campanile Sera» ha riunito il Paese nei bar, nelle case, nelle piazze; ha fatto scoprire l'Italia quando non esisteva il turismo di massa. C'era una volta il Giro di Zavoli, il Processo alla Tappa, uno dei rari esempi di teatro nazionalpopolare (ma davvero). Allora, si tifava per Adorni o Motta, belli come signori sui pedali, nemmeno sudati. Oppure per il grande Gimondi. Io tenevo per Vito Taccone, che aveva pessima fama. Il Franti della compagnia, il lupo del branco: orgoglioso, cattivo e perdente. Rappresentava il riscatto da una vita di gregario. Oggi, più o meno: Chiappucci. E adesso, cos'è diventato il Giro? Le prime tappe ci hanno regalato scampoli d'epica (d'epoca). Il fascino di Abdu l'uzbeko, l'antico umile Leoni, il bello effimero Marie, l'amerikano Sciandri, il regale Indurain. In attesa dei nostri Chiappucci e Chioccioli. I personaggi del ciclismo son sempre belli. Si è involgarito il paesaggio, una Italia più ricca e distratta. Si sono inaridite le cronache. Adriano De Zan, s'intende, è molto professionale. Un virtuoso dell'ordine d'arrivo. Giacomo Santini è il
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