GUGLIELMO TELL scopre l'Europa

GUGLIELMO TELL scopre l'Europa Sarà la Svizzera la tredicesima stella dell'Unione? Choc e polemiche interne GUGLIELMO TELL scopre l'Europa CMILANO UGLIELMO Teli diventerà mai cittadino d'Europa? Sarà la Svizzera a —I disegnare la tredicesima stellina gialla nel magico cerchio della bandiera dell'unione? E se questo dovesse accadere, la Svizzera sarà ancora la Svizzera? Domande diffìcili, scioccanti. E difatti la Svizzera è, in certo senso, sotto shock. Ha appena finito di festeggiare i 700 anni della costituzione e, da un giorno all'altro, si trova proiettata verso l'Europa. Il referendum di domenica 17 maggio ha detto sì al Fondo Monetario e, il giorno successivo, il governo di Berna ha deciso di avviare trattative per l'ingresso nella Comunità. E' vero, il cammino è lungo, l'ultima parola spetterà ancora ai referendum. Ma, che si voglia o no, ìa partita è cominciata. E c'è chi prevede che, dopo il cioccolato e gli orologi, la Svizzera esporterà un altro importante simbolo: la formula, unica, di una società multirazziale che da 700 anni, pur tra odi selvaggi, riesce ad essere una nazione. Altrettanto stupiti sono gli europei, soprattutto i giovani che non hanno memoria della grande Svizzera neutrale, dove in tanti trovarono rifugio nell'ultima guerra, salvandosi da persecuzioni razziali e politiche. Per i più giovani la Svizzera è il Paese delle banche e del segreto bancario, della gelosa protezione della propria diversità che, spesso, diventa diffidenza un po' patetica. Ma il segreto è caduto, la Svizzera è nuda, anche se, come dimostra il caso delle tangenti a Milano, il sistema bancario cerca di restare fedele ai suoi clienti. Non a caso il giudice Di Pietro è andato ieri a Lugano per tentare di sbloccare il «segreto» di alcuni conti. Partita difficile, quella iniziata dal governo di Berna, piena di trabocchetti. Da giocarsi all'insegna di una estrema prudenza. Perché di mezzo non c'è solo il futuro della Svizzera, ma la suscettibilità del popolo sovrano e l'ostilità di molti. A cominciare dalle potentissime lobby dell'Unione dei contadini e dell'Unione delle arti e dei mestieri, vessillo dei commercianti. Non è un caso se Heinz Hauser, professore di economia a San Gallo, autore di studi sui vantaggi di una Svizzera «europea», e personalmente favorevole alla Cee, osserva: «Se la maggioranza degli svizzeri si esprimerà negativamente contro l'ingresso nella Comunità, a mio avviso i vantaggi economici non giustificherebbero da soli questo ingresso. Un no alla Cee sarebbe certamente una cosa negativa. Tuttavia non catastrofica, non tale da dover andare contro il sentimento pubblico». Eppure Hauser ha previsto, per una Svizzera membro Cee, vantaggi consistenti che, a inte- grazione conclusa, si tradurrebbero in un netto miglioramento del tenore di vita dei cittadini elvetici. Verso l'Europa premono i grandi gruppi economici, rappresentati nel consiglio del Vorort (una sorta di Confindustria elvetica), come conferma Florent Roduit che spiega: «Entrare nella Cee significherà per l'industria svizzera modifiche profonde. Ma la libera circolazione le consentirà di accedere a quegli specialisti di cui, ora, è carente». A favore dell'Europa sono le grandi banche e le assicurazioni, e giocano le cifre delle esportazioni (dirette per il 60% verso la Cee) e delle importazioni, che per l'80% provengono dalla Cee. La congiuntura negativa degli ultimi anni non ha comunque risparmiato la Confederazione, che ha importato dai vicini l'inflazione, salita dal mitico 1% al 4-5%. Ma non sono solo gli aridi numeri a parlare per l'Europa. A fianco dei signori dell'economia, questa volta si battono letterati, economisti, filosofi e storici. Spiega Wolf Linder, docente dell'Istituto di politologia di Berna: «Negli ultimi quattro anni, l'atteggiamento verso l'Europa è cambiato. Nonostante le ricerche indichino che solo il 45% degli svizzeri è decisamente per il sì, il governo ha dato un segnale importante. Nell'Europa per anni siamo stati osservatori. Oggi capiamo che la cosa ci concerne». Per la Svizzera, gelosissima della sua sovranità, la scelta è densa di angosce. «Ma - spiega Linder - la sovranità nazionale ormai è un'illusione. Molti temono di perdere l'identità, viceversa nell'Europa noi svizzeri possiamo portare modelli posi- tivi. Come il federalismo, la democrazia diretta, il rispetto delle minoranze. Siamo un Paese con quattro lingue, due religioni, culture diversissime. In qualche modo un Paese artificiale che ha sviluppato un sistema di coabitazione dove tutti, anche i piccoli gruppi, partecipano al potere». Non è forse l'Unione Europea una comunità multiculturale, destinata a diventare, con l'Est, multirazziale? Ad essa la piccola Svizzera può fornire soluzioni collaudate. Conferma Linder: «E' una opportunità che non possiamo lasciarci scappare». Anche Jean Starobìnski, mitico maitre à penser, nel discorso per il Settecentesimo della Confederazione scrisse: «Il passato della Svizzera è tutt'altro che idilliaco, ma il principio dell'arbitraggio è rimasto saldo. Oggi, in un'Europa nella quale si risvegliano i conflitti interetnici, in un mondo in cui i nazionalismi regionali o tribali restano virulenti, gli svizzeri possono proporre le loro esperienze nell'arte di convivere rispettando le differenze». Gli scrittori elvetici, primo fra tutti Peter Bixel, erede di Max Frisch e di Dùrrenmatt, sono per l'Europa, come il teologo dissidente Hans Kùng. E molta parte del mondo accademico: i laureati rischiano di non vedere riconosciuti all'estero i loro diplomi, gli studenti di non poter accedere agli scambi. La Confederazione ha marciato finora fianco a fianco all'Europa con l'aiuto di 150 convenzioni, ma già da tempo il presidente della Cee, Jacques Delors, ha lasciato capire che in futuro non sarà più possibile. L'opposizione però resta forte, annidata soprattutto nei Cantoni della Svizzera interna di lingua tedesca e nel mondo contadino che teme di veder sfumare quelle «sovvenzioni paesaggistiche» che offrono alla vista prati smeraldini e mucche al pascolo, e si mangiano quasi un quinto delle spese dello Stato. E' vero, le sovvenzioni potranno continuare poiché non sono dirette ai prodotti, ma «non fidarsi è meglio». Potentissima minoranza, quella contadina, nonostante rappresenti il 5% della popolazione e contribuisca con meno del 5% alla ricchezza del Paese. Ma in Svizzera, chi non ha almeno un nonno contadino? Ugualmente influenti e contrarie le categorie del piccolo commercio; divise le associazioni dei lavoratori, che paventano l'invasione di manodopera straniera (che già oggi rappresenta il 25-27% degli occupati), riduzioni di salari e aumenti dei mutui per la casa. Perplessi i verdi, che intravedono la caduta dei vincoli al territorio, il via libera alla speculazione e, in termini più generali, una Svizzera proiettata verso ritmi da «Tempi Moderni». Nonostante tutto questo i sette saggi, ossia i sette ministri che formano il Consiglio federale, hanno deciso il grande passo, a maggioranza. Un vero capolavoro del presidente e ministro degli Esteri René Falber, socialista ed europeista convinto, e del ministro dell'Economia e sindaco di Losanna Jean-Pascal Delamuraz (radicale). I quali sono riusciti a portare dalla loro parte il renitente Flavio Cotti (de, ministro dell'Interno) e due dissidenti: Adolf Ogi (ministro dei Trasporti e rappresentante della Unione democratica di centro, partito dei contadini e commercianti), e il radicale Raspar Villiger (Difesa). Lasciando in minoranza Arnold Koller (Giustizia, de) e Otto Stich (socialista, Finanze). «A dicembre gli svizzeri sono chiamati a un referendum sull'adesione allo spazio economico europeo, una sorta di prima tappa che non tocca qé l'agricoltura, né il fisco, né la neutralità» spiega, all'Ufficio per l'integrazione europea di Berna, Urs Ziswiler. «E' importante vincerlo. Dobbiamo spiegare molto bene alla gente che questo spazio è una cosa diversa dall'ingresso nella Cee. Se al referendum prevarranno i no, il cammino verso la Cee resterà, per il momento, sbarrato». Al grido: «No alla satellizzazione della Svizzera», affila le armi contro il referendum di fine anno il potente paladino dell'«apartheid», Christoph Blocher, padrone delle industrie chimiche di Ems, uno dei 200 uomini più ricchi della Svizzera. Self-made man cinquantaduenne, figlio di un pastore protestante, troppo povero per diventare contadino, Blocher studiò legge, e fu la sua fortuna. Ma, dicono i nemici, «nell'animo è rimasto contadino». Sul fronte opposto, europeista è invece Stephen Schmidtheiny (dinastia del cemento), primo industriale del Paese e padrone anche della Swatch. Ed europeista appassionato è Jacques Pilet, lo «Scalfari di Losanna» che, per sostenere l'ideale, ha fondato un anno fa «Le Nouveau Quotidien». Nella terra di Guglielmo Teli, la battaglia d'Europa è cominciata. Sarà dura e, certamente, pittoresca. Valeria Sacchi | Contrarie le potenti lobby contadine e artigiane A favore i grandi gruppi finanziari, le assicurazioni e le banche. Al loro fianco si battono letterati, economisti e storici | pena anni giorttata um di tto sì orno erna ative tà. ungo, ncora gsidentRené Fpeista dell'Ecsanna p Di fianco, lo scrittore Max Frisch. A sinistra Jean Starobìnski