Addio alla dieta mediterranea di Pier Paolo Luciano
Addio alla dieta mediterranea Gli italiani rinunciano a pane e pasta per pasti più ricchi di grassi e proteine Addio alla dieta mediterranea Cresciuto il consumo di carne, formaggi, pesce e uova Prodotti sintetici e pillole nel «piatto» del Duemila ROMA. L'Italia Paese dei maccheroni resterà soltanto un ricordo. La pasta non abita più qui. E neanche il pane. In meno di mezzo secolo gli italiani hanno cambiato abitudini a tavola. Pasta e pane hanno ceduto il posto a carne e uova, formaggi e pesce. Anche il bere ha un altro gusto: meno vino e più birra. E nel futuro punteremo sui prodotti dietetici, sia naturali, sia sintetici. Con buona pace della dieta mediterranea, qui nata e rilanciata con successo nelle cucine di mezzo mondo come modo sano di alimentarsi. E' l'identikit dell'italiano a tavola tracciato dall'Istituto nazionale della nutrizione e presentato in un convegno promosso dalla neonata associazione «Cibum capere», che si propone di diffondere una maggiore cultura alimentare. Spiega Eugenio Cialfa, che dell'istituto della nutrizione è il direttore: «Negli Anni Cinquanta ogni italiano consumava, in media, nei dodici mesi, 41 chili di pasta e 110 di pane. Oggi queste cifre si sono ridotte per la pasta (31 chili) e quasi dimezzate per il pane (69). Mangiamo invece molta più carne il consumo è salito da 27 a 49 chili prò capite in un anno - e gustiamo di più anche i formaggi: dai 7,5 chili degli anni cinquanta siamo saliti a tredici». Preferiamo dunque l'alimentazione tipica dei Paesi anglo- sassoni, ricca di grassi e di proteine. Anche al Sud, che si divide con la Grecia la paternità della dieta mediterranea. Nelle regioni meridionali il consumo medio pro-capite di pasta è diminuito di 40 chili: da 121 a 80, quello di pane di cinque: da 49 a 44. Al Nord è andata ancora peggio: la pasta è scesa da 88 a 40 chili e il pane da 58 a 25. Ma sono soprattutto le regioni centrali ad aver tradito due degli ingredienti più tradizionali della tavola italiana: il consumo di pasta è sceso tre volte (da 110 a 40 chili), dimezzato quello del pane (da 72 a 35 chili). La carne ha conquistato nuovi palati soprattutto nel Mezzo¬ giorno (dai 17 chili degli Anni Cinquanta agli attuali 46). Al Nord è cresciuta, ma di poco (da 40 a 45); il Centro, invece, è diventato la zona di maggior consumo: 55 chili pro-capite (40 anni fa erano 32). Altra novità: l'olio di semi ha superato quello di oliva. Cifre, dati che fanno dire a Cialfa che in Italia si va sempre più verso «un'omologazione dei consumi». «La fortissima caratterizzazione territoriale a tavola di mezzo secolo fa, non esiste più. Tutti mangiano le stesse cose, al Nord come al Sud». Cambia anche il modo di bere. Negli ultimi dieci anni, gli italiani hanno ridotto il consu- mo di vino, scendendo dagli 86 litri bevuti in media neh'81 ai 61 di dodici mesi fa. Nello stesso periodo il consumo di birra è passato da 18 a 24 litri. E sulla tavola compare con sempre più frequenza, soprattutto al Nord, l'acqua minerale. Cresce anche il consumo di succhi di frutta, aranciate e cole, a scapito delle bevande alcoliche. E nel Duemila, spiega Vittorio Silano, direttore generale per l'igiene degli alimenti al ministero della Sanità, ci nutriremo con i prodotti usati oggi nell'alimentazione di neonati, sportivi, obesi e donne in gravidanza: prodotti dietetici, sia naturali, sia sintetici. Chissà se a questi cambiamenti nei gusti si accompagnerà una maggior attenzione negli acquisti. «Oggi gli italiani sono grandi spendaccioni e spreconi - conclude Cialfa -: comprano più alimenti del necessario finendo così, il più delle volte, con il buttare notevoli quantità di pane, latte, verdura o frutta. Nel '91 la spesa dei consumi alimentari è stata superiore ai 170 mila miliardi raggiungendo un livello generale medio che è superiore a quelle che sono le esigenze nutrizionali». Con buona pace di chi soffre la fame. Pier Paolo Luciano L'ALIMENTAZIONE DELL'ITALIANO
Persone citate: Italia Paese, Spiega Eugenio Cialfa, Vittorio Silano
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