Una fotocellula ha scatenato l'inferno di Gianni Bisio
Una fotocellula ha scatenato l'inferno Una fotocellula ha scatenato l'inferno Trappola elettronica nella nuova ricostruzione dell'attentato PALERMO. Una micidiale precisione, sul filo del millesimo di secondo, è l'elemento di spicco dell'agguato al giudice Falcone. Se stupisce l'impiego di una grande quantità di esplosivo (gli esperti non si sono ancora pronunciati) e meraviglia la sua sistemazione come un classico «fornello da mina» nella canalina dell'acqua di scolo sotto il rilevato dell'autostrada, ancor più sorprende la tempistica dell'operazione. L'obiettivo, il corteo delle tre auto di Falcone e della scorta, era in movimento per di più ad una velocità compresa tra i 130 e i 160 km l'ora. Eppure gli attentatori hanno colpito con precisione cronometrica: la prima auto, della scorta, è stata sbri¬ ciolata e lanciata lontano, quella del giudice gravemente danneggiata nella parte anteriore, la terza ha subito meno l'impatto dell'onda d'urto. Chi ha ricordato le analogie con l'attentato all'ammiraglio Carrero Bianco, il 20 dicembre del '73 a Madrid, dimentica che, in quel caso, si era colpita un'auto ferma, nel punto in cui veniva parcheggiata ogni mattina. Quella di Falcone, invece, era in piena velocità. Percepire a 200-300 metri di distanza e in posizione non ortogonale alla direzione del mezzo il momento esatto del passaggio sul punto minato è difficile. Tanto più che sia l'operatore, sia il radiocomando, sia il circuito elettrico che provoca l'esplosione abbisognano di un certo tempo per il loro lavoro. Si tratta di manciate di millesimi di secondo, ma occorre ricordare che in un secondo un'auto lanciata da 130 a 160 km/h percorre da 36 a 44 metri. Il tempo di reazione della «vedetta», nella migliore delle ipotesi (individuo freddo, molto preparato e con una valutazione visiva perfetta) non può essere inferiore ai 200-300 millisecondi. Il radiocomando, per evitate scoppi casuali dovuti a interferenze, deve essere dotato di un circuito selettivo codificato con due o tre «toni». Per ciascun tono occorrono circa 70100 millisecondi. Più veloce, praticamente istantaneo, è il circuito elettrico innescante (1- 2 millisecondi), ma ne occorrono altri 10-20 (a seconda dell'esplosivo) perché la deflagrazione metta in movimento la massa che copre la mina, in questo caso il rilevato dell'autostrada e i veicoli che la stanno percorrendo. Totale: almeno mezzo secondo se l'osservatore fosse perfetto come un meccanismo automatico. Si affaccia allora l'ipotesi che la «vedetta» abbia soltanto attivato con un radiocomando la micidiale trappola quando ha visto che stava arrivando a 2300 metri il piccolo corteo delle auto del magistrato. L'esplosione sarebbe invece stata determinata all'istante da una fotocellula piazzata sul punto della carica, o pochi metri prima, at¬ tivata proprio dal passaggio dell'obiettivo dell'attentato. Gli investigatori stanno setacciando l'area dell'esplosione proprio alla caccia di frammenti della trappola. L'ipotesi «fotocellula» presuppone un'equipe di tecnici capaci e un lavoro preparatorio abbastanza lungo e accurato. Ma i falsi addetti dell'Anas hanno avuto tutto il tempo per preparare la trappola. Nessun problema per l'esplosivo, con ogni probabilità civile, da demolizione: in Italia, ogni anno, se ne consumano 20 mila tonnellate e il mercato clandestino, soprattutto in Sicilia, Sardegna e Toscana, è alquanto fiorente. Gianni Bisio
Persone citate: Carrero Bianco, Falcone
Luoghi citati: Falcone, Italia, Madrid, Palermo, Sardegna, Sicilia, Toscana
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