La dura replica di Schemmari «Condanna di propaganda» di P. Cor.
« E adesso devo uccidermi? » « E adesso devo uccidermi? » La dura replica di Schemmari «Condanna di propaganda» MILANO. «La sentenza che mi condanna è un atto di propaganda. L'accusa ha fatto carte false per dimostrare una cosa che non esiste. Sono un perseguitato. Spero che adesso non mi chiedano di suicidarmi». Usa parole dure Attilio Schemmari, 48 anni, ex stella del socialismo meneghino, condannato a un anno e 8 mesi per abuso di atti d'ufficio, per la «Duomo Connection». Nato a Ragusa, arrivato a Milano nel '63, giornalista, politico a tempo pieno, navigatore solitario nei labirinti correntizi del garofano meneghino, Schemmari è stato segretario cittadino del psi dal '71 al '73, membro del comitato centrale nel 1975. Eletto consigliere comunale nel 1980, è entrato nella giunta di Tognoli, poi in quelle guidate da Pillitteri, fino a quel fatidico 1990 quando ha accettato di diventare assessore all'Urbanistica, la poltrona da cui si gode ottima vista sul gran fiume di mattoni e appalti, ma anche quella che brucia di più. Prima dei terremoti giudiziari, era indicato dai più come il probabile successore di Pillitteri. Oggi, dimessosi da ogni incarico, gli sono rimaste solo la seggiola di consigliere comunale e parecchia amarezza. Resterà in Consiglio? Dovrei dimettermi? Una cosa per volta, accidenti, se devo pure uccidermi ditemelo. Mi hanno distrutto. Mi hanno condannato senza prove. Ho lasciato tutto. Non so neanche che razza di lavoro riuscirò a trovare... Nessuna idea? Spero di tornare a fare il giornalista all'Avanti! I giudici hanno creduto alla telefonata intercettata di Carollo che dice: «Ho dato i 200 milioni a Schemmari». Carollo in quella telefenata dice tante altre cose: che si sentiva tutti i giorni con Pillitteri; che sapeva di un magistrato corrotto; che aveva rapporti con il presidente dell'ordine degli architetti. Ma i giudici hanno dato credibilità solo a quella frase. Secondo lei perché? Perché, dopo aver imboccato la strada sbagliata, l'accusa non ha avuto il coraggio di tornare sui suoi passi. Le sembra abbastanza per giustificare una persecuzione? Mi attengo ai fatti. Mi si accusava di aver preso i 200 milioni per accelerare una lottizzazione. Ho chiesto di venire giudicato per questo. E invece no. Il procedimento è finito nel processo della Duomo Connection, in cui si parla di mafia, droga, riciclaggio. Questo ha fatto sì che io venissi processato, condannato, infangato dai quotidiani. Le sentenze non si fanno sui giornali. Però i giornali creano il clima e l'aspettativa. Per questo dico che è una condanna propagandistica. Sono sicuro che in appello, quando l'atmosfera si sarà rasserenata, verrà riconosciuta la mia totale estraneità. Oggi si è scritta una pagina molto brutta per la giustizia. Mi chiedo se esistono ancora dei livelli di garanzia per gli amministratori pubblici o se siamo tutti in babà di gente come Carollo. Lei non è andato in aula alla lettura della sentenza, perché? Avevo altro da fare. Se l'aspettava la condanna? Sì, direi proprio di sì. [p. cor.]
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