Due killer in agguato sulla collina di Francesco La Licata

Due killer in agguato sulla collina Palermo, i sicari di Cosa Nostra hanno atteso nascosti tra gli ulivi il corteo di auto blindate Due killer in agguato sulla collina Gli investigatori indagano sulle carte di Salvo Lima Una telefonata: è un regalo per le nozze diMadonia PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Erano due i guastatori di Cosa Nostra che hanno premuto il pulsante assassino. Se ne sono stati nascosti per lungo tempo fra gli alberi di ulivi della collina che costeggia l'autostrada. Si chiama Montagnalonga quel cucuzzolo e i palermitani lo conoscono da tempo: da quando, era il maggio '71, un Dc-9 dell'Alitalia vi si schiantò contro facendo strage di 140 persone. Torna alla cronaca, Montagnalonga. Una carneficina di mafia che ha lasciato sull'asfalto sventrato dall'esplosivo 5 cadaveri: il nemico giurato di Cosa Nostra, Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e tre agenti della scorta, Antonio Montinari, Vito Schifani e Rocco Di Cillo. Hanno avuto pazienza i due assassini. Chissà per quante ore se ne sono stati acquattati tra gli alberi stringendo nelle mani il terribile strumento di morte. Uno aveva il compito di osservatore: doveva cioè stare all'erta per segnalare l'arrivo del corteo delle blindate. Di certo aveva una ricetrasmittente o, come forse è più semplice, un telefono cellulare. Solo così i complici inviati all'aeroporto di Punta Raisi potevano avvertire che l'aereo di Falcone aveva toccato la pista e che, quindi, la preda si avvicinava. L'altro killer, lo specializzato fuochista, non ha dovuto far altro che schiacciare il pulsante. Eppure non è lavoro facile. Non è operazione che possa essere affidata a chiunque. Bisogna essere tempisti e decisi, senza tentennamenti. Il sicario si è facilitato il compito costruendosi una sorta di «mirino»: ha tagliato i rami dell'albero prescelto come nascondiglio e osservatorio. Un taglio netto e continuo, in modo da formare una linea perpendicolare all'autostrada. Una sorta di traguardo che era anche l'attimo del clic micidiale. Tutto questo hanno potuto ricostruire gli uomini dello staff investigativo che da tre giorni lavora al «caso Falcone». I poliziotti hanno individuato il luogo di sosta dei due killer: evidenti le tracce lasciate. Impronte, rifiuti e tante cicche di sigarette. Un posto che è osservatorio ideale, a non più di trecento metri dalla piazzola dello svincolo di Capaci e dal cunicolo dove era stato collocato l'esplosivo e, forse la stessa mattina di sabato, il detonatore. Che tipo di esplosivo? Quasi certamente tritolo adatto alle cave. Fer questo l'attenzione della polizia si è concentrata sui cantieri di tufo che operano tra Capaci e Isola delle Femmine. Luoghi familiari alla mafia palermitana, dove l'esplosivo può essere trovato facilmente. O rubato sotto l'occhio complice di guardiani distratti, per questo si sta facendo il censimento delle denunce di furto d'esplosivo presentate in zona. Non è un lavoro semplice, quello degli investigatori. A renderlo più difficile, per am- missione degli stessi detectives, contribuisce un rincorrersi sempre più folle di voci che di volta in volta si cristallizzano in presunte «notizie»: ora può trattarsi di assassini in aeroplano, ora di cariche esplosive disposte in serie. L'ultima iperbole nasce da una dichiarazione dell'ex giudice Carlo Palermo al Tg3: «Una delle chiavi per comprendere la strage di Capaci è nelle carte di Salvo Lima, sequestrate dai magistrati». Secondo l'agenzia «Italia», l'ex magistrato ha aggiunto che i giudici palermitani erano in procinto di andare negli Stati Uniti ad interrogare i pentiti Tommaso Buscetta e Francesco Marino Mannoia, sulla scorta delle carte sequestrate a Lima. Ma tutti sanno che la decisione di risentire Buscetta e Mannoia non era dovuta al contenuto delle carte trovate nei cassetti di Salvo Lima. Era, semmai, l'estremo ed improbabile tentativo di convincere i pentiti a raccontare ciò che si sono sempre rifiutati di verbalizzare, a proposito di mafia e politica. L'inchiesta sulla strage di Capaci va avanti a piccoli passi. Ancora una volta, al centro dell'attenzione dei poliziotti e della magistratura c'è il clan Madonia, la potente «famiglia» di Resuttana Colli. La polizia attribuisce molta importanza alla telefonata anonima pervenuta ài Giornale di Sicilia. «L'omicidio di Falcone è un regalo per le nozze di Salvatore Madonia». Un controllo ha potuto accertare che il matrimonio in questione, tra il figlio di don Ciccio e Angela Di Trapani, figlia di Salvatore, boss di Capaci, è avvenuto sabato mattina, giorno della strage, nella cappella dell'Ucciardone. Unico maschio presente, lo zio della sposa. Non c'era Aldo, fratello minore dello sposo, anche se libero da obblighi giudiziari. Il rebus è stato sciolto lo stesso giorno. Aldo aveva disertato la cerimonia, a suo dire, per recarsi a Napoli con la moglie. A che fare? «A trovare l'avvocato», ha risposto alla polizia. Ma il legale non c'era, era sabato, ed allora il giovane aveva preferito mangiare il pesce a Napoli e tornare in serata. Proprio il giorno del matrimonio del fratello? A questa domanda non si è ancora trovata risposta. La polizia ha interrogato Aldo Madonia per alcune ore, poi lo ha rilasciato. Stessa routine per gli altri maschi del clan: parenti ed amici. Ma tutti hanno un alibi a prova di giudice. Proprio come Aldo, che il giorno della strage si trovava a settecento chilometri da Palermo. L'inchiesta fa registrare già le prime polemiche tra magistrati. Nulla di ufficiale, malumori e critiche a mezza bocca. Viene rimproverato al procuratore di Caltanissetta, Salvatore Celesti, titolare dell'indagine, di aver rifiutato troppo frettolosamente l'apporto degli esperti romani del Cis, la «scientifca» dell'Arma, preferendo gli specialisti siciliani. Si dice che lo stesso procuratore abbia avuto da ridire, inoltre, sulle iniziative di pronto intervento del collega della procura di Palermo. In particolare è sembrato inadeguato che a cercare eventuali scritti di Giovanni Falcone, nella casa di via Notarbartolo, il procuratore Pietro Giammanco abbia man¬ dato un magistrato che solo da un paio di settimane si occupa di penale. A Roma, infine, per porre i sigilli nella stanza dell'ufficio ministeriale di Falcone sarebbe stata notata l'assenza di giudici siciliani. Il nervosismo serpeggia e le contestazioni si moltiplicano: al procuratore Giammanco viene rimproverato dai suoi collaboratori una promessa mancata. Aveva detto che il «caso Lima» sarebbe stato affidato ad un pool di sostituti che si sarebbero avvicendati. Il fascicolo, invece, sembra sia rimasto a lui e a pochi fedelissimi. Non sarà facile preservare l'inchiesta sulla strage di Capaci dal peso delle polemiche passate. Anche se i magistrati palermitani saranno esentati. Le indagini le farà Celesti, due giudici di Catania, due di Messina e il Gip Nello Bongiorno che, dopo l'assassinio di Falcone, ha rinunciato al trasferimento richiesto per sguarnire l'ufficio di Caltanissetta. Francesco La Licata Il cratere provocato dall'esplosione di mille chili di tritolo sull'autostrada Palermo-Trapani