Il Fondo monetario tifa per l'ex impero russo

Il Fondo monetario tifa per l'ex impero russo «Aiutare l'Est conviene all'Occidente» Il Fondo monetario tifa per l'ex impero russo Le decisioni del vertice di Lisbona Uno sforzo da 145 miliardi di dollari LISBONA DAL NOSTRO INVIATO Aiuti ai resti dell'Urss, atto secondo. Ma nella convinzione, questa volta, che chi aiuterà la Russia aiuterà se stesso. Dopo lo sforzo umanitario dei mesi scorsi, rivolto alle prime necessità, la Comunità internazionale ha messo a punto ambiziosi progetti a medio termine, nei campi più critici (alimentari, medicine, case, energia, assistenza tecnica). Non si tratterà più di contributi a fondo perso. Ha spiegato il direttore del Fmi, Michel Camdessus: «Se potessimo spingere la crescita economica dell'Europa orientale e dell'ex Urss, facendola passare dal declino del 17 per cento registrato nel 1991-92 a una crescita annua del 4, ciò si tradurrebbe in una crescita aggiuntiva dell'1,8 a livello mondiale. La partita è grossa, per tutti». E' stata la chiave di volta della Conferenza di Lisbona, che riuniva 62 Paesi riprendendo il cammino avviato a gennaio con la Conferenza di Washington. Indicati in 24 milioni di dollari i bisogni della Russia per il 1992, e in 20 miliardi quelli delle altre repubbliche, addirittura in 145 miliardi lo sforzo che il mondo dovrà sostenere nei prossimi quattro anni, si è cercato di dare senso più compiuto agli sforzi attraverso i quali l'Occidente ha già fornito 86 miliardi di dollari fra aiuti e prestiti (per i due terzi dalla Cee). Si tratta di aiutare la Russia e le altre repubbliche a riorganizzarsi per l'autosufficienza. L'obiettivo, forse, è stato centrato, come indicherebbe la soddisfazione generale. L'incubo di una destabilizzazione proveniente dall'ex-Urss ha evidentemente avuto un peso consistente. Convinti che a stomaco vuoto non si fanno le riforme, e che - secondo le parole del ministro russo Kozyrev - «è proprio la presenza di nostalgici a rendere importante l'azione di questa Conferenza», i ministri hanno cercato di dare forte impulso agli aiuti. Soltanto dal Fmi, però, è venuto - 2530 miliardi di dollari in cinque anni, in aggiunta ai 24 miliardi in tre anm decisi il mese scorso dai Paesi industrializzati del G7 - un preciso impegno, una sorta di invito che gli altri Paesi saranno chiamati a raccogliere in autunno a Tokyo, quando il trittico delle Conferenze arriverà al capolinea. Ma è anche necessario che gli stessi ex-sovietici mettano a punto dei piani: «Devono essere pronti a ricevere i nostri aiuti - ha osservato il presidente della Banca Europea per lo Sviluppo, Jacques Attali - perché non siamo disposti a dare denaro a scatola chiusa». Le nuove repubbliche devono sviluppare le proprie capacità; e per questo l'assistenza tecnica è oggi considerata la componente centrale degli aiuti, soprattutto nei due settori - la sicurezza nucleare per evitare un'altra Chernobil e la riconversione dell'industria militare - che sono considerati al tempo stesso garanzia d'irreversibilità della trasformazione ed elemento di sicurezza internazionale. Ma c'è anche, nonostante gli sforzi evidenti, il timore che l'Occidente non faccia abbastanza. «Dobbiamo intervenire non solo in Russia - ha osservato il segretario di Stato Usa James Baker - e per quanto riguarda la Russia non solo a Mosca e a Pietroburgo». If. gal.]

Persone citate: Jacques Attali, James Baker, Kozyrev, Michel Camdessus