C'è ancora posto per il Giro di Gian Paolo Ormezzano

C'è ancora posto per il Giro? LO SPORTI IL CUORE Da oggi la corsa rosa, dopo il tifo per il Moro e le contese del calciomercato C'è ancora posto per il Giro? LA domanda è questa: abbiamo ancora dentro di noi le strutture mentali e soprattutto morali per voler bene al Giro d'Italia? Lì per lì sembra facile dire di sì, e offrire un qualche applauso, e magari anche una qualche oretta di attenzione televisiva, alla corsa rosa. Ma se davvero riusciamo a voler bene al Giro d'Italia e intanto ad appassionarci per faccende sportive che sono da esso lontane un anno luce, allora siamo dei mostri onnicomprensivi, abbiamo cervelli, o surrogati di essi, con enormi spazi fra un emisfero e l'altro, teniamo, per accarezzare questo sport e quell'altro, tentacoli infiniti. Facciamo due esempi, l'appassionante caso Moro di Venezia e l'appassionante caso Vialli. Che rapporto c'è fra queste due vicende e quella di un ciclista al Giro d'Italia? Se si tratta sempre di sport, allora quale cosa grossa e tremenda è questo sport, che ospita tutto, e che tutto ci spinge ad ospitare? Che rapporto c'è fra uno che pedala per ore in salita, solo con la sua tragedia fisica, e sedici che vanno su una barca da cento e passa miliardi, fra di essi uno skipper, uno stratega, un tattico, un navigatore? Che rapporto c'è tra la volata rischiosa per il premio di traguardo al Giro, cento fiaschi di vino, e un contratto quadriennale intorno ai tre miliardi, per giocare quaranta partita di calcio l'anno? Non stiamo emanando, sia chiaro, nessuna facile sentenza etica (e perchè mai? e chi siamo noi, perenni «partners in crime»?). Semplicemente ci interroghiamo sulla vastità di un mondo, quello dello sport, che appunto ha distanze di un anno luce da suo est al suo ovest, dal suo nord al suo sud. E sulla paura che questa vastità può e deve fare, specie a noi giornalisti che di questo mondo dovremmo essere anche le guide. Troppo facile dire che il Moro è stato una moda, e il calciomer¬ cato è un rito, un bisogno. Troppo facile dire che comunque si vuole bene al ciclismo, che ecologicamente fa battere in tutti noi un cuore verde. Ma se dopo avere perso il sonno per il Moro e perso la tranquillità per il calciomercato, ci commuoviamo autenticamente per le dolenzie dei poveri ciclisti, allora dobbiamo pensare di poter ospitare, dentro di noi, davvero l'universo, di poter essere tutto e il contrario di tutto, di poter amare Jovanotti e Mozart, di poter godere la lettura di Marina Ripa di Meana e di Proust. E se è così, che razza di mostri siamo? Comunque meglio mostri che ipocriti, meglio onnivori che divoratori di solo costoso caviale. Per molti anni il ciclismo è sopravvissuto per pietà, per residuo slancio antico, per automatismi affettivi. Negli ultimi due anni, di contro, la rinascita repente di un amore per gli eroi della bicicletta ha avuto un po' la connotazione fasulla del rimorso, oppure della moda ecologica. Adesso sembra invece che il Giro d'Italia abbia proprio il suo posto, accanto al Moro ed al Gianluca e ai loro sicuri epigoni. E' un «accanto» come di due stelle, lontanissime una dall'altra nel cielo immenso, ma pazienza. Bravi astronauti siamo. Gian Paolo Ormezzano

Persone citate: Marina Ripa, Moro, Mozart, Proust, Vialli

Luoghi citati: Italia, Meana, Venezia