Ente nazionale risi pericolo di chiusura

Ente nazionale risi pericolo di chiusura Contestata la tassa con cui viene finanziato Ente nazionale risi pericolo di chiusura VERCELLI. Il «diritto di contratto» - la tassa che da 60 anni gli industriali risieri versano all'Ente nazionale risi - rischia di essere abolito o ridimensionato. Oggi, è di mille lire per ogni quintale acquistato dai produttori e, in pratica, finanzia quasi totalmente l'Ente risi con un introito che va dagli 11 ai 13 miliardi all'anno. Se il «diritto di contratto» dovesse scomparire, l'Ente risi si scioglierebbe di fatto. Mercoledì, a Milano, si riunirà il Consiglio di amministrazione dell'ente sia per nominare il nuovo direttore generale (il vercellese Piero Odone andrà in pensione) sia appunto per discutere il «diritto di contratto», sul quale si sta registrando uno scontro senza precedenti fra industriali e agricoltori. Questi ultimi hanno ancora la maggioranza all'interno dell'Ente risi ma l'industria, che sta acquisendo sempre più potere, potrebbe benissimo decidere di non pagare più la tassa, facendosi anche forza sulle nuove norme comunitarie che non prevedono meccanismi di finanziamento come quello che sostiene l'Ente risi. Sessantanni fa, gli industriali del riso erano 400 in Italia. Oggi ce ne sono 22, più tre superindustrie di trasformazione; due hanno sede a Vercelli, la Eurico (Gruppo Ferruzzi) e la Euricom; la terza, la Riso Gallo, è di Robbio Lomellina. Le industrie risiere sono raggruppate in due associazioni: la «Unionriso» presieduta da Francesco Sempio e la Airi, di cui è amministratore delegato Elio Scaramuzza (gruppo Ferruzzi). Quest'ultimo, che è anche uno dei vicepresidenti dell'Ente risi, ha dichiarato esplicitamente che il «diritto di contratto» deve scendere a 600 lire. E la posizione di Scaramuzza sarebbe la meno intransigente, visto che i «falchi» dell'industria risiera vogliono addirittura l'abolizione della tassa. Questa parte intransigente degli industriali sostiene che l'Ente risi è inutile e che il diritto di contratto impedisce al riso italiano di essere concorrenziale a livello europeo e mondiale. Di tutt'altro avviso sono invece i risicoltori (6500 in Italia di cui 3700 solo nel Vercellese) i quali sanno benissimo che l'abolizione, del «diritto di contratto», e dunque dell'Ente nazionale risi, li penalizzerebbe in modo decisivo. Qualcuno ha già fatto i conti. Oggi, la risicoltura fattura, nel Vercellese, nel Novarese e nel Pavese, 800 miliardi (più 400 di indotto). Se sparisse l'Ente risi sostengono gli agricoltori - nessuno sarebbe più in grado di tutelare gli interessi italiani nella Cee e potrebbe così passare, senza opposizioni di sorta, il progetto Me Sherry che prevede una riduzione del 15% dei terreni coltivati per ridurre le eccedenze produttive. Facile immaginare i contraccolpi anche sugli enti irrigui (Est e Ovest) e, in generale, su tutta l'economia risicola se dovesse sparire il 15% delle risaie. Dice il presidente della Coldiretti Gianfranco Greppi: «Spero che, alla fine, prevalga il buon senso. Mai come oggi l'Ente risi ha svolto un ruolo così importante a livello comunitario». Apprensioni arrivano anche dal mondo dei mediatori. Osserva il presidente provinciale Massimo Ferraris: «Siamo tutti molto preoccupati. Per la risicoltura italiana sono ore decisive». Enrico De Maria

Persone citate: Elio Scaramuzza, Enrico De Maria, Francesco Sempio, Gianfranco Greppi, Massimo Ferraris, Pavese, Piero Odone, Scaramuzza

Luoghi citati: Italia, Milano, Robbio, Vercelli