«Gianluca maledetto ti ameremo» Genova delusa si consola è un affare di Pierangelo Sapegno

«Gianluca, maledetto, ti ameremo» Genova delusa si consola: è un affare I fans del cannoniere non si ribellano, ma la malinconia offusca i ricordi dei trionfi passati «Gianluca, maledetto, ti ameremo» Genova delusa si consola: è un affare la catta' d^l campagne GENOVA DAL NOSTRO INVIATO Gianluca Vialli ha detto addio a Genova in un giorno di sole tiepido, con le bandiere bianche e blu appena scosse dal vento sui balconi del porto, e il mare che scivolava dolcemente sugli scogli di Nervi. A vederlo così, non sembrava nemmeno un giorno troppo triste. Infuriavano ancora le polemiche sull'Expo, scricchiolava un po' la giunta di sinistra, le nuvole correvano lontane nel cielo. E piazza Rossetti e corso Marconi erano percorse dalla piccola carovana del Giro d'Italia, mille colori e i palchi della tv, le urla dei vigili e della gente, come in un giorno qualsiasi. Eppure, ieri c'era qualcosa di diverso nel cuore di Genova, «lontano dalla normalità», come ripete il tifoso Ferdinando Merlo, in questo sabato di vigilia, in questa festa dimezzata con le fabbriche chiuse, le strade del porto aperte al sole e riempite dai crocchi dei camalli. Come nelle parole di Lorenzo Mannori, toscano trapiantato, padrone d'un ristorante nel centro: «Io amo Genova come il suo mare. Bella e triste, sembra un posto lontano». In fondo, così dev'essere apparsa questa città di un amore finito, a Gianluca Vialli che se ne va e ai suoi tifosi che restano. Sul muro, l'ultima scritta, quasi dolente, così disperata, dopo i sogni di Wembley e dopo le sconfitte: «Samp ti amo. Restiamo insieme». E a Bogliasco, dove c'è il campo della squadra, mille ragazzi s'aggrappavano piangendo alle reti di recinzione. Certo, chi si aspettava turbolenze e rivolte è rimasto deluso. Qualche monetina ai giornalisti, qualche insulto, qualche gesto di rabbia. Ma fuori da qui, dal Campetto di Bogliasco, questo è un addio dai toni più dolci. «E' una città che sa fare i suoi calcoli, e qui tutti hanno fatto i loro conti», spiega Franco Manzitti, direttore del Lavoro. «Sul piatto della bilancia hanno messo l'età del giocatore, la contropartita ricevuta, i soldi e la situazione reale della società, e alla fine hanno stabilito che conveniva accettare questa separazione». Ma è una divisione strana, che lacera più di quanto si possa vedere, che rivela un amore pagano, forse assurdo, persino incredibile, eppure vero e profondo. La malinconia è quasi invisibile, uno sguardo sul mare, fermo e grande com'è oggi, con le carezze del vento. Certo, «quelli vera- mente distrutti sono i licenziati dell'Italsider», ammonisce Vialli quando il giornalista di Telemontecarlo gli chiede se si sente distrutto. Solo che è inutile fingere di stupirsi. Genova mercantile, Genova industriale, ricca e operaia, la metropoli in crisi e quella felice delle Colombiadi possono smarrire i sensi per un divo del pallone. E Fiammetta Costa, 18 anni da compiere, non è la sola che piange, schiacciata in mezzo alle altre ragazze, sul recinto di Bogliasco, aspettando l'autografo o l'ultimo saluto. Solo che non è qui, in quest'orgia di commozione, che Vialli abbandona Genova al suo destino. Bisogna andare al porto, bisogna parlare con i camalli per capire com'è finito un amore, com'era fatto questo amore e com'è fatta questa città. Gualtiero Ferrari, tesoriere del Sampdoria club compagnia portuale: «Vede, qui siamo tutta gente che ha lottato per il pane, gente abituata a discutere, gente dura, siamo tutti politicizzati non nel senso che siamo della de o del psi o del pds, ma nel senso che ci occupiamo delle cose della nostra vita e della nostra città. Noi non ci lasciamo incantare. Come tifosi, pensiamo che la persona alla quale dobbiamo dire grazie più di tutti è Mantovani. E accettiamo quello che decide lui. E quello che è successo fa parte della logica del calcio, che è dominato dallo strapotere di due squadre, il Milan e la Juve. Se vogliamo restare una terza forza, siamo costretti ad accettare certe regole. Per Vialli, invece, ci dispiace perché lo conoscevamo tutti, perché gli eravamo affezionati, era un ragazzo bravo e intelligente. E' la vita. Noi piangeremo, è vero, perché nasconderlo? Ma una domenica, il prossimo anno, forse avremo dimenticato». Franco Gorzilia, portuale: «La rivoluzione qui ci sarà solo il giorno in cui leggere- mo un titolo che non dirà Vialli addio, ma Mantovani addio. Perché la gente ha fiducia in lui, perché senza di lui ci troveremmo come dieci anni fa, quando stavamo aggrappati alla griglia fino all'ultima domenica sperando di non andare in B». Fernando Merlo, presidente del Club: «Questa è una squadra diversa come questa è una città diversa. C'è un rapporto fra giocatori, tifosi e dirigente che non esiste in nessun altro posto d'Italia. Chissà, forse è perché per certe cose siamo un po' metropoli e un po' villaggio». Ma questa è anche una città esasperata, faziosa, la città del lamento costante, che esprime, come nel caso Vialli, il vittimismo di chi si sente colpito dal potere economico che sta fuori e che per questo alla fine magari se la prende con la stampa. Città strana. Perché è vero che mugugna, ripete Renzo Parodi, inviato del Secolo XIX, «ma è nello stesso tempo abbastanza dinamica. Un Expo bene o male è stato fatto, abbiamo restaurato un Palazzo ducale'che è una meraviglia, abbiamo ricostruito il teatro Carlo Felice dopo 45 anni. E abbiamo vinto uno scudetto. Adesso Mantovani non smobilita. Si ammaina una bandiera, un simbolo, ed è triste: però affrontiamo un rischio calcolato». Si vende per ricostruire, si consolano i tifosi, con i piedi per terra, senza buttarsi nel vuoto, senza fare il passo più lungo della gamba. «Genova», aggiunge Giovanni Fadda, condirettore del Banco di Chiavari e della Riviera ligure, «è una piazza di risparmiatori oculati, ma senza dinamismo, senza intraprendenze. Il mattone non tira più, l'Expo si annuncia come un mezzo falliménto, l'industria è in crisi. Gli affari allora si fanno come con Vialli, rischiando poco, approfittando del fatto che ci sono tifosi magnifici che capiscono il risparmio e le logiche di una società che vuole sopravvivere cercando di campare il più possibile alla grande». Così, alla fine, ecco di nuovo riemergere «l'immagine di una città mercantile», come dice Franco Manzitti: «Quando se ne andò da qui Meroni tanti anni fa, scoppiò il finimondo, i tifosi si tassarono. Ma Meroni era giovane, era un investimento. Vialli lo è meno. La verità è che questa città ogni volta sa andare alle sue radici, che non sono iraconde, passionali, ma concrete». Il pianto di Fiammetta, allora, è il pianto di chi è costretto a rinunciare al suo amore. Genova è fatta così. Sembra quasi dispiaciuta per Vialli, non per sé. E chissà che il più triste non sia proprio Gianluca, l'eroe buono che aveva lasciato il cuore in questa città che pare lontana dalle altre, quasi fosse insofferente di vicinanze, in questa contrada dalle scansioni lente. Adesso, nella luce vespertina, il mare sotto Quinto è increspato. Com'è triste Genova, un anno dopo. Quella scritta sul muro il tempo la sta cancellando: «W la Samp. Non piangete, è solo il primo». Oggi, però, lo scudetto sembra davvero un ricordo. Restano piccole consolazioni: «Gli amori che passano lasciano sempre un segno nella vita di chi resta». Ha ragione Ferrari, vecchio tifoso. E allo Zeffirino, in via XX Settembre, ci sarà sempre un tavolo per Vialli e Mancini. Genova sa ricordare. Pierangelo Sapegno «La rivoluzione scoppierebbe se se ne andasse Mantovani» Via XX Settembre, cuore di Genova. Accanto Paolo Mantovani Sopra Roberto Mancini, gemello «orfano» di Vialli. Accanto Enzo Tirotta, capo del tifosi della Samp