Il mio conto con i boss è aperto lo salderò soltanto con la morte

Il mio conto con i boss è aperto lo salderò soltanto con la morte Il mio conto con i boss è aperto lo salderò soltanto con la morte ROMA. «Non sono Robin Hood, né un kamikaze. E tantomeno un trappista. Sono semplicemente un servitore dello Stato in terra infidelium». Una lunga testimonianza, una lunga riflessione. E una lezione sulla mafia, sui suoi segreti, i riti e le crudeltà. Che è diventata testamento. Centosettanta pagine che raccontano la lotta di un giudice contro Cosa Nostra, i tentativi di cambattere la Piovra conoscendola, sapendo a memoria i suoi meccanismi, la sua forza e la sua debolezza. «Cose di Cosa Nostra» è il libro (pubblicato da Rizzoli alla fine dello scorso anno) che Giovanni Falcone ha scritto in collaborazione con la giornalista Marcelle Padovani, corrispondente da Roma del settimanale «Nouvel Observateur». «E' il bilancio - si legge nell'intervallo tra vecchi e nuovi incarichi, il passaggio da magistrato a direttore degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia». Ed è il racconto di una vita passata nelle aule dei tribunali, su auto blindate. Notti a leggere e a rileggere le deposizioni dei pentiti. A studiare «le cose di Cosa Nostra». Un libro per certi versi agghiacciante: Falcone parla di morte, di attentati, parla di paura (ne pubblichiamo ampi stralci). Ricorda quando «giocava» con i colleghi dei pool antimafia a scrivere i propri necrologi cruenti da pubblicare sul «Giornale di Sicilia». Ricorda anche i suoi pensieri, le sue ansie. Quasi il racconto di un appuntamernto con i killer, quegli stessi che l'hanno ucciso ieri. Ma il libro è soprattutto una radiografia della mafia, della Piovra vista da vicino. Falcone racconta a Marcelle Padovani i suoi primi passi sulla strada che lo porta ad essere il nemico numero uno dei clan. Quella mafia che tanti in Sicilia vogliono nascondere, misconoscere, occultare. Ma Falcone, in «Cose di Cosa Nostra», va più avanti, si mette in una posizione nuova: quella dell'interpretazione. «L'interpretazione dei segni, dei gesti, dei messaggi e dei silenzi costituisce una delle attività principali dell'uomo d'onore. E di conseguenza del magistrato», dice Falcone. E aggiunge: «Nei miei rapporti con mafiosi mi sono sempre mosso con estrema cautela, evitando false complicità e atteggiamenti autoritari o arroganti, esprimendo il mio rispetto ed esigendo il loro». L'incontro con i boss. E l'incontro con i pentiti, Buscetta in particolare. Falcone ne parla a lungo. Precisa: «Sono convinto che il solo comportamento efficace ed equo nei loro confronti sia anzitutto di verificare con estrema cura l'esattezza delle loro rivelazioni, senza sminuire sistematicamente quanto affermano». Quel metodo ha portato molto avanti Falcone sulla strada della conoscenza. Buscetta, il pentito Buscetta è per lui come un professore di lingue. Gli insegna il linguaggio della mafia, gli dà la possibilità di parlare, capendo e facendosi capire, «senza ricorrere ai gesti». Falcone aggiunge alla sua radiografìa altri elementi, aggiunge pagina dopo pagina nuovi tasselli al grande mosaico sulla mafia. Un affresco che ha sullo sfondo la Sicilia e la sicilianità. E gli uomini d'onore sono i protagonisti di questo pianeta mafia. «Sono più di cinquemila», dice a Marcelle Padowani. Ne traccia l'identikit: «Sono i cardinali di una chiesa molto meno indulgente di quella cattolica. Le loro scelte di vita sono intransigenti. Cosa Nostra costituisce un mondo a sé che va compreso nella sua globalità. Con riferimento soprattutto al principio della verità, vitale per l'organizzazione». E poi: «Queste regole rappresentano l'esasperazione di valori e di comportamenti tipicamente siciliani. Nella vita quotidiana se ne riscontrano moltissimi esempi. Così in Sicilia è buona regola non girare armati. Se uno porta la pistola sa che deve usarla, perché sa che colui che gli sta di fronte, lui, lo farà». Come lo fa Cosa Nostra. Così, nel libro, si ritorna al punto di partenza (o al punto di arrivo): Cosa Nostra. Falcone conclude: «Credo che Cosa Nostra sia coinvolta in tutti gli avvenimenti importanti della vita siciliana, a cominciare dallo sbarco alleato in Sicilia». Luigi Stigliano IL TESTAMENTO m FALCONE I'L mio conto con Cosa Nostra resta aperto. Lo salderò con la mia morte, naturale o meno. Tommaso Buscetta, quando iniziò a collaborare, mi aveva messo in guardia. Mi disse: Prima cercheranno di uccidere me, ma poi verrà il suo turno. Fino a quando ci riusciranno.... Certo il pensiero della morte mi accompagna ovunque. Ma, come dice Montaigne, diventa presto una seconda natura. Si sta sul chi vive, si calcola, si osserva, ci si organizza, si evitano le abitudini ripetitive, si sta lontano dagli assembramenti e da qualsiasi situazione che non possa essere tenuta sotto controllo. Ma si acquista anche una buona dose di fatalismo; in fondo si muore per tanti motivi, un incidente stradale, un aereo che esplode in volo, un'overdose, il cancro e anche per nessuna ragione particolare.... Come colpisce la Mafia? Ognuno è stato colpito nell'attimo della giornata e nel luogo in cui appariva più vulnerabile. Solo condizioni strategiche e tecniche determinano il tipo di omicidio e il tipo di arma da impiegare. Con una persona che si sposta con l'auto blindata è giocoforza ricorrere a metodi spettacolari.... Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.... Cosa Nostra ha a sua disposizione un arsenale completo di strumenti di morte. Per il faiuto attentato del 21 giugno 1989 alla villa che avevo affittato all'Addaura, vicino a Palermo, erano stati piazzati tra gli scogli cinquanta candelotti di esplosivo... La mafia è razionale, vuole ridurre al minimo gli omocidi. Se la minaccia non raggiunge il segno, passa a coinvolgere intellettuali, uomini politici, parlamentari, inducendoli a sollevare dubbi sull'attività di un poliziotto o di un magistrato ficcanaso o esercitando pressioni dirette a ridurre il personaggio scomodo al silenzio. Alla fine ricorre all'attentato. Il passaggio all'azione è generalmente coronato da successo, dato che Cosa Nostra sa far bene il suo mestiere. Tra i rari attentati falliti voglio ricordare quello organizzato contro di me nel giugno '89. Gli uomini della mafia hanno commesso un grosso errore, rinun ciando all'abituale precisione e accuratezza pur di rendere più spettacolare l'attacco contro lo Stato... La lupara ormai sta passando di moda. Il famoso fucile a canne mozze, che una volta firmava i delitti mafiosi, quest'arma artigianale di inconfondibile carattere contadino, è sempre meno adatta alle esigenze della mafia moderna. Oggi si preferiscono generalmente le armi a canna corta, la calibro 38 e la 357 Magnum a proiettili dirompenti. Per gli attentati più difficili e complessi vanno bene le armi a canna lunga di fabbricazione straniera. Per non parlare degli esplosivi, utilizzati non solo a casa mia, ma anche, nel 1983, per l'assassinio del giudice Rocco Chinnici, spazzato via dallo scoppio telecomandato di un'auto imbottita di tritolo. Rimaniamo a questo delitto. E' rmi stato scritto: «Essi hanno voluto sopprimerlo alla libanese per gettare Palermo nel terrore». In realtà essi l'hanno ucciso nel solo modo possibile, causando cinque morti e distruggendo una decina di automobili perché Chinnici era molto prudente e attento in tema di sicurezza personale. Impariamo a riflettere in modo sereno e •«laico» sui metodi di Cosa Nostra: prima di sferrare l'attacco compie sempre uno studio serio e approfondito. Per questo è molto difficile prendere un mafioso con le mani nel sacco. Si contano sulle dita di una mano quelli arrestati in flagranza di reato: Agostino Badalamenti sorpreso con la pistola in pugno e che riuscì a farsi passare per matto... Neil' organizzazione di Cosa Nostra violenza e crudeltà non sono mai gratuite, rappresentano sempre l'extrema ratio, l'ultima via d'uscita quando tutte le altre forme di intimidazione sono inefficaci o quando la gravità di uno sgarro è tale da meritare solo la morte... Per gli uomini d'onore quel che conta è il coraggio dimostrato dall'omicida, la sua professionalità. Quanto più cruenta, spietata, crudele l'esecuzione appare ai nostri occhi di semplici cittadini, tanto più fiero può andarne l'uomo d'onore e tanto più esaltato sarà il suo valore all'interno dell'organizzazione. Cosa Nostra si fonda sulla regola dell'obbedienza. Chi sa obbedire, eseguendo gli ordini con il minimo di costi, ha la carriera assicurata... Devo dire che fin da bambino avevo respirato giorno dopo giorno aria di mafia, violenza, estorsioni. Nell'atmosfera di quel tempo respiravo anche una cultura istituzionale che negava l'esistenza della mafia e respingeva quanto vi faceva riferimento. Cercare di dare un nome al malessere sociale siciliano equivaleva ad arrendersi agli attacchi del Nord... Quando è capitato il primo pentito avevamo alle spalle un lavoro enorme. Ma prima di lui, prima di Tommaso Buscetta, non avevo che un'idea superficiale del fenomeno mafioso. Con lui abbiamo cominciato a guardarvi dentro. Ci ha fornito numerosissime conferme sulla struttura, sulle tecniche di reclutamento, sulle funzioni di Cosa Nel la Pipercall'a Nostra. Ma soprattutto ci ha dato una visione globale, ampia del fenomeno. E' stato per noi come un professore di lingue che ti permette di andare dai turchi senza parlare con i gesti... Oltre ad avermi insegnato una lingua, Buscetta mi ha posto di fronte ad un problema decisivo. Mi ha fatto comprendere che lo Stato non è ancora all'altezza per fronteggiare un simile fenomeno. Mi ha detto: «Non credo che lo Stato italiano abbia veramente l'intenzione di combattere la mafia». E poi: «Dopo questo interrogatorio lei diventerà una celebrità. Ma cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. E con me faranno lo stesso. Non dimentichi che il conto aperto con Cosa Nostra non si chiuderà mai». Giovanni Falcone Il pentito Buscetta mi aveva avvertito: tenteranno d'eliminarmi poi verrà il tuo turno Nel giugno dell'89 la Piovra fallì l'attentato perché rinunciò all'abituale sicurezza 1 La villa estiva a Mondello presa in affitto dal giudice Falcone, dove il 21 giugno dell'89 i clan tentarono di ucciderlo con gli esplosivi. Nel riquadro il libro «Cose di Cosa Nostra» edito da Rizzoli