Ucciso perché vide troppo di Anna Langone

Ucciso perché vide troppo Foggia, il barista aveva assistito a un delitto ancora irrisolto Ucciso perché vide troppo // clan non perdona un testimone FOGGIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Hanno atteso che l'ultimo avventore se ne andasse per ucciderlo. Leonardo Carlomagno, un barista di 51 anni, era dietro al bancone che faceva le pulizie quando uno, forse due killer, gli si sono piazzati davanti e gli hanno sparato. Due i colpi di pistola andati a segno, l'ultimo dei quali, per firmare il carattere di esecuzione, alla nuca. Ma perché? Forse - è la pista più battuta dagli inquirenti - il commerciante aveva visto l'autore di un omicidio, rimasto ancora irrisolto. Leonardo Carlomagno, un uomo basso e robusto, era incensurato e, da anni, insieme al figlio ventenne conduceva il bar Poker, un modesto esercizio in via Arpi 50. Un buco come tanti nei vicoli del centro storico della città, dove la criminalità, proprio negli ultimi mesi, sembra aver alzato la testa. Negozi e vecchie abitazioni dati alle fiamme dal racket o da palazzinari avidi di suoli edificabili e poi un omicidio, a fine novembre '91, misterioso ed inspiegabile quanto quello del barista. La vittima era un giovane di 29 anni: Sergio Fiore, anche lui incensurato, anche lui visto per l'ultima volta nel bar Poker. Tutto accadde nel giro di pochi minuti: Fiore, dopo aver passato la serata a giocare a video-games con il figlioletto nel bar di via Arpi, intorno alle 10 aveva salutato il barista ed imboccato vico San Giuseppe, che fa ad angolo con via Arpi. Pochi passi e sarebbe stato a casa, in piazza Mercato, ma sulla sua strada incontrò un killer ed un fucile a canne mozze: «Sergio, ora ti ammazzo», gli gridò il suo assassino prima di appoggiargli l'arma al torace e sparargli a bruciapelo. Poi, protetto dal buio, l'uomo fuggì a piedi nei vicoli. Due i testimoni di quella esecuzione: un passante al quale Fiore chiese aiuto ed il barista Leonardo Carlomagno. Il primo non fu in grado di riconoscere nessuno; il barista, che si trovava anche lui a pochi passi dal luogo dell'omicidio, disse di aver sentito un gran botto intorno alle 10 e di essersi affacciato fuori: «Ma non ho visto nulla», raccontò agli inquirenti. Ora si pensa che Carlomagno non avesse detto tutta la verità e che abbia pagato con la vita la circostanza di trovarsi nel suo bar, a lavorare, la sera dell'omicidio Fiore. Ad avvalorare questa ipotesi due particolari: il fatto che il killer agì a volto scoperto (se fosse stato incappucciato sarebbe stato notato) e la conclusione ormai prossima della fase istruttoria nell'omicidio Fiore. Con l'approssimarsi del processo, Car¬ lomagno avrebbe potuto inchiodare l'assassino e così si è preferito chiudergli la bocca. Chi l'ha eliminato, del resto, ha fatto in modo che non si equivocasse sulla ragione del delitto: a mezzanotte, quando il fatto di sangue è avvenuto, nel bar c'erano gli incassi della giornata, ma nulla è stato toccato. Come non sono stati notati dalla polizia segni di colluttazione. Carlomagno giaceva riverso dietro il bancone dei gelati, in un lago di sangue e, per terra, i bossoli di una 7,65. Per tutta la giornata di ieri gli inquirenti hanno passato al setaccio possibili «bene informati» del mondo della mala, ma senza approdare a nulla: in serata, dalla squadra mobile hanno smentito la notizia di alcuni fermi. Ma ciò non esclude che, anche per questo omicidio, vi sia qualcuno che preferisce rimuovere ciò che ha visto, come per l'eliminazione di Sergio Fiore. Nel passato del giovane solo qualche denuncia per usura e per contrabbando di sigarette, storie nelle quali era stato coinvolto con un fratello: troppo poco per giustificare un'efferata esecuzione; sulla fedina penale di Leonardo Carlomagno neppure un precedente. E nessuno ha visto, nessuno parla: «Brancoliamo nel buio», ha ammesso ieri sera un investigatore. Anna Langone

Persone citate: Carlomagno, Leonardo Carlomagno, Poker, Sergio Fiore