Nella tempesta con CROCE

Nella tempesta con CROCE 1945-44: i giorni cruciali dell'Italia che rinasce nel «Diario di Napoli» di Filippo Caracciolo Nella tempesta con CROCE Filippo Caracciolo, esponente di primo piano del partito d'Azione, fu un testimone privilegiato dei giorni cruciali che vanno dal settembre '43 al giugno '44, dall'armistizio alla fine dell'ultimo governo Badoglio e alla formazione del gabinetto Bonomi. L'8 settembre lo colse a Lugano, dove era console: attraversata la frontiera, raggiunse il Meridione per partecipare alla ricostruzione dell'Italia a partire dal Regno del Sud. Nel suo diario annotò avvenimenti, incontri e impressioni: da Togliatti a De Nicola, da Sforza a Gramsci, dallo scozzese Mac Farlane, rappresentante della Commissione militare alleata, a De Gasperi. Sullo sfondo, il dibattito sul futuro del Paese e il conflitto fra Croce, che voleva salvare la monarchia, e i suoi allievi azionisti, favorevoli alla repubblica. Il Diario di Napoli 1943-1944 di Caracciolo, da tempo introvabile, esce in questi giorni da Passigli, con una prefazione di Sergio Romano. Ne pubblichiamo un'anteprima. Don Benedetto a Capri Sabato, 9 ottóbre 1943 Napoli Nel pomeriggio vengono a trovarmi Joyce Lussu e suo fratello Max Salvadori. Egli è ufficiale di un reparto e porta con bellissima prestanza la sua uniforme. Raggiungiamo una villetta al Vomero, dove Max è acquartierato e dove m'informano di come si è andata sviluppando la situazione per quella parte che ci interessa, durante gli ultimi giorni. Benedetto Croce ha ricevuto Donovan a Capri. Ha chiesto ed ottenuto l'assenso alleato per la costituzione di un corpo volontario. Questa legione indipendente consentirebbe il recupero di molti giovani ansiosi d'azione ma che rifiutano di combattere nel R. Esercito, trasporterebbe sul piano militare il vigore politico dell'antifascismo italiano, costituirebbe in breve tempo un faro di speranza nuova. Raimondo Craveri, genero di Croce, ed Alberto Tarchiani sono andati a Brindisi, Badoglio consente il quattro ottobre all'iniziativa. Capo militare dell'impresa è stato designato il generale Pavone, che non conosco e che non ho mai sentito nominare. La copertura politica è formata da un «Fronte Nazionale» che per ora esiste solo sulla carta. Il Comitato esecutivo è formato da Croce, Tarchiani, Pavone e Craveri. Sarà via via allargato per includervi esponenti dei partiti e delle correnti antifasciste. Tutto ciò sembra bello, ma irreale. Il disordine materiale e morale che turbina fra la nostra gente è spaventoso e bisogna provvedervi impegnandovisi. Inoltre l'assenso di Badoglio è sincero? C'è da dubitarne per ragioni che sono fin troppo ovvie. D'altra parte si profila una possibilità d'azione in questo senso e bisogna portarla avanti fino ai limiti che ci consentiranno gh eventi. Accordo quindi senza riserve la mia adesione. (...) Più tardi a pranzo conosco il maggiore Munthe, superiore di- retto di Max Salvadori. E' figlio di Axel Munthe, l'enigmatico medico svedese, cittadino elettivo di Capri, autore del memorabile libro di San Michele. E' molto giovane per il grado; bellissimo del portamento e della persona. Porta con assoluta eleganza il gonnellino scozzese. A tavola racconta con molto brio e molto umorismo le vicende del trasporto di casa Croce da Sorrento a Capri, avvenuto durante una notte del mese scorso. Si temeva che i tedeschi volessero impadronirsi del Senatore e trattenerlo come ostaggio. A Munthe era stato affidato l'incarico di avvicinarlo e trasportarlo a Capri già sotto il controllo alleato. L'operazione si svolse sotto i più favorevoli auspici di tempo di mare e di inerzia nemica ma fu notevolmente complicata dal sangue freddo della signora Croce molto più preoccupata dalle vicende di un suo bucato incompleto che dalla oscura minaccia avversaria. Il Senatore di cattivo umore Martedì, 16 novembre 1943 Sorrento Notte a Sorrento in casa Croce. Per il pranzo lunga tavolata dove ardono rari mozziconi di candela. I visi dei presenti emergono nella luce, si attenuano nell'ombra. La conversazione stenta a snodarsi; lo scambio delle parole si frantuma in brevi osservazioni a quattr'occhi. Il Senatore è di cattivo umore e brontola a proposito della mancanza di luce. Cade nell'arena il nome di Giovanni Gentile. Ciò rianima e rallegra il nostro ospite che scocca subito qualche frecciata allegra circa una confe- renza (vera o supposta) tenuta dal filosofo sul «pensiero di Roberto Farinacci». L'atmosfera si anima. Le domande, le risposte, le osservazioni e gh aneddoti fioccano. Tutto volge per il meglio fin a quando una frase imprudente di Elena non fa cadere il discorso sul Partito d'Azione. Il Senatore ci scruta con severità e commiserazione. Ci accusa di essere sventati e confusionari. Non abbiamo né un pensiero né un uomo di pensiero. Quale il rimedio? Uno solo: scioglierci e magari ricostituirci ma non prima di aver chiarito le idee; il che sarà molto difficile. Non oso entrare in polemica con un tanto uomo. Mi limito ad osservargli che in tempi torbidi e tormentati come quelli che abbiamo attraversato e che dovremo attraversare, gli uomini dalle idee chiare non sempre erano disposti a manifestarle e ad assumerne le responsabilità. I confusionari avevano cercato di fare quanto meglio potevano, e talvolta su terreni molto scottanti, dov'erano continuamente in gioco la morte e la vita. Ci era stata concessa la soddisfazione di vedere tanti amici, meglio armati d'intelligenza e di chiarezza logica, seguire sia pure dopo molti tentennamenti e molti richiami al buon senso, le strade indicate e battute da noi. Cerco di parafrasare come meglio so una sua recentissima frase: «I fatti accaduti, comunque avvolti di teorie ineffettuali, sono da accettare nella loro realtà di accadimenti storici». La serata termina in buona armonia. Ci separiamo al lume fievole delle candele e raggiungiamo le nostre camere. Arriva il Luogotenente Sabato, 26 febbraio 1944 Napoli (...) De Nicola ha visto il Re, ha visto Acquarane. Sembra sia stato fermo e stringente nelle sue argomentazioni. L'intervento è stato decisivo. Il Re ha deciso di affidare il potere ad un Luogotenente, forse il principe Umberto. Siamo quindi lontani dai termini segnati e non so quali saranno le reazioni di Roma. Per quanto ci riguarda ritengo necessario accettare. L'opinione pubblica è stanca. I problemi urgenti sono letteralmente quelli del letto, del pane, della strada. Altri ritardi sarebbero incomprensibili, ci farebbero gran danno nel giudizio e nel sentimento dei più. De Nicola ha parlato anche con Mac Farlane. Negli ambienti alleati si è finalmente giunti alla conclusione che Vittorio Emanuele costituisce ostacolo allo svolgimento pacifico della situazione italiana. Si pensa che data la coincidenza fra i risultati ottenuti da De Nicola ed i concetti espressi nel «memorandum» della Giunta Esecutiva, i partiti dovrebbero plaudire alla soluzione. Affaccio qualche riserva. Veniamo a parlare del Principe e delle difficilissime condizioni in cui viene chiamato a misurarsi col destino. Parliamo anche di possibili Presidenti del Consiglio. Qui Reeber si fa molto cauto, ma comprendo come l'alternativa suggerita da De Nicola, e cioè Croce o Sforza, non sia gradita agli Alleati. Croce sarebbe troppo vecchio ed inesperto per rappresentare una parte non simbolica. Contro Sforza ci sono riserve di cui non afferro bene la natura e la portata. In questo intrecciarsi di trame fragili ma soddisfacenti e che per la prima volta dopo tanta attesa danno la sensazione del passo avanti, il discorso di Churchill, grossolano e sfuocato, è venuto ad inserirsi come un elemento di disordine e di sopraffazione. (...) Il gonnellino di Mac Farlane Lunedì, 12 giugno 1944 Salerno (...) Faccio la conoscenza di Ruini e di Soleri, di De Gasperi e di Bonomi. Il Presidente m'invita a colazione. E' curioso di cento cose e moltiplica le domande. Molti aspetti delle nostre difficoltà e della nostra soggezione sembrano riuscirgli nuovi e sorprendenti. Forse paragona mentalmente i giorni ormai lontani del suo ultimo governo e gh impegni e le lotte di un tempo così diverso dalle tetre e scarne responsabilità attuali. Bonomi è un vecchio di modi soavi, di carnagione rosea, parla e gestisce pacatamente, ispira fiducia e manca di autorità. De Gasperi ci raggiunge e si unisce a noi. La conversazione si prolunga. C'è qualcosa in lui di scabro e di roccioso. Dicono che sia abile e paziente come il vecchio Giolitti. Ma Giolitti era fondamentalmente uno scettico. De Gasperi invece è fondato sopra una fede che può ammettere compromessi e combinazioni ma solo fino ad un certo punto. Oltre quel punto c'è l'urto e la rottura. Ci affrettiamo a bere il caffè perché Bonomi deve incontrare Mac Farlane. Lo accompagnano al palazzo del Comune. Il Capo della Missione Militare Alleata ci precede di qualche metro e prende a salire la lunga scalinata per primo. Porta il gonnellino scozzese, è scamiciato e sbracciato. Dalle braccia muscolose, dalle gambe pelose, dal collo compatto emana un senso di potenza quasi animalesca che contrasta aspramente con l'abito scuro, con l'alto colletto, con la finezza e la fragilità del vecchio Presidente che gh si è affiancato. Poco dopo mi vengono a chiamare. Bonomi ha convocato tutti i Membri del Gabinetto attuale e del Governo dimissionario. Un contrattempo si è manifestato inatteso ed umiliante come un ceffone. Mac Farlane ha detto brevemente che il nuovo Governo non poteva entrare in funzione e tanto meno accettare consegne dal vecchio senza un «placet» degli Alleati. Quanto tempo sarebbe occorso alla concessione del «placet»? Un'alzata di spalle per risposta. Qualcuno mi chiede quanto tempo avevamo dovuto aspettare noialtri per quella insulsa formalità. Rispondo tra lo stupore generale che per Badoglio non era stata chiesta. C'è un'aria buffa in giro di dignità offesa, di collera impotente, ma soprattutto di disorientamento. Che fare? E la stampa? Bisogna informare la stampa. Gh uomini di buona volontà si affrettano a buttar giù le righe di un comunicato. Ma appena se ne dà lettura quelle frasi suonano così male che si decide di non farne nulla. Badoglio passeggia lento nel brusio: un sorriso tra l'ironico ed il bonario gh allarga la faccia. Se non avesse da custodire il decoro di un maresciallo si fregherebbe vigorosamente le mani. Dopo una breve gita a Raito, dove mi accomiato da De Gasperi e da Bonomi, ritorno in città. Filippo Caracciolo «Vittorio Emanuele se ne deve andare, anche gli Alleati l'hanno capito. Ma che problemi per il Principe» Immagini dal «Diario» di Filippo Caracciolo. A fianco Enrico De Nicola, a destra Benedetto Croce. Sotto Caracciolo con i figli Carlo e Marella Nell'immagine grande Filippo Caracciolo. Sopra è con Ugo La Malfa, altro esponente di primo piano del partito d'Azione. A sinistra Vittorio Emanuele III