«Quando la dc chiese i nostri voti di camerati» di Pietro Nenni

«Quando la dc chiese i nostri voti di camerati» Intervista al missino Valensise: Abiurante non vendeva nulla sottobanco «Quando la dc chiese i nostri voti di camerati» ROMA. Dopo aver raccolto i ricordi del ministro socialista Rino Formica che nel 197! chiese a due deputati missini di votare per Pietro Nenni (e uno di loro confessò di averlo già fatto, convinto di esaudire gli ultimi desideri di Mussolini), abbiamo chiesto al vicecapogruppo del msi alla Camera, Raffaele Valensise, di ricostruire i fatti e il clima di quelle ed altre trattative segrete. Delle volte in cui la de chiese e ottenne voti missini per eleggere presidenti della Repubblica. Come avvenivano queste trattative? Sottobanco? No. Non ai tempi di Almirante, per lo meno. Il suo predecessore, Arturo Michelini, era forse più diplomatico, ma Almirante non avrebbe mai fatto niente sottobanco. I voti per eleggere Leone non furono forse chiesti sottobanco? No. Furono chiesti con la discrezione del caso, ma non sottobanco. Ma chi era che dalla de veniva a trattare con voi? Parecchi. Forse non gente di primissimo piano. Io ricordo il sottosegretario Mazza, un uomo di una certa importanza, sua figlia sposò il capo della polizia dell'epoca, il prefetto PorporaIn che anno Almirante diventò segretario del msi? Nel 1969, alla morte di Michelini. Un duro, dopo il molle Michelini. Almirante? Ma voi non lo conoscevate: lui era un campione del parlamentarismo, un tecnico del Parlamento. Imparammo tutto da lui, anche ad eleggere un Presidente della Repubblica. Perché? Che cosa vi insegnò di tanto importante? Ci insegnò a stare nelle commissioni, sia per conoscere a fondo i problemi, sia per allacciare quei rapporti umani che poi servono nelle grandi operazioni, come le elezioni dei presidenti. Ma prima ancora dei tempi di Almirante, l'msi d' Arturo Michelini fu determinante per eleggere Gronchi. Certo. Eppure Gronchi era un uomo di sinistra. Lo votaste insieme ai comunisti e contro la de ufficiale. Per noi contava il fatto che Gronchi fosse ex combattente decorato. E poi era stato un ex sottosegretario del primo governo di Mussolini, dal quale era stimatissimo... Ma era anche il concorrente di Fanfara nell'apertura ai socialisti. Questo era un altro aspetto della questione. Di fatto, Gronchi aveva fatto parte di quella pattuglia di deputati popolari che insieme alle destre e ai liberali votarono i pieni poteri a Mussolini. I deputati fascisti erano allora soltanto 39, e senza gente come loro, Mussolini non avrebbe avuto i pieni poteri. Andiamoci piano. Gronchi fu un oppositore totale di Mussolini e del fascismo. E uno dei più intransigenti aventiniani... L'Aventino arrivò dopo. Anni dopo. Comunque noi riconoscevamo in Gronchi un uomo che aveva condiviso lealmente una parte del nostro passato. Riconoscimento ricambiato: Gronchi consentì al suo fido Tambroni di farvi diventare determinanti, e di vincolare il suo governo. Avevate calcolato anche questo? Noi cercavamo molto meno: vo- levamo ottenere la legittimazione. Non dimentichi che appena tre anni prima, nel 1952, Sceiba aveva creato lo strumento giuridico per scioglierci. Decidemmo di resistere dimostrando di esistere sul piano parlamentare. La vostra legittimazione fallì: i fatti di luglio vi misero fuori gioco e Gronchi vi scaricò senza esitazione. Sì. Lui aveva questo problema. Si doveva difendere dall'accusa di essersi compromesso con noi. Gronchi non permetteva a nessuno di accusarlo. Era duro, terribile. Appena uno si azzardava ad attaccarlo, partiva la denuncia per vilipendio. Sa: non era mica Cossiga. Gronchi era un osso durissimo. Ma Tambroni aveva fama di uomo di sinistra. Avreste votato chiunque? Tambroni già aveva cambiato atteggiamento. Non era più di sinistra. Aveva visto che il governo di Adone Zoli si era retto proprio grazie ad un voto, un solo voto missino, quello di Leccisi... L'uomo che trafugò la salma di Mussolini. Lui. E forse Leccisi aiutò Zoli perché era di Predappio, il paese del duce. E Tambroni stava a guardare questo esperimento. La de vi aveva chiesto i voti anche per eleggere Antonio Segni? Segni i nostri voti li aveva già ottenuti come presidente del Consiglio e non fu difficile concederglieli per il Quirinale. E perché vi piaceva? Era un conservatore, ma non un fascista. Segni ci piaceva perché aveva avuto il coraggio di usare l'espressione «la nostra cara patria», in tempi in cui era considerato fascista chiunque usasse la parola patria. Questo ci piaceva. Inoltre noi non cercavamo dei reazionari, ma dei politici che non si vergognassero di dirsi orgogliosi di essere italiani. Tutto qui. E lo votaste. Chi venne quella volta dalla de a chiedervi i voti? Non ci furono appuntamenti segreti. Basta andare a rileggere i giornali. Mi creda: non c'erano trattative sottobanco. Comunque la trattativa per Segni la svolse direttamente il segretario Arturo Michelini, che era anche un amico personale di Segni. Quello che aveva sempre gli occhiali da sole nerissimi. Aveva un occhio leso? No, era soltanto un po' strabico. Furono trattative condotte con discrezione, ma non sottobanco. Erano normali. Eppure i democristiani lavoravano nell'ombra in questi casi. Rumor rivelò di essersi fatto prestare la casa da Eugenio Cefis per invi¬ tarvi Luigi Longo in gran segreto e chiedergli i voti comunisti per Leone. Con noi le cose erano più semplici. Michelini amava la vela e invitava spesso Segni in barca. Ma la vera operazione dcmsi fu quella per eleggere Leone. Ma ci usarono e ci buttarono. Furono i liberali a trarne vantaggio. Con il primo governo Andreotti-Malagodi? Sì. Forlani ci usò. Noi eleggemmo Leone con i nostri voti determinanti. E per premio furono portati al governo i liberali. Lei conferma, quindi, che il voto missino fu trattato e diventò determinante per eleggere almeno tre presidenti? Se lo confermo io? Ma sta sui libri di storia. E mi creda: non fu nulla di nascosto, tutto era molto più visibile di oggi e i voti missini furono chiesti, dati, usati. Paolo (Suzzanti .A destra: l'ex Presidente della Repubblica Giovanni Leone In basso: il missino Raffaele Valensise

Luoghi citati: Predappio, Roma