Bufera su Genova Expo: «E' una fiera da paese»
Bufera su Genova Expo: «E' una fiera da paese» Poca pubblicità, servizio d'ordine caotico, sporcizia. L'architetto Renzo Piano: è stata tradita la città Bufera su Genova Expo: «E' una fiera da paese» Le 53 nazioni espositrìci attaccano le celebrazioni colombiane GENOVA. Lo scossone, all'Expo colombiana, era nell'aria. Ancora una volta confermiamo l'incapacità di far bene le cose fino in fondo. Il progetto di Renzo Piano era affascinante. Poteva motivare riserve o critiche per alcuni aspetti ma conteneva una grande promessa: restituire ai genovesi il rapporto diretto, fisico, col mare e imporre all'attenzione del mondo questa città da decenni mortificata, divenuta periferica nel circuito nazionale delle idee ma anche nell'economia e nel turismo. Troppo pochi conoscono il suo cuore di pietra che racchiude un'eredità storica e artistica da grande capitale. Il fatto che i visitatori siano molto meno numerosi di quelli desiderati, tanto da far prevedere un milione alla chiusura contro i 3 messi sulla carta, dice chiaramente che Genova non ha saputo vincere la sfida. «La gente viene invitata ad una sagra commerciale», dice Piano e punta il dito sull'invasione dei chioschi indecenti, sulla mancanza di elementari parti dell'arredo come le panchine, sulle cancellate che negano il libero affacciarsi della gente, sui moli e sull'acqua. «L'Expo non sia il sinistro presagio di un dopo-Expo in cui il porto resta segregato dalla città». E' questo il tema di fondo: fino al giorno dell'inaugurazione era lecito sperare che l'Expo, pur con lacune e ritardi evidenti, venisse utilizzata come lo strumento della riconquista di una identità annebbiata, quella di città marinara. Dopo i riti d'apertura s'è vista la caduta nella volgarità fieristica. Si direbbe che i genovesi responsabili delle Colombiane (alle accuse di Piano ha replicato l'amministratore delegato dell'Ente Colombo, Renato Salvatori: «Piano è stato chiamato per il progetto di recupero del porto vecchio, non per esprimere opinioni sull'allestimento dell'e¬ sposizione), al di là delle polemiche sulle colpe dell'ente organizzatore, non abbiano afferrato il valore dell'occasione che si offriva. Tanto meno lo ha afferrato il governo. Piano è stato trasformato in un divo da esibire come nuovo genio genovese senza preoccuparsi di capire e indirizzare il suo progetto verso un'effettiva rinascita della città antica, incombente sul porto storico recuperato. C'è di peggio: i lavori sono stati segnati da cadute di qualità, da rinunce ingiustificate. Per mesi si era discusso dell'area archeologica, comprendente i moli trecenteschi, poi più nulla. La grande piazza pedonale attorno a Palazzo San Giorgio, doveva essere coperta da un manto di pietra in armonia con i selciati antichi, come la pavimentazione dei moli restaurati. All'ultimo è stato steso un manto nero di bitume. La «via del mare» doveva proseguire sull'acqua fino all'Isola delle Chiatte, da cui godere l'immagine inedita della città, ma l'Isola delle Chiatte non è stata completata. I commissari dei 53 Paesi partecipanti hanno protestato per la disorganizzazione, per la segnaletica insufficiente, per la scarsa pulizia, per il servizio d'ordine caotico. C'è qualcos'altro da mettere in luce: si è fatto ricorso a procedure e finanziamenti straordinari col pretesto delle Colombiane senza mantenere le promesse e succhiando alle casse dello Stato finanziamenti per opere estranee. Dei 3750 miliardi profusi in quattro Regioni nel nome di Colombo, soltanto 580 sono andati al recupero del porto storico, poco o nulla alle parti più degradate dei quartieri antichi. Le origini del tradimento di cui parla Piano sono profonde, non misteriose e non soltanto genovesi. Mario Fazio
Persone citate: Mario Fazio, Renato Salvatori, Renzo Piano
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