Gay Talese, alle radici di Little Italy di Piero Soria

Gay Talese, alle radici di Little Italy Incontro con lo scrittore americano, autore della saga «Ai figli dei figli» Gay Talese, alle radici di Little Italy MILANO DAL NOSTRO INVIATO «Non sono come Mario Cuomo, un uomo da villaggio, un istruito gesuita del Sud che ha sposato una siciliana, che vive con gli immigrati e con i loro figli, che li conosce uno per uno, che ricorda il colore delle scarpe di ciascuno e che chiama persino i cani con il loro nome» - dice Gay 'alese. «Io sono come Francis Ford Coppola: un americano. Ho dato un taglio con la lingua. Ed ho evitato come la peste "le mogli del paese tuo": I carne out from my village, sono uscito dal villaggio. Non ho a che fare ogni giorno col prete, col macellaio, col mafioso, col pizzaiolo. Cuomo non si presenterà mai candidato alla Presidenza. Non è uomo da Washington, perderebbe il contatto con i suoi amici, alla Casa Bianca sarebbe solo un emigrante sradicato. E lo sa». Talese è in Italia per presentare Ai figli dei figli, una saga familiare che, avvolgendo tre generazioni, scruta nelle origini di quel puntino geografico che risponde al nome di Maida, città della montagna calabrese a metà strada tra lo Ionio e l'Adriatico. «Ecco, mio padre, che oggi ha 89 anni ed è lucido e svelto come un tempo, è un po' come me. Il bastimento l'ha rovesciato sulle banchine di Alice Island. Ma lui non si è fermato lì, con gli altri. E' sceso nel Sud del New Jersey, su un'isola metodista, ad Ocean City, con i soli irlandesi a dirsi cattolici. Faceva il sarto ed ha aperto la sua sartoria. E per avviare i suoi affari ha subito usato lo spirito americano: una lotteria, lo Suit Club. Un vestito gratis a chi, la domenica, veniva estratto. I soci erano talmente numerosi che quel taglio veniva a costargli pochissimo persino durante la Depressione. E poi ha sposato un'italiana diversa, una che aveva dato un taglio con la famiglia per lavorare in un grande magazzino di Brooklyn, lasciando così a casa l'italianità ed un padre perennemente vestito di nero, dentro e fuori». Il sessantenne Talese ha una figura secca, i capelli bianchi, U volto da faina, occhi severi ma disposti a un sorriso arricciato che si allarga sulle pieghe del naso e della bocca, una voce vagamente nasale del tutto priva di inflessioni ancestrali, le mani a gestire lentamente. Non porta anelli, solo un paio di gemelli sottilmente vistosi sulla camicia di taglio anglosassone, a righine blu con colletto e polsini bianchi, («detesto i Brooks Brothers»), e tiene in modo smisurato all'eleganza: «Guardi qui, l'etichetta sulla giacca: 2, Rue de la Paix, Parigi. Sono i figli del cugino di mio padre. Anche loro italiani di villaggio : sono ritornati a Maida, hanno "rapito" due donne e le hanno sposate. Ma tagliano in un modo superbo. Mai comperato un vestito fatto. Me¬ glio attraversare l'oceano ed andare da loro». Hobby: tennis («sui campi almeno tre volte alla settimana», ginnastica («per scrivere ci vuole la schiena forte»), tifo («grande basket»), un po' di fumo e un po' di alcol («un sigaro, un brandy ed un martini per aperitivo») Talese ha un passato di grande giornalista al New York Times. Con Tom Wolfe ha inventato il newjournalism. «Detesto la prima pagina, l'inadeguatezza temporale di tutto ciò che vi compare: notizie, semplici notizie, destinate a morire in cinque minuti, immediatamente sostituite dall'evolversi delle cose. No, io amo la realtà, la descrizione del mondo, della gente semplice: camerieri, baristi, portinaie, la vita di tutti i giorni, che continua all'infinito. Per questo ho passato i miei guai e nessuno dei miei libri {The king- dom and the power, Onora il padre, La donna d'altri, ndr) ha avuto, dal mio giornale, buone recensioni». C'è chi si considera giornalista per tutta l'esistenza, anche se poi è diventato scrittore di successo. E lei?. «No. Graham Greene ci ha dato l'invasione del Vietnam, Tolstoj quella di Napoleone, ed Hemingway... No. Giornalista o scrittore è la stessa cosa: basta raccontare la realtà». Per la sua saga ha scelto un'altra invasione, quella di una fetta di Sud, dipingendo una specie di Radici calabrese. «Ho solo fatto il reporter della mia famiglia. Provate a rifletterci: l'Italia non è una nazione, è un miscuglio di origini e di tradizioni diverse. Come gli Stati Uniti. Un soggetto stupendo. Ùn luogo in cui è passata e si è fermata la storia del mondo. Pensate a Maida, un bu¬ co nell'universo: ebbene lì intorno si sono accampati i sibariti di Sibari e i pitagorici di Crotone. Poi Pirro con le sue inutili vittorie, Spartaco schiavo di Roma, Annibale con i suoi elefanti, normanni, i tedeschi di Federico H, arabi, francesi e spagnoli. Ad un certo punto Cavour disse: "Siete italiani". Ma chi era il nostro re? 11 Borbone. Io stesso mi sento orfano del re delle due Sicilie». Sembra un soffitto incrostato dal quale appare un affresco inatteso. «Ci pensi: anche la Chiesa cattolica spagnola era diversa: più inquisitiva, più esagerata, gente severa, sempre scura in volto. Basta guardare un ritratto di San Francesco da Paola, il santo di casa: mai visto uno più corrucciato, torvo, incapace di sorridere. Eppure dalle nostre parti lo abbiamo fatto camminare sulle acque, gli abbiamo attribuito mille miracoli. Mio padre ha attraversato il mare, ma non quest'oceano mistico. Un esempio? Era vecchio, stava male, l'ambulanza era già sotto casa, non c'era verso di farlo scendere. Rimaneva in ginocchio a pregare il suo santo. "Vieni - gli dicevo - sono qui per te, non possiamo farli aspettare, ci sono anche altri". Ma non mi sentiva. Poi ad un tratto si è alzato ed ha sorriso della mia mancanza di fede: "Vedi, sono guarito, il mio Francesco ha fatto un altro miracolo"». E lei? «La mia religione non è quella dei santi: credo solo nel lavoro, nella forza di essere utile agli altri». Per chi vota? «Chi ha un background da immigrato, in genere è conservatore. Ma Bush è un maneggione corrotto. No, sceglierei Ross Perot, il miliardario texano raccontato da Follett, l'organizzatore del commando che doveva liberare gli ostaggi americani in Iran. Nello stesso tempo però mi sento anche molto radicale. Detesto i grandi governi, quelli alla Reagan, che determinano la moralità della gente frugando nei talami di famiglia. Per me la pornografia non è letteratura, ma mi oppongo a chi cerca di abolirla, di censurarla. E' un fatto privato come il sesso, che c'entra il governo?». Come le sembra quest'Italia di oggi, quella senza Presidente e quella degli scandali? «Mussolini diceva: "Governare l'Italia non è difficile, è inutile". Forse le vostre cattedrali sono così grandi perché il diavolo occupa tanto spazio. D'altra parte, dai Medici in poi, è valido il detto: "Dove c'è grande fortuna, c'è grande crimine". Gli italiani sopravvivono perché sono individualisti, multifunzionali: hanno una doppia, una tripla vita. Sono uno diverso dall'altro. Ho visto gli alpini: che tipi incredibili. Ad unirvi c'è solo una cosa: la musica». Ne è convinto? «Rettifico: nemmeno quella». Piero Soria «Mario Cuomo, uomo da villaggio Non sarà mai un Presidente» ti regista Francis Ford Coppola Nell'immagine grande, Gay Talese Mario Cuomo. Per Talese è «un istruito gesuita»