Lingotto d'oro Il libro in fabbrica

LINGOTTO D'ORO Il libro in fabbricaSi apre domani la «sei giorni» italiana dell'editoria: novità, incontri, protagonisti e grandi assenti LINGOTTO D'ORO Il libro in fabbrica PTORINO ER cinque giorni e mezzo saranno tutti uguali. Il quinto Salone del Libro 1 che si apre domani mattina alle 10 al Lingotto (rimane aperto fino a martedì) promette di mescolare le carte. Non più un villaggio come negli scorsi anni, con una «piazza» centrale e presunti ghetti periferici. Ma un unico grande ambiente, con tanti filari paralleli, senza gerarchie, senza appendici. Così nessuno si lamenterà, speranr gli organizzatori, e non si arriverà alle proteste del passato quando i «piccoli editori» si misero a volantinare. Dopo Kraus, i concerti, le automobili, il Lingotto si prepara ad ospitare anche il libro. Un collaudo importante e una scommessa sul futuro. Mentre Francoforte perde colpi e Parigi acquista consensi, Torino cerca di imboccare, dal prossimo anno, la strada dell'internazionalità. Nell'ex sala Presse ridisegnata da Renzo Piano i libri respirano, sono protagonisti. Severe le regole sull'allestimento per mantenere l'ariosità. Le pareti degli stand, ad esempio, non possono superare i quattro metri, per non provocare claustrofobia. Erica Giacosa, responsabile dell'organizzazione, ha girato implacabile nel formicolio di operai e falegnami per far abbattere le barriere fuori legge. Oltre al verde e blu, colori bandiera, dominano il grigio e il rosa del marmo siigli stand (il più grande è quello Mondadori, 400 metri quadrati). Grandi tubi azzurri sul soffitto. Ovunque macchie di alberelli, panchine, cespugli di alloro. Ventisettemila metri quadrati. Una grande sala per gli editori e un'altra a fianco, con i padiglioni dei convegni. La superficie è poco più grande del passato, ma è aumentata l'offerta di servizi. Una trentina di salette per incontri molto attrezzate, ristoranti, nursery. C'è anche un negozio di Swatch che vende gli orologi feticcio per tutta la manifestazione a prezzi veri di mercato. Per i visitatori, 4 mila posti auto. Affittare uno stand costa 220 mila lire al metro quadro per quelli già allestiti, 140 per quelli liberi. Luce compresa. Lo stesso prezzo di 3 anni fa, per dare uno schiaffo all'inflazione e incoraggiare l'editoria in crisi. Una scelta faticosa, perché il budget è sceso a 3,3 miliardi, contro i 5 dell'88. Il prezzo del biglietto è lievitato da 8 a 9 mila lire. Tra stand e convegni il Salone porta a Torino un centinaio di scrittori. La Feltrinelli sfila i migliori gioielli, con la triade Gùnter Grass, Nadine Gordimer, Richard Ford. Inge Feltrinelli fa la Cornelia, squaderna un ricco ca¬ lendario di feste a Villadeati e non nasconde l'entusiasmo: «Le fiere mi eccitano. Hanno qualcosa di alchemico. Mi piace vedere la gente che fa la fila per toccare e comprare libri. Ci torno volentieri a Torino, ogni anno. Garantisce un'efficienza nordica. La nuova sede mi piace, ammiro Renzo Piano. Quest'anno porterò due editori stranieri miei amici, Wagenbach e Bourgois». Un primo passo verso la dimensione internazionale? «Chissà, staremo a vedere. Torino, comunque, è unica al mondo». Gli editori presenti sono 829, undici meno dello scorso anno. Mancano i tradizionali Longanesi e Sperling & Kupfer. «Come vicepresidente dell'Aie - dice Tiziano Barbieri Torriani, proprietario della Sperling - sono favorevole all'iniziativa. Ma come proprietario, faccio calcoli biecamente economici. Venirci come editore non mi conviene. I costi dello stand, del personale sono superiori alle vendite. Il Salone dovrebbe essere itinerante per raccogliere visitatori nuovi ogni anno. Torino, purtroppo, cade negli stessi giorni dell'Aba, la maggiore fiera americana di librai. Un editore italiano non può non parteciparvi. E così dovrò andare a Los Angeles». Alcuni editori usano Torino come palcoscenico per schierare i candidati ài maggiori premi prossimi venturi, da Consolo a Malerba, da Siciliano a Riotta. Verrà una nutrita pattuglia dei nuovi scrittori, comici, attori, umoristi. Un omaggio al pubblico che li ha promossi nelle classifiche. Ci sarà Ferrini nella veste di ecologo a presentare il «comunista», un esemplare in via di estinzione, Ippoliti con i suoi mostri letterari, Gnocchi con le sue «lievi imprecisioni». Tra i più entusiasti degli italiani, c'è Luciano De Crescenzo, negli scorsi anni al centro di scene da divismo. L'esploratore di miti farà una conferenza insieme a Pazzaglia, con «consigli per gli acquisti dei classici». «Vengo al Salone con una missione - dice De Crescenzo -, mi sento come un crociato che deve convertire la grande tribù di non-lettori, ostinati, bellicosi, irraggiungibili. Iniziative come il Salone ce ne dovrebbero essere a decine. Se noi autori non partecipiamo entusiasti saremmo dei masochisti. Dobbiamo riprendere l'iniziativa e riguadagnare un po' di spazio sulla tv, la vera nemica del libro. Spero di incontrare tanti infedeli e convertirli alla vera religione del libro». Ma poi si lascia travolgere dal tg. E' commosso quando sente del premio di Cannes a Gianni Amelio. «Che bello, finalmente una bella notizia». Il tema centrale della Fiera è «Genio e regolatezza», un modo per esplorare i meandri della creatività contro il mito romantico dello Sturm und Drang. Il disordine creativo era un mito ottocentesco. Oggi i geni usano computer e disciplina monacense. Enzo Siciliano ne parla con i diretti interessati. Un'ora al giorno. Gli interlocutori vanno da Attilio Bertolucci a Paolo Mieli, da Renzo Piano a John D. Barrow. Tra gli altri incontri, un importante convegno del premio Grinzane Cavour per esplorare le letterature dell'Est europeo, senza pastoie é privilegi del vecchio comunismo. Una volta c'era la censura, ma anche una gran voglia di leggere libri. Oggi c'è il mercato, scarseggia la carta, furoreggia l'erotismo. Che fine faranno gli scrittori? Alcuni tra i più importanti protagonisti del vecchio dissenso ce lo raccontano, dall'albanese Kadarè al bosniaco Matvejevic, dal cecoslovacco Klima all'ungherese Meszòly. Roberto Cotroneo smaschera «i luoghi comuni dell'editoria» avvalendosi della complicità di addetti ai la\ori, da Gian Arturo Ferrari a Giulio Einaudi. La Sony presenta il «libro elettronico», un minuscolo marchingegno che legge testi memorizzati su un minidisco ottico, si parlerà dell'informatica che può restituire il piacere del testo anche ai non vedenti. Chi fosse colto da nostalgia per il buon vecchio libro che fruscia mentre si sfoglia può fare un salto alla mostra «1492-1532,1 Gutenberg d'America». Si racconta lo straordinario viaggio di Giovanni Paoli da Brescia e Gilberto Barbero di Roccaverano. Amavano i torchi e nel 1539 lasciarono Siviglia per stampare libri nel Nuovo Mondo. Mentre i conquistadores cercavano tesori, loro installarono la prima tipografìa americana a Città del Messico. Il Salone sarà anche feste, mondanità, cocktail. Mescolerà cultura e libro spazzatura. Sarà, come dice il presidente Guido Acconterò, «la più grande libreria d'Italia». Corrado Augias gran paladino di libri e letture si prepara a venire. «Il Salone è un volano - dice, - trasforma il libro in evento. I giornali ne parlano, la gente tocca con mano. E' una cura contro la malinconia che attanaglia gli editori in questo momento difficile. Attira il pubblico, crea un'atmosfera festosa». Gli istinti si liberano (molti ne approfittano anche per rubare). Sfumano timori reverenziali, si incrinano strane aure. Michele, il compagno di Gino per le "formiche", ce lo assicura. «Il Salone mi aiuta a vincere il terrore che ho verso Torino - dice -. L'anno scorso ci ha portato fortuna. Lì ci siamo accorti che le "formiche" avevano successo. Una signora anziana si è avvicinata, ha comprato Anche le formiche nel loro pìccolo s'incazzano e se l'è fatto autografare. Mi ha confessato che era venuta al Salone per prendere quella copia, perché in libreria si vergognava di dire parolacce. Lì, in quella festa, ogni pudore era evaporato». Lo scrittore tedesco Gunter Grass «gioiello» del Salone Corrado Augias: «La fiera è una cura contro la malinconia» De Crescenzo: «Vengo a convertire i non lettori» rante per raccogliere visitatori nuovi ogni anno. Torino, purtroppo, cade negli stessi giorni dell'Aba, la maggiore fiera americana di librai. Un editore italiano non può non parteciparvi. E così dovrò andare a Los Angeles». Alcuni editori usano Torino come palcoscenico per schierare i candidati ài maggiori premi prossimi venturi, da Consolo a Malerba, da Siciliano a Riotta. Verrà una nutrita pattuglia dei nuovi scrittori, comici, attori, umoristi. Un omaggio al pubblico che li ha promossi nelle classifiche. Ci sarà Ferrini nella veste gli acquisti dei classici». «Vengo al Salone con una missione - dice De Crescenzo -, mi sento come un crociato che deve convertire la grande tribù di non-lettori, ostinati, bellicosi, irraggiungibili. Iniziative come il Salone ce ne dovrebbero essere a decine. Se noi autori non partecipiamo entusiasti saremmo dei masochisti. Dobbiamo riprendere l'iniziativa e riguadagnare un po' di spazio sulla tv, la vera nemica del libro. Spero di incontrare tanti infedeli e convertirli disordine creativo era un mito ottocentesco. Oggi i geni usano computer e disciplina monacense. Enzo Siciliano ne parla con i diretti interessati. Un'ora al giorno. Gli interlocutori vanno da Attilio Bertolucci a Paolo Mieli, da Renzo Piano a John D. Barrow. Tra gli altri incontri, un importante convegno del premio Grinzane Cavour per esplorare le letterature dell'Est europeo, senza pastoie é privilegi del vecchio comunismo. Una ho verso Torino - dice -. L'anno scorso ci ha portato fortuna. Lì ci siamo accorti che le "formiche" avevano successo. Una signora anziana si è avvicinata, ha comprato Anche le formiche nel loro pìccolo s'incazzano e se l'è fatto autografare. Mi ha confessato che era venuta al Salone per prendere quella copia, perché in libreria si vergognava di dire parolacce. Lì, in quella festa, ogni pudore era evaporato». tino per affrontare una grande, eccentrica, struttura fieristica. Se la struttura di Torino Esposizioni mimava la piazza del villaggio, per usare una espressione di Guido Accornero, ora abbiamo una grande metropoli. Allora il rapporto fra il piccolo perimetro del libro e quello grande del Lingotto fa bene sperare. Può restituire al libro, ad ogni libro, quella sua caratteristica di unicità, di silenzio che richiede, intorno a sé e al suo sconosciuto pescatore. Può ricordare al libro, e più in generale al lavoro culturale, echi di un lavoro manuale, di una cultura tecnologica. E' come se, auspice la fantasia di Matte Trucco, si incontrassero, dopo traiettorie diverse il sapere umanistico e il sapere scientifico. Forse rimpiangeremo il Valentino, le roverelle e i ristoranti sul Po, ma non saremo assillati dalla canzone di Salvi: «C'è da spostare una macchina». Ora al Lingotto, fra un libro e l'altro c'è posto anche per lei. Nko Orango