Fuga da Bangkok, città in guerra di Luigi Grassia

Fuga da Bangkok, città in guerra Esodo dei turisti. Negli scontri 200 morti e 2 mila arresti, il dittatore in tv: sparate a vista Fuga da Bangkok, città in guerra In 10 mila barricati all'Università: non cederemo BANGKOK. Spari per le strade, sangue, incendi, caos e turisti in fuga: quésto l'aspetto di Bangkok il giorno dopo il massacro, perpetrato da polizia e militari sulla folla inerme che chiedeva democrazia - 200 morti, dicono fonti mediche: ma sembra che le autorità facciano sparire quanti più cadaveri è possibile. Negozi, uffici pubblici, scuole, università sono chiusi. Soldati e poliziotti sparano ad altezza d'uomo, arrestano e picchiano senza misericordia e senza badare alla presonza di telecamere e giornalisti stranieri. Duemila dimostranti che si erano rifugiati nel Royal Hotel, sul viale Rajdamnern, sono stati stanati stanza per stanza, pestati a sangue e portati via. Ma la capitale non si è piegata mentre voci di manifestazioni di protesta giungono da altre parti della Thailandia. Ieri ci sono stati nuovi scontri e vittime in numero imprecisato. Palazzi governativi bruciavano ancora nel primo pomeriggio. Lungo il fiume Chao Phraya, come l'altro giorno, i dimostranti si sono adunati per chiedere le dimissioni del premier, generale Suchinda Kraprayoon; ieri sera un altro forte nucleo di resistenza (10 mila studenti) si stava costituendo all'Università. La protesta segue due filoni, da una parte la non violenza professata dal leader dell'opposizione Chamlong Srimuang, arrestato ieri mentre dirigeva il corteo dei manifestanti, dall'altra l'attacco fisico alle «forze dell'ordine». Su questo secondo versante ci sono da segnalare gli incendi di autobus e degli edifici che ospitano il ministero delle comunicazioni e l'ufficio delle imposte. Per le strade scorrazzano bande di motociclisti che si abbandonano a violenze (ma potrebbe trattarsi di provocatori). Bersaglio preferito: lui ^poliziotti.) : Giòii ha : dato spunto alla propaganda governativa per giustificare la propria azione repressiva: via tv la giunta militare ha giurato di stroncare «le gang di teppisti in motocicletta» e ha ammonito che «squadre della morte» hanno avuto il compito di sparare a vista su chi si macchia di «danneggiamento e incitamento alla rivolta». Suchinda, il premier contestato, è riapparso a sua volta in televisione e in un confuso discorso ha attribuito la responsabilità della grave situazione a Chamlong e ai comunisti, di cui ha indicato il capo nel generale Chavalit Yongchaiyudh, un suo personale avversario. Politicamente più incisiva della violenza di piazza, che non ha sbocchi contro il potentissimi) apparato repressivo, ieri è continuata anche la protesta non violenta. Migliaia di persone hanno occupato un ponte sul fiume Chao Praya in pieno centro; altre 10 mila si sono adunate davanti alla più grande università di Bangkok, su viale Ramkhamheang, costruendo barricate. «Le truppe verranno ma noi non ci muoveremo» dicevano ieri sera gli studenti mentre il cerchio cominciava a stringesri attorno a loro. Nel pomeriggio altri tremilacinquecento dimostranti si erano radunati davanti a una stazione di polizia e avevano tentato di assaltarla per liberare 1300 dimostranti che vi erano trattenuti in arresto, ma l'attacco è rientrato. Secondo voci i manifestanti punterebbero anche a liberare con la forza Chamlong. Condannando la repressione, gli Usa hanno sospeso le manovre congiunte con l'esercito thailandese. Luigi Grassia Su una bandiera thailandese i dimostranti portano il cadavere di una vittima della repressione [FOTO ANSA-EPA]

Persone citate: Chao, Chavalit Yongchaiyudh, Suchinda Kraprayoon

Luoghi citati: Bangkok, Usa