Nel Karabakh i curdi alleati degli armeni
Nel Karabakh i curdi alleati degli armeni E la Turchia minaccia un intervento militare Nel Karabakh i curdi alleati degli armeni MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Mentre a Baku il Fronte Popolare sta cercando di consolidare il potere strappato all'ex presidente Mutalibov con una sollevazione popolare, i combattenti armeni intensificano le operazioni militari su tutti i fronti. Dopo aver aperto un «corridoio» che collega il Nagorno-Karabakh con l'Armenia e aver cacciato le forze azerbaigiane dagli ultimi villaggi della regione contestata, gli armeni hanno lanciato un'altra offensiva, questa volta contro le zone di confine del Nakhicevan, enclave azerbaigiana stretta tra l'Armenia e il confine con Iran e Turchia. Il bilancio delle vittime sarebbe alto: una quarantina di morti e almeno 300 feriti delle due parti. Fonti azere ammettono che la battaglia è ormai «largamente fuoruscita» dai contorni del Nagorno-Karabakh. Ma è evidente che la guerra sta uscendo anche dai confini del confronto tra Armenia e Azerbaigian. Infatti la conquista di Lacin, centro (in territorio azerbaigiano) da cui le forze di Baku controllavano la stretta fascia di terra che separa la regione contestata dalla «madrepatria» armena, sembra sia avvenuta con l'apporto decisivo della popolazione di nazionalità curda che, in maggioranza, abita la zona. Erevan afferma che Lacin non è stata conquistata dalle «forze di autodifesa» del Nagorno-Karabakh, bensì dagli stessi curdi. Baku replica trattarsi di una manovra propagandistica. Ma non sembrano esserci dubbi sul fatto che la popolazione locale curda lascia passare le colonne armene di rifornimento senza esercitare alcuna resistenza. In altri termini curdi e armeni avrebbero stipulato, come minimo, una tacita alleanza anti-azera. D'altro canto la crisi sta ormai dilagando fuori dai confini della stessa Comunità di Stati indipendenti. L'offensiva armena ha provocato durissime reazioni sia a Teheran sia, soprattutto, ad Ankara. Il governo iraniano, attraverso il viceministro degli Esteri Mahmud, ha condannato seccamente l'«aggressione flagrante» dell'Armenia, ribadendo che «il Nagorno-Karabakh è inseparabile dall'Azerbaigian». Anche più oltre si è spinto il premier turco Demirel: fino alla minaccia di un intervento delle truppe turche a difesa dell'integrità territoriale del Nakhicevan, di cui la Turchia è infatti «garante», in base ad un accordo internazionale del 1920, anno di nascita dell'enclave azerbaigiana. Il presidente turco Ozal ha ribadito l'avvertimento. Ozal ha precisato che la Turchia opererà per «ristabilire lo status quo», riportando Lacin e l'intero Nagorno-Karabakh sotto giurisdizione azerbaigiana. Solo allora - ha detto - «i negoziati potranno essere ripresi». Ma il quadro politico è ora dei più complicati e pericolosi. L'Armenia è uno dei sei Paesi della Csi che ha firmato il trattato di «sicurezza collettiva». Prevede che ciascuno dei Paesi membri abbia diritto all'aiuto, «incluso quello militare», degli altri in caso di aggressione armata dall'esterno. L'A¬ zerbaigian non ha fumato. A stretto rigore di termini, Mosca e Alma Ata, Bishkek, Dushanbè e Tashkent, sono ora vincolati all'obbligo di assistenza verso Erevan. Numerosi commentatori guardano con apprensione ai possibili sviluppi della crisi. In caso di intervento multare turco, l'intero quadro politico della regione risulterebbe sconvolto. Il dilemma della dirigenza russa diverrebbe acutissimo. Non a caso ieri la «Nezavizimaja Gazeta» rivelava che Mosca ha cercato di riportare al potere il deposto presidente azero Mutalibov. Obiettivo del Cremlino - che gli eventi hanno demolito - sarebbe stato di ottenere l'adesione dell'Azerbaigian al trattato di sicurezza. In cambio Mosca avrebbe concesso armi alle forze azerbaigiane, mantenendo un equilibrio tra le due parti in lotta. Ora l'equilibrio è crollato e Eltsin potrebbe trovarsi di fronte alla necessità di decidere «da che parte stare». Con tutte le conseguenze del caso. Giuliette Chiesa
Persone citate: Demirel, Eltsin, Giuliette Chiesa, Mutalibov, Ozal
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