Quel pizzo che accende l'eros

Quel pizzo che accende l'eros Dalla Belle Epoque al femminismo: un saggio storico sul reggicalze Quel pizzo che accende l'eros Un 'esperta di costume-, «E' ora di riscoprirlo» D PARIGI IARIO di una rimonta: a furia di frugare tra la biancheria intima femminile, il Desiderio esce dal torpore e fa ritorno al buon tempo andato. A soccorrere l'uomo giunge piena di buone intenzioni Lili Sztajn. Secondo lei responsabile del disastro erotico - e del grave calo delle nascite - è la donna: «colpevole di collant». Histoires du portejarretelles (Edizioni La Sirène) è l'insinuante, informatissimo volume che la giovane e graziosa storica del costume Lili ha scritto per ridare voglia agli svogliati. Il reggicalze. Lì sta il segreto. Con l'alibi della comodità, l'abbiamo chiuso nei cassetti. Un gesto liberatorio che ha soffocato di colpo, stringendolo al colloi con l'infame collant, il richiamo dei sensi. Incita Lili: tiriamo fuori il reggicalze. Vogliamo davvero che se ne stia chiuso là dentro mentre noi, comode e libere, non siamo più in grado di sedurre nessuno? Per rimettere ogni cosa al suo posto, e risollevare le sorti del desiderio caduto, Lili risale alle origini (del reggicalze). Niente come la storia, il suo mestiere le insegna, è maestra di vita. Torniamo alla verità, dice, a partire dall'invenzione. Tutti crediamo che sia stato Gustave Eiffel, l'ingegnere della Torre, a disegnare per primo l'indumento. Ci hanno raccontato che un giorno, al ristorante, lo schizzò su un angolo della tovaglia per alleviare la moglie che, tondetta, non ne poteva più di giarrettiere e busti, nemici della sua circolazione. A tal punto abbiamo creduto il serio inventore dell'anemometro pendolare e costruttore di viadotti ossessionato dal problema, da vedere nella Tour - non per niente soprannominata «Mademoiselle» - una figura di gamba lanciata verso il cielo, con reggicalze. Macché. Leggenda metropolitana messa in giro negli Anni 60 da un umorista, Jacques Lob. Fu così ben accolta, che Lob per accreditarla e divertirsi alle spalle di tutti ne fabbricò i documenti, ritagli d'epoca, articoli. Povero Féréol Dedieu, non geniale ingegnere ma mereiaio alla ricerca del brevetto per diventare ricco. Fu lui, nel 1876, ad avere l'idea. Leggeva riviste mediche in cui da tempo si parlava degli effetti dannosi di tan-, ta costrizione di carni. Le signore all'epoca erano chiuse in micidiali strumenti di tortura che le modellavano dal collo alle caviglie ma ne strizzavano e comprimevano gli spiriti vitali. Oltre a renderle, per i più, scomodamente inaccessibili. Féréol Dedieu immaginò il varco, sfoderò forbici, metro e fettuccia e cucì il primo «petit appareil». Di lì a poco anche il busto si sarebbe spaccato in due e progressivamente accorciato, per diventare reggiseno. L'inizio dell'era moderna. Lui però, il vero benefattore della donna, Dedieu, era sfortunato. Non poteva sapere che i posteri l'avrebbero defraudato della sua invenzione, ma fin da subito fu costretto a constatare che il reggicalze - pur così sano, aerato e rivoluzionario - non prendeva. E si adagiò amareggiato sul fallimento, ignaro di essere arrivato a meno di un passo dalla miniera sperata. Il fatto è che l'aggeggio, disegnato da lui, era ben poco attraente. Faceva pensare più a un marchingegno ortopedico che a un capo di biancheria. A renderlo malizioso e trarne le pepite d'oro sognate da Dedieu fu Paul Poiret, il perspicace stilista. Grazie a lui il reggicalze s'introdusse sotto le gonne delle signore, ansiose di rivaleggiare - restando virtuose - con le giarrettiere del Moulin Rouge e tutte le diavolerie di Offenbach e del «french cancan». Poi venne Marlene. 1930, l'Angelo Azzurro: il primo reggicalze dello schermo. Con il cilindro in testa, seduta su un barile, Lola alzava la gamba ed eccolo là, tra «coulotte» e «bas», teso sull'impareggiabile coscia di velluto, a coprire scoprendo. La fettuccia, il gancio, il bordino di pizzo. Fu allora che il reggicalze sequestrò la libido del maschio. Cinematograficamente, era l'inizio di una carriera fortunatissima, destinata a durare nelle opere davvero grandi - anche oltre l'avvento del nudo integrale a oltranza. Memorabile il reggicalze di Arletty in Hotel du Nord. Un trionfo quello di Romy Schneider nello sketch viscontiano di Boccaccio 70. Un'opera d'arte quello di Laura Antonelli in Malizia, e notevole anche quello di Stefania Sandrelli nella Chiave. Ben l'aveva spiegato Truffaut, l'uomo che amava le donne: scoprire tutto è buttare alle ortiche poesia e mistero. Ma i veri saggi si contano sulle dita di una mano. E fuori dal mondo della celluloide, il reggicalze ebbe una vita molto più difficile e irta di ostacoli. Per un buon periodo, negli Anni 50, furoreggiò grazie anche a quel che era successo du- rante la guerra. Il venir meno di seta per le calze e il desiderio di portarle lo stesso, anche solo per finta, avevano spinto le giovani donne a disegnarsi la riga sulle gambe con la matita per gli occhi. Le meno abili si erano fatte aiutare dai fratelli minori, e avevano formato così una generazione di futuri «amateurs», irriducibili del misterioso sostegno allora fantasticato. Il non plus ultra per i puristi fu raggiunto nel '57 con la comparsa del tacco a spillo, che ripeteva - simmetrico - la sagoma del rinforzo a punta di freccia sul tallone della calza con cucitura («bello, come il cigno con il suo riflesso»): gustose premesse al reggicalze. Ma ecco, contemporaneo, il primo cenno di declino: l'arrivo con il nailon delle calze senza cucitura, inizio di emancipazione dalla schiavitù di dover sempre tenere righe e tallone sotto controllo. Loro non lo sapevano, ma secondo Lili Sztajn i veri assassini del reggicalze furono Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Perché incoraggiarono il femminismo senza prevedere che sarebbe degenerato e che negli Anni 70 avrebbe prodotto la morte della femminilità. Le donne vollero liberarsi da quel simbolo di sottomissione al fallo e militarono in favore del collant, adattamento - all'inizio della spessa calzamaglia per bambini. Era, in altre parole, la chiusura del varco aperto un secolo prima dal misconosciuto Féréol Dedieu. E che dire poi della filanca dai colori infami portata sotto i gonnelloni a fiori, quando la donna decise persino - abominio - di respingere la depilazio- ne e, nemica delle forme in risalto, buttò il reggiseno? Fu forse allora che per disperazione certi uomini si misero a indossarlo loro, il reggicalze. Ma siccome più in basso di tanto era impossibile scendere, proprio quando sembrava che solo i sex-shop di Pigalle lo vendessero ancora - ormai ridotto alla stregua di pornoaccessorio - ci fu chi ebbe il coraggio di aprire un negozio di lingerie, («Sabbia rosa») nientemeno che ' a Saint-Germain-des-Prés, proprio di fronte alla Libreria delle Donne. Una rappresentante della Maison Cadolle, che mai aveva cessato di produrre reggicalze «perbene», affrontò in diretta radiofonica le Pantere Rosa, feroci affossatrici. Alcuni uomini dotati di ardimento, osarono allora tirare finalmente in ballo il famoso desiderio. Cori di adesioni: la rivolta insperata, gli Anni 80 della sincerità. E' ormai storia recente: l'inaugurazione a Versailles del primo Salone dell'Intimo. Riservato nelle prime edizioni - è vero - a commercianti del ramo e voyeurs, ma segno dei tempi. Ora che il sesso, anche a causa dell'Aids, sembra rientrare nelle famiglie, il reggicalze si rifa vergine. Strumento di erotismo innocente per coppie regolari. Di nuovo sublime e insieme spiritoso. La morale? Per non ingenerare più confusione nel maschio, conclude impavida Lili, «il faut qu'une femme soit ouverte ou fermée» (bisogna che una donna sia o aperta o chiusa), discutibile variante della celebre commedia di Alfred de Musset. Gabriella Bosco L'invenzione fu attribuita per burla a Gustave Eiffel in onore della moglie. Il mito esplose al cinema con le gambe di Marlene Dietrich II reggicalze visto da Kurt Hutton nella foto intitolata «Two at the fair». Accanto: una proposta degli stilisti. A sinistra: Nastassja Kinski nel film «Maria's lovers» Laura Antonelli in una delle scene più famose di «Malizia»

Luoghi citati: Parigi