Che bravo quel regista è Leonardo da Vinci

Che bravo quel regista è Leonardo da Vinci Studiosi da tutto il mondo per la mostra veneziana di Palazzo Grassi Che bravo quel regista è Leonardo da Vinci VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Da Los Angeles è venuto anche Carlo Pedretti, considerato il nume tutelare della mostra «Leonardo & Venezia» a Palazzo Grassi (aperta fino al 5 luglio). Partecipa a una Due Giorni critica sugli interrogativi che l'esposizione ha sollevato a bella posta e che ora vuole approfondire. Bel tipo, Pedretti. Bolognese, allievo di Pallucchini, se n'è andato ancora studente in America e lì si è laureato innamorandosi perdutamente di Leonardo. Ha convinto la Nasa e la Rockwell, industria che costruisce gli Shuttle, a istituire il Premio Leonardo per gli scienziati. Ha chiamato attorno a sé, nell'Università di California, artisti come Matta e Jasper Johns: «Imparate da Leonardo - gli dice -. E' il più moderno di tutti». La modernità di Leonardo si racchiude simbolicamente nel famoso disegno, esposto a Palazzo Grassi, dell'Uomo Vitruviano, l'uomo inscritto a braccia aperte nel quadrato e nel cerchio: «Dà l'idea del movimento, sempre perseguito da Leonardo. Per questo Leonardo è un artista amato dal cinema. Leonardo è cinema. L'aveva capito già Eisenstein, che indicava nell'Ultima Cena un esempio perfetto di montaggio, di fotogramma in azione. Non è un caso che un Uomo Vitruviano animato troneggi a Disneyland in California. Non è neanche un caso che Zeffirelli volle fare un film su di lui. Zeffirelli è di Vinci, e possiede la casa del padre di Leonardo». Pedretti insiste su questo disegno, che risale al 1490 circa. Dice che è il fondamento di ogni proporzione, è l'alfabeto per capire i rapporti tra l'uomo e la natura, i rapporti di tutto ciò che costruisce l'uomo. Quelle proporzioni si applicano per esempio nell'architettura e nell'urbanistica fino a Le Corbusier, fino a oggi. «In una chiesa l'abside è in un certo rapporto con tutto lo spazio del tempio; in una città il centro è in proporzione con il contesto che lo circonda». Il commento migliore a questa scienza dei rapporti l'ha dato mille anni prima Sant'Agostino. E' questa la novità che Pedretti ha illustrato ieri mattina al convegno dei critici a Palazzo Loredan, sede dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Leonardo conosceva e amava, e lo portava sempre con sé, «La Città di Dio», stampato a Venezia nel 1480. Assolutamente centrali per lui, e vanno a braccetto, sono i concetti di bellezza e di utilità elaborati da Agostino. La bellezza è espressione della natura in quanto proporzione perfetta, e l'utilità è la funzione, il giovamento che si trae dalla natura. La natura va guardata come bellezza e goduta come utilità, non va mai violentata: «Un tema attuale, ecologico», dice Pedretti. Agostino invita persino a scoprire le bellezze nascoste, come i sistemi di vene e nervi, la vita che scorre sotto la pelle. La conoscenza, e dunque l'arte, non ha più i confini tradizionali. L'arte ha lo scopo di educare alla bellezza, alla fruizione utile della natura. L'estetica è morale, porta mitezza, contemplazione, pace. L'uomo acquista piacere dal suo equilibrio con il mondo. L'uomo gioca. La massima espressione di questa armonia uomo-ambiente è il sorriso. «Il sorriso in Leonardo è natura in atto», dice Pedretti. Poveretti gli uomini dediti al calcolo più banale ed egoistico. Pedretti cita a memoria un pensiero di Leonardo: «Agli ambiziosi, che non si accontentano del benefìcio della vita, è dato per penitenza che essi non godano della bellezza e utilità del mondo». Pedretti è soddisfatto della mostra «Leonardo & Venezia»: «Ha fra l'altro il merito di portare in primo piano i rapporti fra Leonardo e gli artisti della Laguna. Bisogna studiarli meglio, questi aspetti. Siamo qui per questo». Le critiche di Roderick Conway Morris sul New York Times (una mostra confusa, che non spiega bene l'influenza di Leonardo su Venezia) lo fanno ridere. Le stronca: «Morris non1 ha né la cultura né la sensibilità per capire». Giovanna Nepi Sciré, soprintendente ai Beni artistici e storici di Venezia, ha avuto l'idea della Mostra, insieme con lo storico dell'arte Pietro Marani. Secondo la Sciré i 150 mila visitatori finora accorsi sono stati attratti soprattutto dallo «straordinario insieme di disegni leonardeschi», una settantina, provenienti dall'Accademia e dalle principali raccolte ' nel mondo. Il disegno è la parola di Leonardo, diceva Adolfo Venturi. E' la sua telecamera portati¬ le, preferisce dire Pedretti. Quando Leonardo viene a Venezia nei primi mesi del 1500, scappando da Lodovico il Moro e da una Milano caduta in mano francese, si porta «due casse e tre coperte da letto» dopo aver messo al sicuro in una banca fiorentina 600 fiorini. Ha 48 anni, porta i capelli lunghi fino al petto e un insolito abitino corto al ginocchio, sa a memoria un repertorio di battute e favolette per affascinare i salotti. Canta accompagnandosi con la lira. Famosissimo pure a Venezia, raccontano che sembra tremare dall'emozione ogni volta che prende in mano un pennello. «Per noi organizzatori - dice Marani - i suoi influssi sono evidenti nelle opere che abbiamo esposto del Giorgione. Anche Giovanni Bellini lo tiene presente. Il fatto è che pittori leonardeschi sono già attivi da qualche anno a Venezia». L'orizzonte si allarga ancora di più. La giovane studiosa Kristina Hermann Fiore è convinta che Dùrer ha «bevuto» Leonardo proprio qui a Venezia: la sua nuova maniera di trattare nuvole e alberi e ogni paesaggio, lo sguardo prospettico e geometrico, la precisione insomma e l'amore nel ritrarre ogni forma di vita e di natura. Claudio Alta rocca Pedretti, massimo esperto dell'artista: «Eisenstein lo aveva capito per primo L'Ultima Cena un esempio perfetto di montaggio» a Leonardo nel celebre autoritratto. A destra in alto: «La Vergine delle rocce» (Londra). Nella foto piccola in basso: «Studi per i sistemi di propulsione in volo» e e l a ù