Negli «Occhi blu» di Gomes c'è l'Africa di ieri e di oggi di Alessandra Levantesi

Negli «Occhi blu» di Gomes c'è l'Africa di ieri e di oggi Negli «Occhi blu» di Gomes c'è l'Africa di ieri e di oggi CANNES. «Gli occhi blu di Yonta» del cineasta Flora Gomes (è un uomo nonostante il nome) merita la nostra considerazione perché, insieme al senegalese «Jene», è uno dei due solitari titoli in rappresentanza dell'Africa Nera dell'intero Festival. Batte bandiera Guinea-Bissau e, attraverso una piccola storia sentimentale, mostra tutto l'orgoglio di un'indipendenza conquistata a caro prezzo nel 1974 e tutte le contraddizioni di una modernizzazione troppo rapida. Gomes, che si era segnalato nell'87 con l'opera prima «Mortu Nega» alla Settimana della Critica di Venezia, presentandosi al pubblico di «Un certain regard» ha affermato di non reputarsi abbastanza maturo per esser chiamato regista, probabilmente per invitarci a guardare il suo film senza troppa severità. La cinematografia africana è giovane come le sue nazioni e cerca un proprio linguaggio: un po' di pazienza se, salvo eccezioni (Cissè, Sembene e pochi al¬ tri), ancora non l'ha trovato. Intanto godiamoci questa lettera aperta dal Continente nero che abbonda di simpatia, affettuosità e umorismo. Commessa in un grande emporio, la deliziosa Yonta (Maysa Marta) vive a Bissau con la famigliola, composta da un padre falegname, una madre centralinista e un fratellino vivace e megalomane che gioca a pallone per diventare come Maradona. E' segretamente innamorata di un amico dei genitori, Vicente, eroe dell'indipendenza che nel Paese in ricostruzione si è messo in affari, ma stenta a farsi strada. Tutto preso dal lavoro, Vicente non si rende conto del sentimento di Yonta nei suoi riguardi e, d'altronde, la ragazza a sua volta non si accorge dell'amore di un giovane studente che le scrive un'appassionata lettera anonima, ricopiata da un testo occidentale: infatti allude improbabilmente agli occhi blu della sua bella. L'episodico raccontino ha tut¬ tavia scarsa importanza. Quello che conta è Bissau, vera protagonista (lo dice pure Gomez) del film: una città vitale anche se mancano i soldi e l'energia elettrica è tagliata un giorno sì e un giorno no. La liberazione dal dominio portoghese non ha portato automaticamente con sé il miglioramento economico e sociale sognato. Si lamenta un vecchio scaricatore di porto che le casse pesano come prima e gli ex combattenti delusi, come Vicente, si rifugiano lontano dalla civiltà nel colloquio con gli dei ancestrali. Intanto la gente comune tira avanti con buonsenso tra passato e presente. Sono divertenti le scene di vita quotidiana dove si mescolano allegramente costumi tradizionali e aspirazione al modello consumistico. Ed è piena d'ottimismo l'immagine di Yonta dai fiduciosi occhi: neri, naturalmente. Perfetto contraltare all'africano in chiave di antipatia è «Il cekista» cui è spettato il compito di chiudere la quindicesima edi- zione di «Un certain regard». Concepito inizialmente come telefilm di un'ora per la serie «Storie russe» prodotta dalla Sept francese, il film di Alexandre Rogqjkine ha funzionato da sferzata di energia nella sala affranta dall'overdose di cinevisioni, provocando sentitissimi «buuh» di riprovazione. Sgomento ma non domo, il regista ha spiegato che l'effetto irritante era in qualche modo voluto. Lui intendeva mettere il pubblico nella condizione di identificarsi con il protagonista, temibile capo della «Ceka», la polizia politica bolscevica negli Anni 20. L'intellettuale Sbourov Andrej Pavlovic è un teorico della repressione nel sangue. Conti- nua a ripetersi che rivoluzione significa fare pulizia e non può che affermarsi nel dolore. Ogni giorno, con i suoi amici celasti, redige gli elenchi dei condannati a morte - senza andare troppo per il sottile, i nobili e i borghesi meglio farli fuori tutti - e ogni S'orno assiste alle esecuzioni gelo e impassibile. In fetide cantine abitate da topi, i prigionieri a piccoli grappi vengono spogliati e fucilati nudi di spalle, il viso contro porte incrostate del sangue di chi li ha preceduti. Il film va avanti così, puntando sull'accumulo dei cadaveri, finché Andrej, in un soprassalto di coscienza, non dà i numeri. E immaginatevi lo spettatore. Alessandra Levantesi Ron Howard, il regista di «Far and away», il film (fuori concorso) che chiuderà oggi il Festival

Persone citate: Alexandre Rogqjkine, Andrej Pavlovic, Cissè, Flora Gomes, Gomes, Gomez, Maradona, Ron Howard, Sembene

Luoghi citati: Africa, Africa Nera, Bissau, Guinea, Venezia