Povero Edipo: sarà giusto il castigo per il suo incesto? di Masolino D'amico

Povero Edipo: sarà giusto il castigo per il suo incesto? Sbragia e la Proclemer a Siracusa nella tragedia di Sofocle Povero Edipo: sarà giusto il castigo per il suo incesto? SIRACUSA DAL NOSTRO INVIATO Positiva inaugurazione della stagione di classici al Teatro Greco con un «Edipo Re» che vi sarà replicato un giorno sì un giorno no fino al 17 giugno, alternandosi con «Alcesti». Il capolavoro di Sofocle è apparso veloce (90' senza intervallo), appassionante, limpido; non si è persa una sillaba della svelta versione curata dalla Scuola di Teatro dell'Istituto Nazionale del Dramma Antico, e sì che erano stati accantonati i microfoni, deplorevole quanto superflua innovazione di un paio di anni fa. D'altro canto può mai deludere questo dramma, il più antico giallo del teatro occidentale? «Edipo Re» è come «Amleto», non c'è compagnia di dilettanti così sprovveduta da spegnerne del tutto l'interesse; ha troppi spessori perché un'esecuzione, anche la più sciagurata, non ne centri almeno qualcuno. Il rovescio della medaglia naturalmente è che nessun allestimento li centra mai tutti, e quindi la messinscena ideale è impossibile. Il regista Giancarlo Sepe aveva alcuni dei maggiori attori italiani; bastava coordinarli, curare il ritmo della narrazione, non creare diversioni futili. Così è stato, e bisogna essergliene grati. Percorrere la linea retta per andare da A a B può sembrare poco creativo, ma questo appunto, e non un intervento personale, chiediamo di solito al conducente del taxi. Salvo magari, giunti alla stazione con buon anticipo, rimpiangere di non aver indugiato davanti a qualche monumento, la cui rapida visione, ora ci sembra, avrebbe arricchito la visita. Scenografo e costumista, Uberto Bertacca ha ambientato la maggior parte dell'azione su di una piattaforma circolare bordata di finto ottone sbalzato come uno scudo, e centralmente occupata da un mosaico in varie gradazioni di azzurro come una piscina; dietro fanno da quinte specchi rettangolari di varie grandezze, dallo scopo non chiaro, a meno che non si tratti di un omaggio a quelli ustori inventati dal genius loci Archimede. Da questi specchi fa capolino ogni tanto la popolazione di Tebe in fluttuanti vesti color crema, mentre i regnanti sfoggiano amplissimi mantelli molto scuri e ricamati, di sapore mediorientale; particolarmente pomposa la «mise» purpurea di Edipo, che calza dei quasi coturni per sollevarsi sugli altri, e ha in testa un berretto-corona da satrapo. Quando alla fine si spoglia di tutto ciò, il sovrano diventa di colpo un vecchierello macilento, anche se non tru- culentemente insanguinato come in altre versioni. Tale mutamento illustra le parole conclusive del Coro - «Bisogna aspettare l'ultimo giorno, e non chiamare felice un mortale prima che sia arrivato alla fine della vita senza aver patito alcun dolore» - e contiene anche l'unica interpretazione registica percepibile, che altri dilemmi posti dalla sublime pièce non sono nemmeno sfiorati. Il grande e qui ben reso dinamismo di «Edipo Re» non dovrebbe infatti farci dimenticare l'inquietante mistero di questa storia. Edipo si sarà anche dato un po' di arie come tyrannos, ma di cosa possiamo ritenerlo colpevole? Ha ucciso il padre e ha sposato la madre, ma senza saperlo; anzi, per obbedire all'oracolo che tale fato gli profetizzava, aveva addirittura abbandonato coloro che riteneva i propri genitori. Una lettura moderna non potrebbe mettere in questione la giustizia del suo castigo? E ancora. La ricerca del colpevole del vecchio regicidio, promossa da Edipo stesso, riparte in seguito alle insostenibili calamità che si abbattono su Tebe; il sovrano è commosso alla vista dei sudditi decimati dalla peste e dalla carestia, mentre i figli muoiono nel grembo delle madri. Questa pressione è però presente solo nelle parole ini¬ ziali del Sacerdote, la regia non le dà alcuna sostanza visiva. Ma il cuore di Edipo dovrebbe sanguinare per le sofferenze del popolo, e il personaggio acquistare da questo umanità. Non importa, Giancarlo Sbragia (Edipo), Mariano Rigillo (Creonte), Anna Proclemer (Giocasta), Sebastiano Tringali (Tiresia) e gli altri nunzi e corifei, fra cui si distingue Luca Biagini, declamano le loro parti con bella autorità e sono spesso e meritatamente applauditi a scena aperta; con il regista, alla fine. Masolino d'Amico La regia di Sepe non esamina l'inquietante mistero Giancarlo Sbragia (Edipo). Foto piccola Anna Proclemer (Giocasta)

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