Io fra i cattivi selvaggi del pallone

Io fra i cattivi selvaggi del pallone A colloquio con Bill Buford, scopritore di Rushdie, che per sei anni si è mischiato agli hooligans e li ha studiati Io fra i cattivi selvaggi del pallone Aspettando la scintilla per varcare ogni limite wirl ROMA 11 A viaggiato a sbafo con j-fj Banana Bob e le sue mu11 tande piene di marchi MJÈÌ rubati. Si è scolato barili di birra con Mick, che la sua concezione della vita se l'era stampata in maiuscolo sulla maglietta: «Il bere è un problema solo se non trovo da bere». Ha visto ragazzi ruttare in faccia a viceconsoli britannici, picchiare innocue famigliole di torinesi e lanciare banane contro i calciatori di colore. Ha conosciuto i manganelli dei poliziotti e la solidità di un palo della luce, contro il quale continuava a sbatterlo un fascista con la testa rapata e scarsissima voglia di socializzare. E ha imparato a immergersi in una folla, vivendo quell'esperienza unica in cui i corpi si premono fino a annullarsi e, ormai trasformati in un'unica bestia feroce, aspettano la scintilla che permetterà loro di varcare ogni limite, sprofondando nel territorio della violenza. Sì, Bill Buford, l'intellettuale americano di lunga militanza inglese che dal timone della rivista letteraria Granta ha scoperto Salman Rushdie e altre decine di scrittori, ha fatto qualche cosa che nessuno della sua specie aveva mai osato tentare: si è mischiato per sei anni agli hooligans inglesi, seguendoli da un Juventus-Manchester United del 1984 ai campionati mondiali del '90. Ne è uscito un libro che nell'edizione italiana di Longanesi si intitola I furiosi della domenica, ma che nella versione originale suona molto più aspro: Among the Thugs, in mezzo ai selvaggi. «Il primo a leggerlo - racconta l'autore, sprofondato su un divano del suo albergo romano - è stato proprio Rushdie. Si è un po' spaventato: perché teme di aver perso un editore e trovato un concorrente...». Questi viaggi avventurosi dentro mondi sconosciuti nascono sempre da un perché. Il perché di Bill Buford era la curiosità di scoprire cosa trasformasse decine di individui più o meno normali, con un lavoro sicuro e una famiglia nel cuore, in reclute addestrate alla violenza del fine settimana. Il primo impatto con una folla impazzita Buford lo ebbe nell'adolescenza: «Stavo giocando a Los Angeles una partita di football americano. Erano gli anni di Reagan governatore. La mia squadra era tutta composta da bianchi, nell'altra c'erano solo neri. A un certo punto uno di loro grida "vaffanculo" e mi tira un cazzotto sull'orecchio destro. Diecimila persone invasero il campo e cominciarono a picchiarsi. Ricordo ancora una bambina di colore aggrappata alla mia tuta che mi tirava dei calcetti nervosi gridando: "Ti odio, sporco bianco". L'episodio finì su Sport Illustrated e, poiché quello è l'unico giornale che Reagan legge, il futuro Presidente venne a conoscenza dell'accaduto e ci convocò tutti, bianchi e neri, per insegnarci ad andare d'accordo. Passammo un piacevole pomeriggio a cercare di andare d'accordo con Ronald Reagan... Ecco, almeno quella era una violenza giustificata da qualcosa, l'odio razziale. Andando in mezzo agli hooligans, ho cercato di capire quale fosse invece la loro molla. Alla fine l'ho trovata: il puro e semplice divertimento. Picchiare la gente e sfasciare le strade è la cosa che li diverte di più al mondo». Buford non ha dubbi: gli hooligans europei sono orfani della guerra. Basta osservare Sammy, il capo degli ultras del Manchester United, ritratto nel libro come un autentico generale che, circondato da giovani portaordini, guida le truppe all'assalto. Più abile di Napoleone, Sammy riesce a rovesciare l'esito di una battaglia con i tifosi del Chelsea grazie a una manovra aggirante, che gli permette di prendere alle spal¬ le il nemico sui marciapiedi di un quartiere di Londra. Spiega Buford: «Se ci fosse una guerra, Sammy e i suoi amici sarebbero degli eroi, perché l'incoscienza e l'abitudine al rischio li porterebbe a compiere le imprese più pericolose. Ho vissuto con i tifosi inglesi durante i Mondiali in Italia. Volevano la guerra. Nessun pregiudizio politico o razziale. Qualunque nemico andava bene: i "fottuti mangiaspaghetti" italiani, ma anche tedeschi o africani. L'importante era combattere contro chiunque avesse il torto di non essere inglese. A modo loro, gli hooligans sono nazionalisti. Dopo la birra e le patatine fritte, i valori a cui tengono di più sono la Regina, le Isole Falkland e la Thatcher. Votano conservatore, anche se poi combattono la polizia del governo che hanno contribuito a votare. Sono figli e nipoti di proletari ma non sono più proletari. Il conservatore è il partito degli egoisti e per un hooli- gan l'unica cosa che conta nella vita è se stesso». Buford non lo nega, e del resto nelle pagine del libro appare chiaramente: il suo scetticismo iniziale nei confronti del fenomeno si è trasformato, se non in adesione, in un affascinato coinvolgimento. Il richiamo del branco, della folla che spersonalizza i corpi e ottunde le coscienze, ha agito potentemente dentro di lui. «Da Platone a Freud tutti hanno parlato male della folla, partendo dalla rassicurante premessa che la folla non siamo noi. Dalla presa, della Bastiglia alla recente sommossa di Los Angeles, ci hanno spiegato i perché, non i che cosa: perché la violenza scoppia, ma non cosa succede quando la violenza scoppia». Buford dedica all'argomento decine di pagine, descrivendo il lento avvicinarsi della folla al punto in cui tutto sarà soltanto liberazione di istinti bestiali. «E' come un'esperienza mistica: passato e futuro non esisto¬ no più. Esiste solo il presente. Non dico che sia un bisogno primario, ma certo è un'eccitazione unica». Resta da capire perché nei moderni Paesi europei sia proprio il calcio a fare da paravento a queste esplosioni. «Ho impiegato sei anni per capirlo. Nelle partite di calcio c'è qualcqsa che rafforza la frustrazione del pubblico. E questo qualcosa è la rarità dell'evento liberatorio, il gol. E' molto più raro di un canestro del basket, di una meta del rugby, di un punto della pallavolo. Lo aspetti e forse non arriverà mai. E spesso, come ho vissuto in prima persona ai Mondiali dopo un gol di Platt, giunge alla fine, quando te lo sei già coccolato nella mente come un sogno». L'esperienza ha lasciato a Buford uno strascico: «Il mio libro è uscito in Inghilterra lo stesso giorno del processo contro i tifosi del Manchester. Il giudice ha voluto leggerlo e i tifosi pensavano che io avessi fatto la spia. Sono tornato allo stadio e mi guardavano storto. Poi, finita la partita, uno di loro mi ha preso e mi ha portato al pub. Tutto a posto. Ci siamo ubriacati insieme». Domani sera lo scrittore è atteso a un'altra dura prova: andrà in tv, ospite dell'Appello del martedì. D'accordo, è sopravvissuto agli hooligans, ma Maurizio Mosca è ben altra cosa. Massimo Gramellini «Picchiare la gente e sfasciare le strade è la cosa che li diverte di più al mondo» Bill Buford: «Gli hooligans - inglesi combattono contro chiunque abbia il torto di essere straniero» *J K bitte. « Nell'immagine grande, i visi colorati degli hooligans olandesi al seguito dell'Ajax nella vittoriosa finale di Coppa Uefa contro il Torino (foto Minozzi) A destra, tifosi italiani (foto Daniele Segre)

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