Una leggenda cristiana di Bruno Ventavoli
Una leggenda cristiana Una leggenda cristiana Il primo «avvistamento» nel VII secolo T UTTO cominciò con il Nuovo Testamento. Secondo Matteo, Gesù aveva affermato: «Vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno finché non vedranno il figlio dell'uomo venire nel suo regno». La stessa promessa si ritrova in Giovanni. Per gli evangelisti era l'annuncio di un premio, una vita eterna sulla Terra. Ma si ribaltò in una maledizione senza fine. Alcuni personaggi vennero condannati, dalla fantasia cristiana, a una pena lunga come il mondo. Il primo accenno lo fa Giovanni Mosco, nel VII secolo. Racconta la terribile storia di Malco, il soldato che aveva arrestato Gesù. Dopo l'orrendo crimine, aspetta in una prigione sotterra¬ nea la fine del mondo. La leggenda dell'ebreo vecchio di secoli circolò in forma orale. Si mescolò con i sospetti nutriti verso il popolo «deicida». Si appoggiò alla predisposizione tutta medievale di vedere cose fantastiche ovunque. Mille occhi giurarono di aver incontrato il poveretto. I cronisti migliorarono la leggenda e la resero più vera. Cominciò un ignoto monaco cistercense che parlò di un avvistamento in Estremo Oriente. Secondo lui, alcuni pellegrini dissero, nel 1223, di aver incontrato in Armenia un ebreo che aveva assistito alla passione di Cristo. Il malvagio lo aveva accompagnato dicendogli: «Cammina tentatore, finalmente hai quello che ti meriti». Gesù gli aveva risposto: «Io vado, ma tu mi aspetterai finché non ritornerò». E così l'ebreo non era morto, continuava a misurare a passi stanchi e lenti tutto il mondo, espiando la sua colpa tra mille sofferenze. Nel frattempo si era anche convertito. Il cronista inglese Ruggero di Wendower conferma la versione armena e Matteo Paris, nella sua Chronica Majora (XIII secolo), rincara la dose. L'ebreo malvagio si chiamava Cartafilo. Faceva parte del pretorio di Pilato. Quando vide Gesù in difficoltà gli sferrò addirittura un pugno sul viso. Il soldato aveva superato i dodici secoli. Ogni cent'anni era sul punto di morire, ma si riprendeva e continuava la sua vi¬ ta di stenti nella speranza del perdono. Nel 1602 apparve in Germania un «libro popolare» che parlava di un incontro europeo. Paolo di Eitzen, vescovo dello Schleswig, raccontava di aver visto nella chiesa di Amburgo nel 1542 un uomo strano, alto, con lunghi capelli, vestito di stracci. Se si pronunciava il nome di Gesù scuoteva la testa e emetteva un profondo respiro. Era di nuovo lui, l'ebreo errante. Si sapeva anche il nome: Assuero. Ai tempi della Croce faceva il calzolaio e aveva impedito a Gesù sfinito di sostare un attimo di fronte alla sua porta. Questo libercolo, vagamente antisemita, fu il primo di una lunga serie. Circolava su carta pessima, si vendeva alle fiere, si moltiplicò insieme alle storie del Dottor Johann Fausten. Fu tradotto in tutta Europa, dall'Estonia alla Spagna. L'ebreo errante cambiava nome, diventava Buttadeo, Lakedem, Juan Espera en Dios. In tasca, si diceva, aveva cinque soldi: pochissimi, sufficienti per vivere di stenti, ma appena esauriti si rinnovavano. I libri popolari tedeschi accarezzavano la fantasia del volgo. Fecero sognare anche Goethe bambino (lo confessa in Poesia e verità). Quando il poeta incontrò a Dresda Hans Sachs, ciabattino (ma compiacente, perché lo ospitò), decise di scrivere un poema sull'ebreo errante. Lo nobilitò con una certa simpatia verso Cristo e lo fornì di spirito sagace. Era fatta. Da Goethe in poi, il triste peccatore cominciò ad errare anche nella letteratura: dal romanticismo tedesco a Shelley, da Strindberg a Edgar Quinet, da Kierkegaard a Gorki, da Apollinaire a Kipling. Predicatori e truffatori continuavano a incontrarlo in città e campagne. Oltre alla stanchezza si trascinava dietro una scia di epidemie, carestie, maledizioni. Pare che nell'800 alcuni musei popolari, a Ulm e Berna, esponessero un paio di scarpacce che sarebbero state sue. Nell'800, Eugène Sue gli dette anche una compagna, un'ebrea errante. Le due misteriose figure compaiono in un movimentato feuilleton, tra strangolatori indiani e immensi tesori, per sventare i piani di un perfido gesuita. Una svolta. Un ruolo positivo. Una specie di riabilitazione. La figura del peccatore errante è nata dalla fantasia cristiana. E spesso si è impastata di odio antisemita. Pochi ebrei si sono cimentati con la leggenda. L'Enciclopedia Judaica ricorda il poeta cèco Jaroslav Vrchlicky, il poeta yiddish Abraham Godfaden e David Pinsky. C'è anche un film yiddish (girato nel '33) con Jacob Ben-Ami. Ma il vero terreno dell'ebreo errante è la leggenda orale dell'eroe viaggiatori, del saggio senza dimora. Forse perché il povero calzolaio condannato a vagare nei secoli era specchio di una diaspora tutta reale, di una fuga senza fine molto concreta. Bruno Ventavoli Una leggenda cristiana Una leggenda cristiana Il primo «avvistamento» nel VII secolo T UTTO cominciò con il Nuovo Testamento. Secondo Matteo, Gesù aveva affermato: «Vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno finché non vedranno il figlio dell'uomo venire nel suo regno». La stessa promessa si ritrova in Giovanni. Per gli evangelisti era l'annuncio di un premio, una vita eterna sulla Terra. Ma si ribaltò in una maledizione senza fine. Alcuni personaggi vennero condannati, dalla fantasia cristiana, a una pena lunga come il mondo. Il primo accenno lo fa Giovanni Mosco, nel VII secolo. Racconta la terribile storia di Malco, il soldato che aveva arrestato Gesù. Dopo l'orrendo crimine, aspetta in una prigione sotterra¬ nea la fine del mondo. La leggenda dell'ebreo vecchio di secoli circolò in forma orale. Si mescolò con i sospetti nutriti verso il popolo «deicida». Si appoggiò alla predisposizione tutta medievale di vedere cose fantastiche ovunque. Mille occhi giurarono di aver incontrato il poveretto. I cronisti migliorarono la leggenda e la resero più vera. Cominciò un ignoto monaco cistercense che parlò di un avvistamento in Estremo Oriente. Secondo lui, alcuni pellegrini dissero, nel 1223, di aver incontrato in Armenia un ebreo che aveva assistito alla passione di Cristo. Il malvagio lo aveva accompagnato dicendogli: «Cammina tentatore, finalmente hai quello che ti meriti». Gesù gli aveva risposto: «Io vado, ma tu mi aspetterai finché non ritornerò». E così l'ebreo non era morto, continuava a misurare a passi stanchi e lenti tutto il mondo, espiando la sua colpa tra mille sofferenze. Nel frattempo si era anche convertito. Il cronista inglese Ruggero di Wendower conferma la versione armena e Matteo Paris, nella sua Chronica Majora (XIII secolo), rincara la dose. L'ebreo malvagio si chiamava Cartafilo. Faceva parte del pretorio di Pilato. Quando vide Gesù in difficoltà gli sferrò addirittura un pugno sul viso. Il soldato aveva superato i dodici secoli. Ogni cent'anni era sul punto di morire, ma si riprendeva e continuava la sua vi¬ ta di stenti nella speranza del perdono. Nel 1602 apparve in Germania un «libro popolare» che parlava di un incontro europeo. Paolo di Eitzen, vescovo dello Schleswig, raccontava di aver visto nella chiesa di Amburgo nel 1542 un uomo strano, alto, con lunghi capelli, vestito di stracci. Se si pronunciava il nome di Gesù scuoteva la testa e emetteva un profondo respiro. Era di nuovo lui, l'ebreo errante. Si sapeva anche il nome: Assuero. Ai tempi della Croce faceva il calzolaio e aveva impedito a Gesù sfinito di sostare un attimo di fronte alla sua porta. Questo libercolo, vagamente antisemita, fu il primo di una lunga serie. Circolava su carta pessima, si vendeva alle fiere, si moltiplicò insieme alle storie del Dottor Johann Fausten. Fu tradotto in tutta Europa, dall'Estonia alla Spagna. L'ebreo errante cambiava nome, diventava Buttadeo, Lakedem, Juan Espera en Dios. In tasca, si diceva, aveva cinque soldi: pochissimi, sufficienti per vivere di stenti, ma appena esauriti si rinnovavano. I libri popolari tedeschi accarezzavano la fantasia del volgo. Fecero sognare anche Goethe bambino (lo confessa in Poesia e verità). Quando il poeta incontrò a Dresda Hans Sachs, ciabattino (ma compiacente, perché lo ospitò), decise di scrivere un poema sull'ebreo errante. Lo nobilitò con una certa simpatia verso Cristo e lo fornì di spirito sagace. Era fatta. Da Goethe in poi, il triste peccatore cominciò ad errare anche nella letteratura: dal romanticismo tedesco a Shelley, da Strindberg a Edgar Quinet, da Kierkegaard a Gorki, da Apollinaire a Kipling. Predicatori e truffatori continuavano a incontrarlo in città e campagne. Oltre alla stanchezza si trascinava dietro una scia di epidemie, carestie, maledizioni. Pare che nell'800 alcuni musei popolari, a Ulm e Berna, esponessero un paio di scarpacce che sarebbero state sue. Nell'800, Eugène Sue gli dette anche una compagna, un'ebrea errante. Le due misteriose figure compaiono in un movimentato feuilleton, tra strangolatori indiani e immensi tesori, per sventare i piani di un perfido gesuita. Una svolta. Un ruolo positivo. Una specie di riabilitazione. La figura del peccatore errante è nata dalla fantasia cristiana. E spesso si è impastata di odio antisemita. Pochi ebrei si sono cimentati con la leggenda. L'Enciclopedia Judaica ricorda il poeta cèco Jaroslav Vrchlicky, il poeta yiddish Abraham Godfaden e David Pinsky. C'è anche un film yiddish (girato nel '33) con Jacob Ben-Ami. Ma il vero terreno dell'ebreo errante è la leggenda orale dell'eroe viaggiatori, del saggio senza dimora. Forse perché il povero calzolaio condannato a vagare nei secoli era specchio di una diaspora tutta reale, di una fuga senza fine molto concreta. Bruno Ventavoli
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