I medici sotto tiro di Franco Giliberto
I medici sotto tiro I medici sotto tiro Errori in corsia, boom di denunce Ma la Cee: deve pagare la clinica TORINO. Richieste di indennizzo per circa 20 miliardi sono sate avanzate nel 1991 da cittadini italiani che per i più disparati motivi hanno ritenuto di aver subito un danno, anziché un beneficio, da cure mediche. Confluiscono in questo conto presuntivo - non esistono precise statistiche - anche le richieste dei familiari di alcuni malati che sono morti ih ospedale, o dopo il rientro a casa, per manovre terapeutiche ritenute errate. Siamo lontani dalla situazione di altre nazioni: negli Usa, per esempio, da parecchi anni sembra che sia diventato uno sport nazionale portare in giudizio con richiesta di indennizzo medici, dentisti, chirurghi plastici, oltre agli enti ospedalieri. Ma anche grandi case farmaceutiche sono chiamate in causa, quando la prescrizione e l'utilizzazione di un medicinale siano state soggettivamente ritenute dal cittadino nocive a posteriori. Si moltiplicano le squadre di avvocati specializzati in simili rivendicazioni, fatto che ovviamente alimenta il contenzioso: nel 1991, le richieste di indennizzo negli Usa hanno oscillato sui 750 miliardi di lire. Al decimo congresso dell'Associazione italiana ospedalità privata, queste considerazioni di massima sono rimaste nel sottofondo. Perché il tema del dibattito moderato dal giornalista televisivo Mario Pastore era: «L'errore in corsia, responsabilità del medico e della struttura». E i due principali oratori, il presidente di sezione del Consiglio di Stato Alfonso Quaranta, e Marcello Gallo docente di Diritto penale all'Università La Sapienza di Roma, hanno sviluppato temi squisitamente giuridici. Quaranta ha dato notizia di un importante orientamento nell'ambito della Cee, che potrebbe produrre cambiamenti legislativi anche in Italia. Si tratta dell'invito a compiere una più netta focalizzazione di responsabilità, a carico soprattutto delle strutture ospedaliere, mentre in un certo senso passerebbero in secondo piano - al di là degli errori platealmente dolosi - le responsabilità di medici e operatori sanitari. A determinare il cambiamento, sarebbe l'introduzione «dell'inversione dell'onere della prova a carico del malato, in ordine all'elemento della colpa nel giudizio risarcitone». In altre parole, il malato non sarebbe più costretto a fornire la prova della colpa del sanitario o della struttura ospedaliera, ma sarebbe sufficiente ch'egli dimostrasse il danno subito. Insomma i tempi sembrano maturi, ha aggiunto l'Oratore, per l'introduzione in campo sanitario della responsabilità oggettiva connessa al rischio d'impresa. Come oggi accade per qualsiasi azienda che sforna prodotti generalmente ineccepibili, eppure con qualche possibile eccezione: «La lucertola per fatalità messa in bottiglia assieme alla bibita di gran marca», ha volgarizzato il professor Quaranta. Commentando questi orienta¬ menti, l'avvocato Gustavo Sciachì, presidente dell'Aiop, ha sostenuto che la definizione del principio di responsabilità, se delimitato, potrebbe in effetti condurci verso un più elevato standard qualitativo di cure e di assistenza: «All'opposto, un fardello sempre più pesante potrebbe scoraggiare gli operatori sanitari, inducendoli a rifuggire dagli interventi a più elevato rischio, in cui la responsabilità è maggiore». E' toccato al professor Gallo il compito di ribadire al convegno, con la maestria che gli è riconosciuta, come la responsabilità penale sia di carattere soltanto personale e quali elementi giuridici indichino la necessità di maggiore unitarietà del nostro ordinamento. Perché nel caso degli operatori sanitari le attribuzioni di colpa - e quindi di imprudenza, negligenza, imperizia non sembrano, nella sostanza del codice penale e dei verdetti, graduate secondo la gravità o la levità dell'atto reprensibile. Mentre il codice civile, in materia di cause risarcitone, indica espressamente questa modulazione. Franco Giliberto I medici sotto tiro I medici sotto tiro Errori in corsia, boom di denunce Ma la Cee: deve pagare la clinica TORINO. Richieste di indennizzo per circa 20 miliardi sono sate avanzate nel 1991 da cittadini italiani che per i più disparati motivi hanno ritenuto di aver subito un danno, anziché un beneficio, da cure mediche. Confluiscono in questo conto presuntivo - non esistono precise statistiche - anche le richieste dei familiari di alcuni malati che sono morti ih ospedale, o dopo il rientro a casa, per manovre terapeutiche ritenute errate. Siamo lontani dalla situazione di altre nazioni: negli Usa, per esempio, da parecchi anni sembra che sia diventato uno sport nazionale portare in giudizio con richiesta di indennizzo medici, dentisti, chirurghi plastici, oltre agli enti ospedalieri. Ma anche grandi case farmaceutiche sono chiamate in causa, quando la prescrizione e l'utilizzazione di un medicinale siano state soggettivamente ritenute dal cittadino nocive a posteriori. Si moltiplicano le squadre di avvocati specializzati in simili rivendicazioni, fatto che ovviamente alimenta il contenzioso: nel 1991, le richieste di indennizzo negli Usa hanno oscillato sui 750 miliardi di lire. Al decimo congresso dell'Associazione italiana ospedalità privata, queste considerazioni di massima sono rimaste nel sottofondo. Perché il tema del dibattito moderato dal giornalista televisivo Mario Pastore era: «L'errore in corsia, responsabilità del medico e della struttura». E i due principali oratori, il presidente di sezione del Consiglio di Stato Alfonso Quaranta, e Marcello Gallo docente di Diritto penale all'Università La Sapienza di Roma, hanno sviluppato temi squisitamente giuridici. Quaranta ha dato notizia di un importante orientamento nell'ambito della Cee, che potrebbe produrre cambiamenti legislativi anche in Italia. Si tratta dell'invito a compiere una più netta focalizzazione di responsabilità, a carico soprattutto delle strutture ospedaliere, mentre in un certo senso passerebbero in secondo piano - al di là degli errori platealmente dolosi - le responsabilità di medici e operatori sanitari. A determinare il cambiamento, sarebbe l'introduzione «dell'inversione dell'onere della prova a carico del malato, in ordine all'elemento della colpa nel giudizio risarcitone». In altre parole, il malato non sarebbe più costretto a fornire la prova della colpa del sanitario o della struttura ospedaliera, ma sarebbe sufficiente ch'egli dimostrasse il danno subito. Insomma i tempi sembrano maturi, ha aggiunto l'Oratore, per l'introduzione in campo sanitario della responsabilità oggettiva connessa al rischio d'impresa. Come oggi accade per qualsiasi azienda che sforna prodotti generalmente ineccepibili, eppure con qualche possibile eccezione: «La lucertola per fatalità messa in bottiglia assieme alla bibita di gran marca», ha volgarizzato il professor Quaranta. Commentando questi orienta¬ menti, l'avvocato Gustavo Sciachì, presidente dell'Aiop, ha sostenuto che la definizione del principio di responsabilità, se delimitato, potrebbe in effetti condurci verso un più elevato standard qualitativo di cure e di assistenza: «All'opposto, un fardello sempre più pesante potrebbe scoraggiare gli operatori sanitari, inducendoli a rifuggire dagli interventi a più elevato rischio, in cui la responsabilità è maggiore». E' toccato al professor Gallo il compito di ribadire al convegno, con la maestria che gli è riconosciuta, come la responsabilità penale sia di carattere soltanto personale e quali elementi giuridici indichino la necessità di maggiore unitarietà del nostro ordinamento. Perché nel caso degli operatori sanitari le attribuzioni di colpa - e quindi di imprudenza, negligenza, imperizia non sembrano, nella sostanza del codice penale e dei verdetti, graduate secondo la gravità o la levità dell'atto reprensibile. Mentre il codice civile, in materia di cause risarcitone, indica espressamente questa modulazione. Franco Giliberto
Persone citate: Alfonso Quaranta, Gallo, Gustavo Sciachì, Marcello Gallo, Mario Pastore
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