Partite «oscurale»: svista o manovra? di Gabriele Ferraris

La rabbia di Milano nel tempio del jazz Durante il concerto di Sonny Rollins al Teatro Smeraldo, fischi e insulti contro gli assessori La rabbia di Milano nel tempio del jazz // musicista (e consigliere) Treves vittima della contestazione MILANO DAL NOSTRO INVIATO In questa città imbandierata di striscioni «Grazie Di Pietro», «Di Pietro facci sognare», il regime manda allo sbaraglio Fabio Treves, musicista e - ahilui - consigliere comunale, a tentare una sfortunata passerella al teatro Smeraldo. C'è Sonny Rollins immenso jazzista, e c'è un assessore che ci tiene tanto a fargli avere una medaglia-ricordo. Il saggio assessore, per la serie vai avanti tu che a me scappa da ridere, incarica della consegna il buon Treves, suonatore di blues e quindi, si presume, ben accetto a una platea di jazzofili. Fallace illusione: quando l'ardimentoso Treves, all'inizio del secondo tempo, sale sul palco e azzarda un «sono qui a nome deh'assess...» il teatro vien giù. Fischi lazzi e cachinni, insulti, spiritosi apprezzamenti sul destino carcerario dei politici locali e nazionali subissano il malconsigliato consigliere. Rollins guarda il pubblico, guarda il Treves, e si domanda se son tutti matti. Gli spiegheranno poi: intanto prende la medaglia e congeda il consigliere-musicista che se ne va abbacchiato, mentre il pubblico imperversa. Ma non appena la Milano della politica lascia il palco, i fischi trasmutano in applausi: gli applausi della Milano del jazz per un colossale eroe del sassofono. Il medagliato Sonny Rollins, 62 anni, l'altra sera ha dato il meglio di sé, in un teatro Smeraldo gremito e osannante. Al di là di ogni considerazione artistica, le performance di Rollins accendono entusiasmi da tifo sportivo: perché sono anche - non soltanto, ci mancherebbe - formidabili prove atletiche, imprese gladiatorie da lasciar senza fiato chiunque. Ma non l'Indomito. Molti jazzisti della sua generazione, o di poco più anziani, tendono ormai ad amministrarsi, centellinano gli assoli, lasciano spazio ai musicisti della band: invece l'omerico Sonny s'attacca al sax tenore e non si concede un attimo di pausa. Grosso, troneggiente dietro la barbacela nera da burbero benefico e gli occhi che mandan lampi, pare un maestro di scuola d'altri tempi, circondato dagli scolaretti. I suoi partner, alcuni meritevoli assai, gli stanno attorno trepidi, pronti a infilare il loro assolo nelle rare pause del torrenziale sassofono. E lui concede benigno un po' di spazio al chitarrista, qualche minuto al pianista, il batterista no, meglio impedirgli di nuocere; e subito torna padrone, ragazzino scostati e lasciami lavorare. Parte a razzo con «Duke of Iron», dieci minuti in solitudine perfetta, la band offre il sottofondo ma è come se non esistesse: l'intero concerto è quel marcantonio in cornicione rosso che soffia, soffia, soffia, strapazzando il sax, volando dai registri acuti a quelli più gravi. Evoca ritmi antillani e bebop, accarezza il clima romantico di «Non dimenticar» per poi rigettarsi nel calderone caraibico, fino a «Don't Stop The Carnival» e «Saint Thomas», supremo incontro del jazz con il calypso. E ha 62 anni. Pensate che ci sono ragazzoni che non riescono a reggere un intero concerto, gli va giù la voce, o il fiato, poverini. E si definiscono, li definiscono, artisti. Di rock o di jazz, non importa. Artisti. Sonny Rollins, allora, chi è? Mandrake? Gabriele Ferraris

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