Quella pazza di Marlene

Quella pazza di Marlene L'attrice seppellita accanto alla tomba della madre. Il ricordo di Maximilian Schell Quella pazza di Marlene Voleva fare un film sulla sua morte BONN DDIO Marlene. Ieri è stata sepolta nel piccolo cimitero di Frìdenau a Berlino, accanto alla madre Josephine von Losch sotto querce, tigli e betulle. In quella Germania che lei odiava e amava, adesso viene incensata come l'unica grande diva tedesca. Ma com'era Marlene? «Su di lei vennero dette e scritte tante mezze verità», si ricorda Maximilian Schell, attore e regista che la conobbe bene. Si incontrarono nel 1961 sul set e vent'anni dopo fecero un film insieme: su di lei. «Una leggenda non può morire», scrive Schell sul settimanale Stern in un commosso ricordo, perché la Marlene-leggenda non ha bisogno di lei viva. «Già in vita su di lei sono usciti numerosi libri, film, fotografie, storie vere e non vere. Si vedeva solo questa immagine gigante, la persona reale era quasi invisibile». E' una donna vitale e imprevedibile quella che ricorda Schell, il quale la vide per l'ultima volta nell'ottobre 1982 nella sua casa di Parigi, quando per lunghe giornate chiacchierarono insieme per quelle interviste che sarebbero diventate la base del film. «La sua voce era sempre diversa. A volte allegra, spensierata e piena di voglia di fare; altre volte distante, triste o rassegnata, quasi buia e amareggiata». Una donna con la quale era tutto possibile, «saltava da un estremo all'altro, era cangiante ed era sincera: era questo che la rendeva affascinante. Uno si aspettava che soffrisse e improvvisamente era felice, si aspettava che fosse felice e improvvisamente... Le chiesi una volta se credeva ad una vita dopo la morte, lei rispose: tutte storie. Ci crede davvero che siano tutti lassù a svolazzare frmjj eJ ..ònsórrenxs c-.y. ■ 1 ni r ir" in giro?». E' irritata la Dietrich quando dà questa risposta, ma anche senza speranza e senza desiderio di un aldilà. «Più tardi ci abbiamo riso sopra», ricorda Maximilian Schell. Volevano fare un film che sarebbe stato un elogio funebre, ma girato ancora in vita. «Io sarei andato a Parigi con la mia telecamera e l'avrei ripresa: qui parla Marlene Dietrich, sono morta ieri». La Dietrich è entusiasta («Che idea fantastica, finalmente potrò dire tutto quello che mi pare»), ma poi non se ne parlò più. La notizia della morte della Dietrich è giunta a Schell mentre è sperduto in qualche steppa russa, dove sta girando un film con la moglie Natascha. La telefonata che riesce a raggiungerlo dalla Germania è un piccolo miracolo, un qualcosa di mistico, secondo il regista: «Marlene è morta ieri», poi più nulla, la linea cade irrimediabilmente. Di qui parte il ricordo del loro primo incontro a Hollywood: «Lei venne da me in albergo con un'enorme pentola ancora calda: ho cucinato qualcosa per lei». Le piaceva uscire dall'immagine della vamp sexy e gelida di Hol¬ lywood. La figlia Maria Riva disse una volta: «La mamma in fondo non è una donna in carriera. Con tutto quel sesso e quell'erotismo, la vita non le ha lasciato svolgere il ruolo che alla fine le si ■', ..«<>. • ; ••••• addice meglio, quello di una normale donna di casa». Ora la figlia ha annunciato che pubblicherà per alcuni milioni di dollari un libro di rivelazioni, anche piccanti, su presunti amori lesbici. Cosa ne pensa Schell? «Con Marlene tutto è possibile». Madre e figlia avevano un rapporto molto buono, anche se certamente «Marlene per Maria era una persona molto complicata e difficile. Quando lei era piccola la madre viaggiava per il mondo e poi nei pochi momenti in cui stava con la figlia la soffocava d'amore». La Dietrich, che è morta povera, era generosissima. «Non ha mai pensato al dopo, perché uno non pensa che diventerà così vecchio, con quasi un secolo intero alle spalle». E adesso torna a Berlino, la sua città natale. «Mi sono stupito», scrive Schell, «che una persona, per la quale dopo c'è solo il nulla, potesse avere scelto il luogo dove voleva essere seppellita. Ho avuto subito di fronte agli occhi la tomba della madre, dove avevamo girato per il film». Marlene Dietrich aveva sempre detto che la Germania aveva con lei un rapporto di amoreodio. L'ultimo passaporto tedesco lo chiese nel 1937, nel 1939 ottenne la cittadinanza americana. Quando ritornò a Berlino nel I960 per la prima volta dopo la guerra, alcuni giornali scrissero «Resta dove sei», alla star che aveva accompagnato in Francia le truppe americane indossando la loro divisa. In quel maggio del I960 cantò la canzone «Ho ancora una valigia a Berlino». «Non avevo mai pensato che le radici fossero importanti», scrive nelle sue memorie, «oggi so che lo sono». Francesca Predasti La figlia dice: era lesbica L'attore: con lei tutto era possibile Non credeva nell'aldilà. Diceva sempre: ma pensi davvero che finiremo tutti a svolazzare per i cieli? Marlene Dietrich: una leggenda che non può morire II regista ed attore Maximilian Schell e a destra la tomba di Fridenau a Berlino in cui l'attrice è stata sepolta