Nuove regole sui trapianti di Daniela Daniele

Nuove regole sui trapianti Nuove regole sui trapianti «Quando è morto il donatore?» Pronta la relazione degli esperti PADOVA DAL NOSTRO INVIATO L'impatto emotivo con l'argomento è sempre molto forte. Ed è per questo che il Nord Italia Transplant (Nipt) - che ieri ha celebrato, con l'inaugurazione del meeting tecnico-scientifico all'hotel Sheraton e a all'ateneo padovano, i suoi primi vent'anni - aveva chiesto al ministero della Sanità una commissione di bioetica che si occupasse di trapianti. O meglio, dell'annosa, travagliata polemica sulla definizione di «morte cerebrale». La commissione ha quasi terminato il suo lavoro e si appresta a renderlo noto. Perché questa iniziativa? Spiega il prof. Girolamo Sirchia, presidente del Nitp: «La cultura della donazione deve percorrere ancora molta strada. Occorre dare la sicurezza alla gente che gli espianti vengono eseguiti su pazienti morti. Ed è bene che questa parola venga da un pool di specialisti al massimo livello». Si toma, dunque, al lamento noto: mancano i donatori. Già nella prima delle due giornate di congresso, i partecipanti sono stati sommersi dalle statistiche che «parlano»: su 461 potenziali donatori nel '90, solo il 31% (143) è stato utilizzato. Le cause sono da ricondursi al «consenso negato» (30%), a motivi clinici (20%) e a carenze organizzative (1%). E proprio su queste ultime punta l'indice il prof. Sirchia: «I donatori sono pochi soprattutto perché manca un apparato moderno che sia sempre presente dove necessario». Lei considera il problema dei trapianti di primaria importanza nella sanità italiana? «No. Ma i grossi ospedali specializzati dovrebbero essere, in qualche modo, sganciati dal sistema generale e bisognerebbe poter usufruire di strumenti tecnici, amministrativi e assistenziali, moderni. Ora come ora, invece, abbiamo gli stessi criteri validi nell'800». Una piccola carrellata per immagini: difficoltà nell'organizzare le équipes mediche per l'accertamento della morte; scarsa disponibilità dei neurologi a fare, in alcune circostanze, l'elettroencefalogramma; nelle rianimazioni mancano personale e strutture; «molti medici non sentono il problema». E, infine, quello che nessuno si sentirebbe di definire un dato negativo: l'obbligo del casco ha ridotto il numero dei donatori. Mentre la commissione di bioetica cerca l'accordo per definire «la morte cerebrale» (non senza tormenti personali), si decide di stralciare la posizione del donatore bambino, di quello al di sotto dei 5 anni, per il quale è più difficile stabilire con esattezza il momento della fine. Un impatto emotivo forte per tutti, dunque. E proprio su sentimenti ed emozioni sta lavorando il dottor Franco La Spina, della clinica psichiatrica dell'università milanese, che ha intrapreso una ricerca per identificare «le ragioni del no». La paura della morte può prendere due direzioni: essere esorcizzata dall'idea che una parte del corpo continui a vivere, «oppure - prosegue La Spina - essere fuggita quando si cerca di seppellirla subito, con la persona amata». Resta il problema: chi può stabilire se esiste un tipo di vita "diverso" a livello di non coscienza? «Nessuno - conclude lo psichiatra -. Esiste soltanto la realtà: persone in attesa di ricevere in dono un po' di vita in più e la certezza che, con gli strumenti che abbiamo, si possa determinare la morte cerebrale. In futuro, soltanto la bioingegneria ci salverà da questo problema». Quando pezzi di ricambio artificiali chiuderanno ogni polemica. E intanto il ministro De Lorenzo ha invitato i carabinieri del Nas ad indagare sul traffico di organi in paesi orientali. Daniela Daniele

Persone citate: De Lorenzo, Franco La Spina, Girolamo Sirchia, La Spina, Sirchia

Luoghi citati: Italia, Padova