Maggiordomo uccide i padroni «tiranni»

Maggiordomo uccide i padroni «tiranni» Livorno, dopo averli massacrati ha cenato e poi ha confessato tutto a due giornalisti Maggiordomo uccide i padroni «tiranni» «Una vendetta, si burlavano di me» LIVORNO DAL NOSTRO INVIATO Ora che gli hanno creduto, è in carcere, formalmente accusato di duplice omicidio. Ma quanta fatica per convincere gli scettici! Diceva: «Ho ammazzato due persone», e gli altri lo guardavano increduli. Pareva impossibile, uno così educato, tranquillo, quasi sereno. Erano le 23,30 dell'altra sera quando l'ometto si è presentato alla redazione livornese del «Tirreno». «E' una cosa importante», ha spiegato. Lo hanno fatto parlare con due cronisti, Alessandro Guarducci e Maurizio Silvestri. Ha raccontato la sua storia: «Erano dodici anni che stavo con loro, ieri mi sono accorto che mi avevano rovinato». Li aveva ammazzati, ha detto. Non pareva credibile, e allora lui ha tirato fuori la carta d'identità: «Non sono un matto, ecco chi sono». Mario Pusceddu, c'era scritto sul documento, cinquantaquattro anni, di Calasetta di Cagliari, abitante a Rosignano Marittimo, infermiere, altezza un metro e settanta, capelli grigi, occhi verdi, coniugato. Ma chi ha ammazzato? «L'ingegner Marino Buccianti (di settantun anni) e sua moglie Vilma (di cinquantacinque). Mi trattavano come uno scemo e mi chiamavano anche "Barbagianni". Mi sono infuriato». Ma era proprio un assassino quell'uomo così remissivo? «Sì, sono un assassino. Vi spiego tutto, vi racconto i particolari più raccapriccianti, ma datemi tre milioni: mi servono per l'avvocato perché voglio un processo giusto». Ma quanti punch ha bevuto?, gli hanno domandato ancora. «Non ho bevuto per niente, i morti ci sono, eccome». A questo punto, dal giornale hanno avvertito la polizia e quando sono arrivati i due agenti in borghese, l'ometto ha sorriso: «Guardate che è vero». Allora andiamo a vedere questo delitto, gli hanno detto. E lui: «Ma non mi arrestate?». Per ora no. Dopo, semmai, se il delitto c'è stato davvero. I morti c'erano, in una villetta a picco sul mare, a Lido di Chioma, appena fuori Quercianella. Una casa elegante, col porticciolo a pochi metri, separata dalla strada da un residence. Gli agenti non erano ancora convinti ma l'ometto ha puntato l'indice: «Ecco, sono lì dentro. Entrate». Poi, per vincere l'esitazione degli altri, ha aperto lui il battente. In camera, riverso sul letto, coperto di sangue, c'era il corpo dell'ingegnere; a terra quello della moglie, la testa fracassata e ferite al petto. Dunque, era una conoscenza antica quella fra l'ometto e la coppia. Dalla Sardegna lui era emigrato a Milano. Erano i «favolosi» Sessanta e Pusceddu sperava nella fortuna. Si era sposato con Antonietta, che ha oggi cinquantacinque anni, a Milano avevano avuto tre figli: Selene, ora ventiseienne, collaboratrice domestica, Mauro, ventitré, insegnante di musica, Anna, diciotto, studentessa. Per qualche anno lavorò come infermiere, poi decise il trasferimento. E così si erano stabiliti a Rosignano e lui aveva trovato lavoro all'ospedale di Livorno. Era stato fortunato, e poco dopo lo avevano trasferito a'Rosignano. Uno riservato, forse un po' introverso. Il matrimonio andò in frantumi, quattordici anni fa, non per una sola ragione ma per tante. Pusceddu poi si era messo con un'altra, Gisella Landucci, una vedova con due figli. Con i Buccianti la buona conoscenza era andata avanti, fra alti e bassi. L'ingegnere era uno dal carattere difficile, litigioso, dicono i vicini. La moglie, invece, appariva sempre gentile. Pusceddu si occupava un po' di tutto, in villa, e nella buona stagione faceva anche il marinaio sulla barca dell'ingegnere. Amico di lui e amico di lei, sottolinea ora. Ma i rapporti non erano sempre buoni. Pusceddu un anno fa aveva deciso di mandare tutti al diavo- lo. Perché? «Non volevo più saperne». Ma un anno fa era tornato con la famiglia, l'ingegnere aveva avuto un infarto, era bisognoso di assistenza. Adesso racconta: «Li conoscevo da tanto tempo, mi avevano convinto a lasciare anticipatamente il lavoro, avevo divorziato dalla moglie sperando di rifarmi una vita con loro. L'altro giorno mi sono accorto che mi stavano prendendo in giro e li ho uccisi. Poi sono andato a casa a cambiarmi, ho mangiato una pastasciutta e sono andato al "Tirreno" prima di costituirmi». Perché a scappare, lui neppure ci ha pensato: non è un criminale incallito, non gli fa paura il carcere. Ora dice: «Tanto, sono un uomo finito, ho cinquantaquattro anni e mi aspettano una ventina d'anni di galera. Che ne so? Forse non uscirò più». Era salito in camera dell'ingegnere, nel pomeriggio, approfittando del riposo pomeridiano del padrone. Con un coltellaccio preso in cucina ha colpito senza pietà, almeno una dozzina di volte, l'autopsia viene fatta stamani. La Vilma, però, non voleva ammazzarla: si trovava al pian terreno, forse non si era neppure accorta di qualcosa. «A lei volevo bene. Ma poi ho capito che era tutto inutile, e così l'ho finita». L'ha trascinata su, con un mattarello l'ha colpita al capo, poi l'ha afferrata alla gola strìngendola finché non l'ha sentita scivolare a terra e l'ha anche accoltellata. «Quando era lì distesa ho cercato di fare l'amore. Non ci son riuscito». Il racconto è finito, ormai è l'alba e con il chiarore anche l'incubo si dissolve. Al sostituto procuratore Ugo Di Carlo Pusceddu ha ripetuto ieri la sua storia, così, semplicemente. Non è il primo caso di un assassino che preferisce il giornale a un commissariato. Era accaduto anchea «La Stampa» negli anni mitici di Ferruccio Borio: nel febbraio 1970, un cronista, Arturo Rampini, aveva scorto in via Roma un giovanotto sospettato di aver ammazzato l'industriale Giuseppe Giaj Baudissard. Lo aveva portato in cronaca e convinto a raccontare tutto. Poi il giovane, Giancarlo Sarno, era stato arrestato: le manette gli erano state messe da Giuseppe Montesano, lo chiamavano «il commissario di Torino». Vincenzo Tessandori «La moglie era mia amica ma dovevo chiudere con tutti» Voleva vendere lo scoop per pagarsi un avvocato L'esterno della villa di Lido di Chioma dove, l'altro ieri, sono stati uccisi dal maggiordomo i due coniugi. Sopra, l'assassino Mario Pusceddu, da dodici anni al loro servizio Le due vittime: l'ingegner Marino Buccianti e, a destra, la moglie Vilma