Un team di olimpionici alza la vela italiana

Un team di olimpionici alza la vela italiana Un team di olimpionici alza la vela italiana LE FATICHE DI CHI VA PER MARE SAN DIEGO. Il Moro di Venezia è stato ancora battuto da America 3, adesso lo svantaggio è di 1 a 3, lo stesso che «creò» la grande rimonta degli italiani contro i «kiwi»: prossima regata sabato. Non fosse per il dettaglio che gli americani sono più forti dei neozelandesi, la barca italiana dovrebbe ora scaramanticamente sperare di farcela. E poi c'è un altro dettaglio che preoccupa, ed è, di natura nervosa. Al clan del Moro ci sono nervi che saltano ed altri nervi che stanno troppo tranquilli nelle loro guaine. Salto di nervi ad esempio quello che ha portato all'emanazione di un comunicato, firmato da Tommaso Chieffi, responsabile dell'equipaggio, in una veste nuova e secondo noi improvvida di censore, contro i tre quotidiani sportivi italiani, «colpevoli» (virgolettatura più che doverosa) di omettere alcuni personaggi dell'equipaggio ufficiale, nell'elencazione dei meriti (o dei demeriti) e anche delle presenze. Comunicato che è una grossa gaffe, considerato il fervore autentico con cui i giornalisti italiani lavorano qui, in una spaventosa carenza di contatti, di informazioni dirette, e davvero facendo sforzi colossali per servire ogni giorno ai lettori dosi abbondanti di avventura, di tecnica, di emozione e adesso anche di difficili speranze; e considerato anche il fatto che l'equipaggio del Moro è sì formalmente di ventiquattro velisti tutti eguali di fronte alla sfida e alla patria lontana, ma che noi in questa Coppa America abbiamo sempre mandato in barca gli stessi sedici, contrariamente agli americani che effettuano una certa rotazione. Sono, questi, segnali importanti, ancorché non così sonori come quelli di un Paul Cayard che urla ai suoi «siamo in regata!», per invitarli almeno a morire in piedi. Frase, questa, raccolta da Cino Ricci in una pausa del collegamento televisivo con l'Italia, e fatta rilevare con sano forte accento romagnolo. Frase che dice che ci sono nervi che non si tendono, che non schioccano, che patiscono una sorta di rassegnazione. Poi c'è pure la faccenda del tangone, del non uso ieri, pare contro il regolamento, di quest'asta da parte degli americani, i quali fissano altrove le loro vele. Le discussioni presso la giuria impegneranno il pomeriggio californiano, che è poi la notte italiana. Intanto cala secondo noi la credibilità di uno sport, o almeno di una sfida, le cui leggi sono vaghe, e fatte e rifatte magari di giorno in giorno, quasi in sintonia con il vento bizzarro che «balza» di qua e poi di là. Già, il tempo ieri è tornato ad essere incurante e della meteorologia ufficiale e della convenzione classica, è tornato cioè ad essere bruttoccio, quindi strettamente non californiano. Probabilmente la meteorologia sciamanica aveva previsto da tempo questo maggio relativamente infame, con sinora un giorno di vero sole in una settimana, e ieri l'ormai solito cielo dove il grigio vince sul blu. Oppure i computer sanno sì tutto, ma sono corrotti dall'azienda turistica e riferiscono cose false ai giornali. Con il tempo di ieri, le richieste atletiche della competizione sono venute fuori in maniera netta, diremmo anche all'occhio. Il che è stato, è un bene, anche per combattere una certa tendenza, comprensibile pur se non condividibile, che vuole ascrivere la vela e specie questa vela miliardaria alla categoria degli sport diciamo «facili». Non che la fatica di un velista sia quella di un ciclista o più ancora di un maratoneta (nei riguardi del proprio peso il velista si fa portare, il ciclista si fa «scivolare», il maratoneta si porta), ma ci sono momenti di impegno fisico altissimo e calibratissimo al tempo stesso. I due equipaggi sono farciti di atleti, naturali e poi coltivati da un'autentica, diremmo canonica preparazione sulla fatica lunga e sullo sforzo breve e secco, dal footing allo stretching. La richiesta fisica più evidente, diremmo più brutale, è quella fatta ai grinders, gli addetti ai verricelli. E' grinder sul Moro Davide Tizzano, medaglia d'oro di canottaggio a Seul, l'atleta extravelismo più internazionalmente importante-fra tutti quelli messi in mare qui per la Coppa America. Due atleti moreschi di riserva, entrambi grinders, Alessio Pratesi e Vittorio Landolfo sono stati rispettivamente forti, a livello di serie A, nel rugby e nel basket. Come grinders sono Massimo Galli detto il «Centurione» e Daniele Bresciano chiamato «Prosciutto»; manovratore d'albero è invece l'ex cestista Andrea Merani soprannominato «Tucano». America 3 è più ricca quantitativamente di persone con un passato sportivo ufficiale extravelistico. Larry Mialik, grosso giocatore di football americano, più di tutti: ed è grinder, si capisce, come anche Rock Brent, ex lottatore, Rocky Ferigno, ex sciatore e giocatore di lacrosse, una specie di hockey, e Peter Fennelli, ex footballista. Addetti all'albero sono l'ex sciatore Josh Belsky e l'ex giocatore di baseball Wally Henry. Quanto a Bill Koch, si proclama ex praticante il basket e l'atletica leggera a livello universitario, il che, detto da queste parti, dovrebbe essere un buon livello. Lo sport è comunque inteso, in entrambi gli equipaggi, come passaporto salutistico, oltre e più che come strumento diretto per le imprese sul mare. Bisogna stare bene, ecco, per fare bene certe cose. La regata ad alto livello avanza, nei riguardi dei praticanti, una richiesta altissima di impegno: ma la parte psicologica, extrafisica è importante, e c'è pure una parte che definiremmo tecnologica, pes la lucidità di interpretazione dei dati, di formulazione ed esecuzione degli ordini. Il tutto in mezzo a quella trappola costantemente caricata che è il mare. Questo spiega perché sulle barche possono stare, facendo bene il loro lavoro, bipedi anagraficamente finiti per altri sport, e questo pur senza arrivare ai timonieri che hanno magari i sessantadue anni di Melges, quell > di America 3. La lucidità massima e una giusta dose di prestanza fisica possono per taluni ruoli bastare, ecco un confortante approdo di pensiero. Gian Paolo Ormezzano ff A fianco, Andrea Merani di 31 anni, manovratore d'albero, soprannominato il «Tucano» ' A sinistra, Massimo Galli, di 29 anni, grinder, il «Centurione». A sinistra un'immagine del Moro A sinistra, Daniele Bresciano, 33 anni, grinder: Cayard lo ' chiama «Prosciutto» per il volume delle sue cosce

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