E nel momento della verità Cayard diventa un dittatore

E nel momento della verità Cayard diventa un dittatore DETDACfeiLl li. ne IKU9VCNA NELLA TRINCEA E nel momento della verità Cayard diventa un dittatore SAN DIEGO. Forse dovremmo dire che ieri America 3 ha vinto, non che il Moro di Venezia ha perso. Questo modo di vedere la Coppa America soltanto con la nostra ottica, di parlare di nuovo errore al via di Paul Cayard piuttosto che di bravura di Dave Dalenbaugh, che prende il timone della barca statunitense soltanto per la partenza, è un modo poco sportivo, e rischia di essere, oltre che ingiusto, assurdo. Sul 2 a 1 per gli americani c'è ancora tanto da lottare e da sperare, ma si deve ammettere che «loro» sono bravi, che Koch non è soltanto un miliardario del Kansas. Ieri la regata è stata tutta dominata da America 3: agonisticamente la prova più noiosa, dopo le prime due sfide sul filo della rabbia e dei centimetri. Più che di una terza sfida si è trattato di una dimostrazione americana. Per darci un momento di tensione speciale si è dovuto impegnare un cameraman subacqueo, di quelli che dovrebbero riprendere anche i pesciolini intorno allo scafo, per la maggiore e migliore goduria televisiva. L'irruzione-intrusione di un uomo, ammollo sul sentiero d'acqua del Moro in virata ha provocato da parte di Cayard l'esposizione della bandiera rossa di protesta. Un gesto simbolico perché poi ragionevolmente non è stato sporto nessun reclamo, così che segnaliamo la cosa, che può essere costata al Moro pochi secondi, soprattutto come una curiosità umanistica: il massimo della tecnologia spupazzato ancora dall'uomo, con tutti i suoi limiti, i suoi errori, i suoi impacci. Sia lodato il sub, che permette di arrabbiarci perché un uomo sbaglia, non perché sbaglia un computer. Intanto sembra che sull'Italia di San Diego si trasferisca almeno un po' della pressione italiana d'Italia sull'evento. Forse sono le notizie di arrivi vip, dal Bel Paese e non solo, a legare al mondo un'avventura che sino a qualche giorno fa sembrava quasi orgogliosa del suo isolamento, della sua «indipendenza». Si annuncia l'Aga Kan, che fra l'altro è presidente dello Yacht Club Costa Smeralda, del quale sono soci e Raul Gardini del Moro e Bill Koch di America 3 (anzi, l'americano del Kansas ha scoperto la vela proprio otto anni fa nelle acque sarde), e che ha fatto partire telegrammi calibrati da Porto Cervo ai due, all'insegna del «vinca il migliore». Atteso anche il presidente federale della vela Gaibisso, atteso l'ambasciatore d'Italia a Washington Biancheri, atteso Trapasso presidente della Montecatini. E voci: su Juan Carlos re di Spagna e su Gianni Agnelli, su Chirac e su Pavarotti e su Tomba. Incapsulati nei loro problemi, quelli del Moro comunque vivono come astronauti in mondi lontani. Soltanto Gardini si è ritagliato una zona di rilassamento, per andare con i nipotini a vedere l'acquario, ovviamente anche questo come dieci altri il più grande del mondo. Il problema massimo affrontato prima della terza regata è stato, con cinque ore di prove in mare, Moro 4 e Moro 5, quello delle vele. Si perdono, rispetto agii statunitensi, dei brutti secondi nell'andatura di poppa, con il vento cioè da dietro. Bisogna modificare le vele per annullare l'handicap. Si sfruttano i minuti per fare tutti gli esperimenti. I velisti sono un plotone importante nei centodiciannove (trentotto gli stranieri, di Australia, Francia, Canada, Messico, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Brasile e Argentina) che lavorano al Moro: una colonia che arriva complessivamente sui centoquaranta, dai ventidue ai sessantacinque anni, calcolando le donne ed i bambini. Giorgio Cavalazzi disegna le vele, Davide Innocenti le fa materialmente, aiutato si capisce, Alien australiano le studia in azione e le paragona a quelle avversarie, dando una specie di voto, Kolius statunitense è quello che tiene i collegamenti fra i velisti e Cayard. I problemi delle vele sono tantissimi, fissi ed emergenti. Fra i secondi ad esempio il fatto che il gennaker è un ottanta metri quadrati sotto rispetto a quello di America 3, che di me¬ tri quadrati ne fa trecentocinquanta. Poi c'è il problema, più interno che è generato dal confronto con le vele nemiche, della randa: ce ne sono due per il vento leggero, quella in kevlar è più sicura ma più pesante, quella in carbonio è più leggera ma meno convincente quanto a forme. Questi e altri problemi arrivano tutti addosso a Cayard, che prende le decisioni definitive, nel massimo rispetto della specializzazione ma anche con un'autorità che fisiologicamente deve sempre sovrapporsi a qualcuno, a qualcosa, a un'idea, a una convinzione. Per un certo tempo uno psicologo ha frequentato il gruppo del Moro, cercando di smussare certi angoli, ma adesso l'urgenza delle gare ha posto fine al suo lavoro fatto di tempo e di calma. Il Cayard assediato dai dilemmi è difeso soprattutto da se stesso, anguillesco com'è nello scappare agli agguati, giornalistici e non solo. La sua sparizione, alla fine di rapide conferenze-stampa in cui i giornalisti statunitensi hanno una sorta di diritto divino di «prelazione» dei personaggi (sempre a loro il microfono per fare domande), la sua sparizione dicevamo è autenticamente magica. Poi si indovina Cayard dietro quelle porte che si aprono soltanto con le tessere magnetiche, e che danno accesso al cantiere del Moro, anzi dei Mori, il 4 a e il 5. C'è pure il pretoriano di Cayard, è un francese d'Algeria, nato nel deserto dove suo padre faceva il maestro elementare agli arabetti, si chiama Laurent Esquier, ha i modi di uno della Legione Straniera, c'è chi è ammirato della sua necessaria crudeltà nel cacciare via gli umani, chi lo odia. Tutta gente che ti guarda come un matto quando provi a chiedere se si sta ponendo il problema del «dopo», un dopo che comincerà il 20 di questo mese. Gardini ha già detto che rifare la Coppa America come sfidante non lo interessa, e che farla come detentore presuppone un grosso impegno economico, da raccolta delle forze. Tantissima gente potrebbe trovarsi disoccupata, fra una settimana. Ma il presente è così divorante che nessuno va al di là del 20 maggio, anzi della prossima regata. Gian PaoSo Ormezzano Un marinaio si prepara a issare la bandiera del Moro [FOTOAP]