Sorrisi acidi all'ombra del Colle

Sorrisi acidi all'ombra del Colle «Sette anni di guai» in un libro sulla storia satirica degli otto Presidenti della Repubblica IL VELENO DEGLI UMORISTI DAL'46 A OGGI Sorrisi acidi all'ombra del Colle IDalle bottiglie di Einaudi alle «corna» di Leone U NA interminabile scalinata. Lassù, in alto, le gambe di una sedia. Due gambe che non arrivano a toccare terra. Una sciaboletta. «Non più nani in alto!». Con questa vignetta di Scalarmi già disegnatore all'ovanti.' di Mussolini, poi ridotto in fin di vita dai fascisti e incarcerato a San Vittore - finisce nel '46 la storia satirica del Regno d'Italia e comincia quella della Repubblica. E dei suoi Presidenti. Un inizio incerto, però. Tanto che De Gasperi fino all'ultimo non sa decidersi (vignetta di Artioli: «Dicono che io non abbia idee chiare circa il problema istituzionale. Menzogna! Io sono per una repubblica regia il cui Presidente sia re per grazia di Dio e per volontà del Santo Padre»), mentre Croce un'idea l'avrebbe (in un disegno di Giammusso è cogitabondo nel letto, e sotto ci sono una corona, un berretto frigio simbolo della libertà repubblicana e in mezzo un pitale: don Benedetto: «Le mie meditazioni mi portano sempre più verso il centro»). Poi verranno il «pr. pr. pr. pr.» De Nicola («primo Presidente prorogato provvisorio», come lo chiama, con un pernacchie, la rivista satirica II travaso) e l'«einaudito» Einaudi, tormentati dai fantasmi di una non rinnegata fede monarchica. Sul Quirinale grava un'atmosfera cupa, fin da quando i Savoia ne cacciarono il Papa guadagnandosi le maledizioni di Pio IX («Anatema sugli scassinatori!») e di don Bosco profeta di sventure («Regi nostro, vita brevis»). Infatti Vittorio Emanuele II morì di lì a poco, dopo aver assistito a un'autentica ecatombe in famiglia, Umberto I venne ammazzato, Vittorio Emanuele III e il re di maggio suo figlio finirono in esilio. E i Presidenti? Sbaragliare i concorrenti al Colle è per loro come infrangere uno specchio: sono sette anni, ma sette anni di guai. Sette annidi guai si intitola un libro di Angelo Olivieri edito da Dedalo, fra pochi giorni in libreria, dedicato ai Presidenti della Repubblica nella satira, con le vignette più significative dal '46 a oggi. E' vero che «nani in alto», nonostante gli sforzi, non ne sono più andati. «Nano maledetto, non sarai mai eletto»: un anonimo grande elettore l'ha detto chiaro, a Fanfani, in una lontana elezione presidenziale. In questo Scalarmi ha avuto ragione. Per il resto... Si comincia con l'accidioso avvocato di Torre Annunziata diventato suo malgrado «don Enrico provvisorio». De Nicola o dell'indecisionismo. Ci scherzano un po' tutti, De Simoni (su una copertina del Travaso lo disegna con il busto e abbarbicato alla poltrona, mentre le gambe staccate se ne vanno via per conto loro) e soprattutto Girus: «Il dramma di ogni sera: "Vado a letto o mi dimetto?"»; «Il dramma di ogni mezzogiorno: "Carne o pesce?"». Ma il destino del pr. pr. ecc. è di trangu- giare bocconi amari: ancora Girus lo raffigura più volte a tavola, con il cameriere De Gasperi che gli porge un vassoio su cui troneggia un enorme rospo. Quando nel '55 a quella stessa mensa siederà Gronchi, nelle vignette di Gi(useppe) Rus(so) il batrace si trasforma: diventa la testa di Sceiba, democristiano come il neoeletto ma suo avversario politico, che si dimette da presidente del Consiglio. Sarà uno dei pochi spunti offerti da un settennato (o «sottanato», come ironizza Apolloni, disegnando una lugubre sfilata di abiti talari che ritorna al Quirinale con il primo Presidente de) satiricamente fra i più grigi. Prima c'era stato Einaudi, e anche con lui le cose non promettevano bene. In una vignetta di Attalo sul Marc'Aurelio il Presidente invocava una visita di Ingrid Bergman: «Così avremo finalmente un po' di folla sotto il Quirinale». Poi accadde il fattaccio. Caso volle che un giorno il terribile Guareschi si imbattesse in una bottiglia di Nebbiolo prodotta dall'azienda di Einaudi. A scanso di equivoci, l'etichetta lo specificava: «Il vino del Presidente». Al monarchico Guareschi non andò giù: e qualche giorno dopo pubblicò sul Candido un disegno di Manzoni in cui si vede un omino claudicante, appoggiato al bastone, che passa in rassegna due file di corazzieri trasformati in bottiglie di Nebbiolo. Era il 1950. Seguirono polemiche, proteste, interrogazioni parlamentari. La Stampa stava per pubblicare una risposta di Novello in cui si diceva «meglio le bottiglie della Repubblica che i fiaschi della monarchia», ma l'autore bloccò in extremis la vignetta per non dispiacere all'antico compagno di Lager. Tuttavia Guareschi non scampò al processo e alla condanna in appello a otto mesi (interamen¬ te scontati, con varie aggiunte, dopo varie altre «malefatte»). Fu un episodio isolato, e per molti (non per Guareschi) servì da lezione. Il settennato di Gronchi contribuì a spuntare le armi. Che cosa significa? «Una satira che vanta una sola condanna in quasi mezzo secolo risponde Oreste del Buono - può voler dire due cose: o che viviamo in un Paese illuminato, o che la satira non funziona come deterrente politico. E sì che Presidenti da prendere in giro, ma prendere in giro sul serio, ce ne sono stati». Perché non è avvenuto? Una spiegazione, dice Del Buono, può essere la scarsa influenza che nel nostro Paese si attribuisce al Capo dello Stato: «Ma quando sono venuti i più appariscenti Presidenti esternatoli, non solo Cossiga ma anche Pertini, le cose non sono molto cambiate. E' la situazione della nostra satira politica in genere: abbastanza tri¬ ste, un po' depressa, che si esprime con una comicità da "parastatali"». Un giudizio duro. Troppo? Di fronte al curvo e perennemente incappottato Segni, salito al Quirinale nel '62, i disegnatori non trovano di meglio che sfogarsi con una serie di vignette in cui l'omino è ritratto paralitico in carrozzella, senza gambe, nell'atto di ricevere l'estrema unzione. E' un crescendo un po' sinistro e vagamente iettatorio. Tanto che nel '64 i «cattivi Segni» si avverano e il Presidente, colto da ictus, deve lasciare la carica. Avanti un altro. «Sarà Leone o Sarà gat?», si domanda l'Italietta turrita di Giovanni Mosca. Dopo estenuanti votazioni, è Saragat. Qualche ironia sul socialista smarrito (in un disegno di Giammusso, un Marx perplesso si presenta al Quirinale: «Chissà se mi riconoscerà...»), sui voti del pei rac¬ cattati nella spazzatura (Guareschi), poi un'interminabile innocua infilata di fiaschi di vino, a sottolineare la passione del rubizzo Presidente. Leone insiste, nonostante una profetica vignetta del Travaso che fin dal '64 lo consola avvertendo: «Lè melio vivere centanni da Leone che settanni da Presidente!». Sette anni dopo il giurista napoletano si rifa. E grazie a lui si rifanno gli umoristi. Sono gli anni del Male, la testata blasfema e eccessiva che rappresenta per Del Buono «il periodo eroico della satira». I disegnatori trovavano un terreno fertile. «Tutto merito del personaggio, del suo modo involontariamente macchiettistico di presentarsi», ricorda oggi il disegnatore Tullio Pericoli, che a Leone ha legato i suoi maggiori successi nella satira politica. «Alla fine la sua immagine disegnata si sovrappose a quella reale, e la gente rideva al solo vederlo perché si ricordava delle vignette». Il Presidente compariva sui giornali vestito da clown, da Pulcinella, intento al gioco delle tre carte o a intonare «Funiculì funiculà». Anche le copertine di Pericoli e Pirella per l'Espresso, insieme con le polemiche scatenate da Melega e dalla Cederna, ebbero un peso nelle dimissioni del Presidente, nel '78, travolto dagli scandali politici e famigliari. «Facevo i disegni contro di lui - confida Pericoli -, ma contemporaneamente facevo il tifo perché restasse». Invece se ne andò, immortalato un'ultima volta da Forattini nella sua esternazione più caratteristica: nella vignetta si vede un mare limaccioso («di merda», precisa l'autore) e una mano che fa le corna e vi sprofonda. Con il settennato di Pertini tornano i tempi duri. «Finalmente un pregiudicato alla presidenza della Repubblica», sogghigna una copertina del Male alludendo ai trascorsi penali del Pertini antifascista. Ma c'è poco da scherzare: troppo amato, troppo pulito, troppo «santo laico». «W Pertini, W Pertini, ma per carità ridateci Leone», implora Karen, sempre sul Male. Per fortuna (degli umoristi) nell'85 arriva Cossiga. Anzi, arriva nell'estate del '90, quando comincia a togliersi dalle scarpe i primi sassolini. Prima era una specie di San Francesco col saio, attorniato dagli uccellini De Mita, Andreotti, Spadolini (Giannelli su Repubblica); si faceva le foto con l'autoscatto perché nessuno lo degnava (Perini su Tango); continuava a dormire serafico (Vauro, Disegni & Caviglia). Poi l'esplosione, «al 4° Prozac, il doppio Dopamicon 6 Tritticon. Ma non era meglio quando era depresso e con Litio e Tavor dormiva felice?» (Vincino su Cuore). Il dotto£<Jekyll diventa 'Hydej* è il momento di Cozinga, di Cossiga-Tarzan, Cossiga-Frankenstein. Per i disegnatori è una pacchia. Forattini lo ammette, però ci tiene a distinguere: «Io non ho fatto come molti miei colleghi, che gli hanno dato addosso in tutti i modi. Per me è un personaggio fuori degli schemi partitocratici, lui e le Leghe hanno dato un bello scossone al sistema. Per questo mi piace e mi auguro che sia rieletto». Se lo augura come vignettista? «No, come cittadino. Come disegnatore potrei augurarmi Spadolini». E loro, i Presidenti bersagliati, come hanno reagito? Con la lontana eccezione di Einaudi, non risulta che nessuno se la sia presa. Da molto tempo, anzi, è abitudine dei politici chiedere ai disegnatori gli originali. Qualche arrabbiatura qua e là, soprattutto a sinistra, qualche querela, ma i più smaliziati sanno che i benefici superano di gran lunga il danno. Che abbia ragione Del Buono? Maurizio Assalto Al QUIBIMALE 1 corazzieri. Candido' - dis. Manzoni FIASCO N. 2 Pepp;p^ Saragat si è rimesso al lavoro. Corriere Lombardo - dis. Manca Oreste del Buono «Una sola condanna per diffamazione ! in mezzo secolo: viviamo in un | Paese illuminato | o sbeffeggiare i le autorità I è soltanto ! un'arma spuntata?» Il tema del vino perseguitò le presidenze di Einaudi e Saragat (in alto e a sinistra) Per la vignetta di Carlo Manzoni su «Candido», il direttore Giovanni Guareschi finì in carcere otto mesi Ai AIIO fOèTO f ] Eiprciw. ■ ftn're/i e PìrttU Giovanni Leone (sopra) fu bombardato dalla satira finché non si dimise Su Antonio Segni (a destra) non mancarono gli spunti di stampo iettatorio Piatta òel giorno — Il signor Presidente è servito. Merlo piallo ■ dis. Girus Cosi Giuseppe Russo meglio noto come Girus raffigura il neopresidente Giovanni Gronchi a tavola mentre gli viene servita su un vassoio la testa dell'avversario politico Sceiba (Il Presidente Gronchi con la testa di Sceiba). Auguri ài fine d'Anno FANFANI: — Presidente, buona fine! SEGNI: — Sono 6 mesi che me la stai augurando. Merlo giallo, • dis. Girus

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