Paul Cayard punzecchia il nemico di Gian Paolo Ormezzano

Paul Cayard punzecchia il nemico Paul Cayard punzecchia il nemico «Successo meritato, rum regalo di Babbo Natale» SAN DIEGO. La terminologia, la fraseologia si stanno facendo calcistiche, nel gruppo italiano della Coppa America. la febee zona Cesarmi del Moro nella seconda sfida, il guizzo vincente (qui però si deve scomodare il colpo di reni del ciclista, equivalente a quel buttare avanti la vela), il contropiede, il secondo tempo di una partita che sarà almeno di cinque tempi, il marcamento a uomo (a barca) ed a zona (secondo il mare, il vento). E calcistica ormai è anche l'intonazione generale, con appello alla prudenza, con ipervalutazione fissa dell'avversario. E si parla pure di offensivismo e di difensivismo: loro più forti nelle vele d'attacco, noi in quelle di difesa di un vantaggio, togliendo aria a loro. Calcistico è anche il contatto fra i media e un po' di Moro, sempre Gardini, qualche volta un velista, piacere io sono il tattico, piacere io sono il navigatore. Poche parole su una sorta di banchina del porto, poi uno guarda l'orologio e dice basta. Gardini per la verità sempre gentilissimo: «Dobbiamo migliorare le vele, specie la randa, poi ci siamo. La loro barca è completa, comunque. Sarà una sfida diffìcile, drammatica. Nella seconda regata ci hanno, toccato con una vela, questo dice di come si lotta. Spaventosi i minuti in attesa di sapere chi aveva vinto. Ce l'ha detto la radio, io lo sentivo dentro, altri a bordo no». Fra noi media, Cino Ricci, che fa Tmc e ci dice: «Io tante volte mi sogno di essere qui, in barca, a San Diego, per vincere la Coppa America». Poi quella che sempre chiede a Gardini - ieri l'altro sul Moro come diciassettesimo, il convitato di pietra - se non gli prende voglia di timonare, specie vedendo Koch che lo fa: «Basta con questa domanda, mi arrabbio. Io non timono più, neanche in vacanza». E poi la conferenza-stampa ufficiale. Cayard contro Koch, parole molto ovvie, cavalleria troppo esibita per essere vera. Lo skipper del Moro: «Finale tre¬ mendo, i miei tutti da ringraziare. Le barche si equivalgono, d'accordo che la nostra randa è da cambiare. Non riesco a godermi una regata, la tensione è sempre al massimo. Mi sento gli avversari vicini, addosso. Io ero certo di avere vinto. In ogni caso, un secondo più uno meno, questa vittoria non è stata un regalo di Babbo Natale, ce la siamo meritata tutta». Togliendo l'handicap della partenza sbagliata del Moro nella prima virata, dopo quaranta e passa miglia fra le due barche ci sono pochi centimetri. Oggi si riprende, alle 12,30 californiane. Impressione che chi va sul 2 a 1 poi arriva al 4 prima dell'altro. Ma poi si cambierà idea. Koch di America 3 sta benissimo al gioco delle ipotesi, del confronto stretto. E della battuta: «Cayard è il secondo timoniere al mondo, dopo Conner. Il mio Melges? E' il più adatto alla mia barca. Pensavo di avere vinto, comunque sono orgoglioso di cosa riusciamo a fare. Abbiamo cominciato ap¬ pena lo scorso agosto». E lasciamo gli attori, torniamo al copione. Probabilmente l'enorme entusiasmo che c'è per questa sfida in Italia è dovuto proprio alla «calcificazione» di essa, intesa come arte nostra di plasmarla sul calcio, non come sclerotizzazione minerale. Ormai la sfida è diventata la partita, e noi siamo i migliori (o i peggiori, è lo stesso) al mondo nel giocarla a parole. E si parla di tattica e di tecnica con la disinvoltura dei dialoghi calcistici, quando invece nella vela, per certi discorsi, si deve avere studiato, avere praticato. La partita peraltro è davvero bella, drammatica. C'è la cosiddetta palpitante incertezza che ha fatto la fortuna di tanto sport. Ci sono anche i miliardi, altro comune denominatore con il calcio: e si dice che Cayard verrà a guadagnare come un giocatore del Milan, se darà a Gardini il lieto fine. Gian Paolo Ormezzano

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