Ma Andreotti non vuole arrendersi
Ma Andreotti non vuole arrendersi Grandi manovre nella de. E Giulio dice: non possiamo assolutamente rinunciare al Colle Ma Andreotti non vuole arrendersi «Sono pronto a scendere in campo fin dalprimo voto» ROMA. Nella democrazia cristiana è l'unico ad avere le idee chiare per il Quirinale: lui è pronto a scendere in campo, «dalla prima votazione - come ha detto ai suoi collaboratori - o quando la de lo riterrà più opportuno». Il «lui» in questione è l'indomabile Giulio Andreotti. Anche questa volta, mentre Arnaldo Forlani nicchia e Ciriaco De Mita strizza l'occhio al candidato laico Giovanni Spadolini, Andreotti è pronto a fare la sua battaglia giocando sullo slogan che la de non può rinunciare ad avere un candidato nella corsa per il Quirinale. Nella giornata di ieri il presidente del consiglio dimissionario ha fatto capire ancora una volta di perseguire «fortissimamente» questo obiettivo. E, come al solito, si è mosso in silenzio con discrezione, per costruire il suo tentativo fin nei minimi dettagli. La prima mossa Andreotti l'ha fatta a fine mattinata quando dopo aver acclarato che Forlani, almeno per il momento, non è disposto a candidarsi per il Colle - ha avuto un nuovo colloquio a quattr'occhi con l'ambasciatore di Bettino Craxi, Claudio Martelli, per rammentargli i discorsi fatti la settimana scorsa. In quell'occasione Andreotti era stato molto chiaro con l'inviato del psi: «Se volete Forlani gli aveva detto - e lui è disponibile, io sono disponibile ad appoggiarlo. Ma se Arnaldo non si candida, io sono pronto a correre». E poi, con tono sconsolato, aveva aggiunto: «Non mi dite che votereste Spadolini.,.», A sette giorni da quel colloquio le cose sono maturate prò- prio nel senso che aveva prospettato il Presidente del Consiglio dimissionario: c'è una candidatura Spadolini che si sta facendo largo e nella de l'unico che è pronto a tagliargli la strada è proprio lui, il «divo Giulio». E dal sondaggio fatto su Martelli, il Presidente del Consiglio dimissionario ha capito che probabilmente i socialisti potrebbero anche appoggiarlo, costretti a scegliere tra la sua candidatura e quella del presidente del Senato. La voglia del capo di scendere in campo ha reso nuovamente baldanzosi gli andreottiani «doc». n fido Nino Cristofori ieri ha attraversato più volte il Transatalantico di Montecitorio per rendere noto l'ottimismo andreottiano. «Secondo noi - ha spiegato Spadolini non ha nè i voi! del psi, nè quelli del pds. I socialisti, invece, verso di noi potrebbero avere un atteggiamento diverso. Inoltre, le Leghe cominceranno sul nome di Cossiga, ma poi potrebbero cambiare. Mentre con i missini non ci sarà nessun accordo politico, ma ci sono dei rapporti personali che potrebbero contare. Infine, nella de Gava è con noi. L'unico che è schierato contro Giulio è De Mita, ma non ha con se tutta la sinistra de. Ecco perchè Andreotti la sua corsa la farà sicuramente, poi si vedrà se la vincerà o meno». Se Cristofori ha continuato per tutto il giorno a sprizzare ottimismo, Andreotti ha mantenuto un riserbo assoluto. Solo nella riunione con i prefetti al ministero dell'Interno ha fatto dei ragionamenti che potrebbero quasi diventare la base del suo discorso di candidatura. Una serie di segnali rivolti a 360 gradi: Andreotti ha cominciato col dire che «per certe cose e per certe scelte che abbiamo fatto meritiamo l'inferno. Può darsi che sia meglio che i partiti se ne vadano, che sciolgano le fila». Poi ha ipotizzato una trasformazione dei partiti in comitati elettorali sul modello americano. Infine ha proposto ancora una volta di «dimezzare» il numero dei ministeri. E, infine, non ha dimenticato di affrontare «politicamente» anche i problemi posti dallo scandalo di Milano: «Bisogna abolire il finanziamento pubblico dei partiti prima che sia un referendum a farlo». In serata Andreotti ha sostenuto la prova più difficile, il confronto con gli altri capi della de. A Palazzo Sturzo davanti a tutta la «nomenklatura» democristiana ha posto il problema di una candidatura del patrtito. «La de deve fare un nome - ha spiegato - deve lanciare una candidatura autorevole se necessario anche dalla prima votazione». E per dimostrare di essere mosso da amore di partito e non da mire personali, è stato lo stesso Andreotti a proporre il nome di Forlani. Il segretario ha declinato l'invito, mentre De Mita, il vero nemico del tentativo an- dreottiano, ha chiesto a Forlani di trovare un accordo tra de, psi, pds, pli, psdi e pri anche su un nome «non-democristiano». Ieri l'hanno avuta vinta loro, gli avversari di Andreotti, visto che la de arriverà alla prima votazione con un candidato di bandiera, probabilmente il senatore De Giuseppe. Ma il «divo Giulio» ancora non ha deciso di demordere. Spera in Gava e nei dorotei che vogliono che la democrazia cristiana lanci una sua candidatura, punta sul fatto che Craxi non dia il suo assenso su Spadolini. Lui ha bisogno solo che la de lo metta in campo, poi, come gli è capitato sempre, se la vedrà da solo. Augusto MinzoKnf «E meglio forse che i partiti se ne vadano Ma una cosa deve essere fatta: bisogna dire basta al finanziamento con i soldi dello Stato» Quirinale, ecco la contesa poltrona del Presidente della Repubblica
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