Quello sfregio al voto per Saragat di Filippo Ceccarelli

Quello sfregio al voto per Saragat Quello sfregio al voto per Saragat / ricordi dei giornalisti, 007dietro le quinte Chi ricorda quel terribile Natale del 1964, con l'alberello illuminato nella buvette, chi le 23 elezioni che ci vollero per Leone. E promesse, minacce, rinunce false o vere. Venditti ripensa a De Mita che «faceva il gesto di aver le tasche piene. Intendeva dei voti del pei, e fu sospeso dal partito». Senza dimenticare Pertini, splendido agit-prop di se stesso: «Si andava a pranzo insieme e ci utilizzava come messaggeri - rammenta Laurito -. Io andai a parlare con Natta». Missioni segrete. Ritmi di lavoro convulsi. Testimonianze di scontri sotterranei che potrebbero ripetersi. Per la delizia dei colleghi più giovani Italo Avellino, già cronista a Giorni-Vie Nuove, dispensa una specie di trattatello tecnico sull'uso storico dei franchi tiratori: «Mai tutti della stessa corrente, sennò si scoprono subito. E attenzione: in tasca i cecchini hanno due schede. La prima è di copertura e va esibita. La seconda, quella vera, va scritta di nascosto». Dove, lo spiega senza falsi pudori un'altra storica presenza del Transatlantico, Normanno Messina: «I forzanovisti, nel 1964, andavano a compilarle nei cessi. Il problema.era di scambiare le schede nel giro di otto metri. Toros era bravissimo, Cengarle aveva qualche problema». Ah, bei tempi, chissà se stavolta... Messina, unico giornalista di Montecitorio che ha avuto il privilegio di dieci voti negli scrutini del 1978, si fa un po' pregare, però alla fine racconta anche lui dell'elezione del «suo» Gronchi, «quando, con l'Agenzia Aisa spingemmo la de alla rivolta patriottica contro Merzagora, candidato di Fanfani. Le note le scriveva Ravajoli, un ex senatore che faceva il mercante d'arte, e siccome allora non c'erano gli industriali se ne andò a Montecatini a vendere un paio di croste». Accanto a lui, con l'aria un po' annoiata per le miserie dell'oggi, siede Franco Lisi, direttore delì'Agenparl. Con un sottile filo di nostalgia racconta «come nel 1971 finì un amore»: quello cioè tra lui stesso e Fanfani. «Gli tenevo i rapporti con le sinistre e invece si profilava una maggioranza di centro-destra. Presidente - gli dissi - questo vestitino non le sta bene. Lei al Quirinale ci andrà, ma per rendere omaggio al nuovo Capo dello Stato". "Io non ho bisogno - mi rispose - dell'assistente spirituale"». Come si sa, venne eletto Leone. Dopo un testa1 a testa con Moro in una drammatica e ancora misteriosa assemblea scudocrociata: «Io avevo un accordo con un funzionario del gruppo de - racconta Onofrio Pirrotta, allora alYAdn-Kronos - e me ne stavo in una stanzetta lì vicino, il telefono aperto con la redazione per dare per primo la notizia. Quando scelsero Leone non ci volevo credere, persi una scommessa col mio direttore all'altro capo del filo». «Moro - secondo la memoria stòrica di Orefice - fu sconfitto anche perché ebbe la presunzione di aspettare a casa sua che gli offrissero la candidatura». Dell'ira fanfaniana, quella volta, fece le spese Quaranta: «Andai ad aspettarlo al Senato, dopo che era sparito dalla circolazione. Mi disse: "Con quale faccia lei osa presentarsi davanti a me? Comunque mi segua!". Non gli era piaciuto quello che avevo scritto su Panorama. Mi fece accomodare su una specie di puff: "Io la mando in galera!". Schiumava di rabbia, tirò fuori il fazzoletto, ero terrorizzato. "Sa, volevo sapere dove era stato in questi ultimi giorni...". E lui, con calma: "Sono stato a Pavia". Tirai fuori il taccuino: "Sono stato a Pavia, virgola, per litografare cinque disegni astratti nella tipografia di un parente di mia moglie, punto". Finì bene, per fortuna. Mi regalò una di quelle litografie». Quanti ricordi. «Eppure, all'inizio - sostiene Orefice non è che l'elezione presidenziale fosse così importante come oggi. I partiti non erano messi in discussione. Il conte Sforza, con il suo monocolo, era lì, maestoso come se fosse un monumento...». Filippo Ceccarelli Quando Quaranta con occhiali neri si fìnse un de, Pirrotta perse una scommessa e Messina scoprì le doppie schede A sinistra, nella foto grande, Gronchi. Sopra, Saragat e Orefice. Qui a fianco, Onofrio Pirrotta.

Luoghi citati: Avellino, Messina, Montecatini, Pavia