I pittori ritentano la scalata al cielo di Angelo Dragone

I pittori ritentano la scalata al cielo Torino: sacro, profano e cosmogonie I pittori ritentano la scalata al cielo CTORINO IOCATO sul filo d'un sottile godimento estetico che deve aver coin volto per primi quelli che vi hanno posto mano, il «progetto Dioce» - nato da un'idea di Enzo Biffi Gentili e messo a punto con l'apporto di Giuliano Bianucci, Toni Corderò e Giorgio Griffa - sta facendo di Torino, il luogo emblematico d'una esoterica serie di mostre. Nella juvarriana sacrestia di San Filippo Neri la prima rassegna, intitolata «Concentrazione», comprende le opere di trenta artisti (per due terzi stranieri) che, per la magia dei loro cerchi, dischi solari e altre forme ad anello, potrebbero apparire quasi come antichi adoratori del Sole. Con le riproduzioni a colori di quanto viene esposto il catalogo riporta, per ogni autore, un breve scritto, suo o d'altri: un'indicazione di poetica che diventa preziosa per una più compiuta, sfaccettata definizione del pensiero estetico che viene a sottendere ogni opera. Da Atene a Gerusalemme Altrettanto può dirsi degli scritti introduttivi per le varie mostre: da quello dì presentazione del Progetto, nel testo elaborato da Biffi Gentili, con una erudizione portata a stemperarsi nella più ricca e gustosa divagazione storico-letteraria, ma anche le pagine di Sergio Quinzio, invitato a trattare «per contrasto» il tema «Arte e Sacro», segnando il momento del distacco tra Atene e Gerusalemme, il mito e la religione; mentre il filippino padre Giuseppe Goy vi ricorda la sensibilità di San Filippo Neri, paragonandola a quella di Elia che, nel viaggio verso il monte Oreb, non aveva colto la presenza divina negli eventi più spettacolari, l'uragano, il ter¬ remoto, il fuoco divoratore, ma nella lieve brezza «percepibile soltanto da chi è capace di vera concentrazione». A questo punto Elia «intuisce la presenza di Dio, si copre il volto e l'incanto della rivelazione divina si consuma». Qualcosa di simile può accadere anche per l'arte: la rivelazione viene, a volte, da un segno come dal sentimento del colore, dalla portata d'una forma o dalla particolare resa materica. Tutte variabili chiamate in causa dalla creativa originalità del singolo, dalla sua personalità. Questo è lo sfondo sul quale si colloca anche il tentativo di rilancio d'una Torino culturale, sull'esempio della mitica Dioce: antica capitale della Media già ricordata da Erodoto, ma ancor di recente da Ezra Pound che, come ha segnalato Giorgio Griffa, ne accenna nel primo dei Canti Pisani: «Per costruire la città di Dioce, dalle terrazze color delle stelle...». Esempio calzante per l'insieme d'un programma che potrà sembrare utopico e sofisticato, ma ha il merito di porsi come fatto concreto, costituito dalla coinvolgente presenza di numerose opere d'arte, davvero splendide: davvero un «... a bang, not a whimper...» («uno schianto, non una lagna...», come di Dioce aveva scritto Pound. E per Torino con un programma costruito perfino nella ricerca di quelle figure di ideali patroni (Galvano, Sartoris, Carluccio, Battisti) destinati a dare spessore anche temporale agli interventi espositivi. «Concentrazione» riassume il mondo. Sarà difficile dire a quale galassia Pupino Samonà ha attinto il suo tondeggiante frammento di universo, o Piene il mistero tutto godibile del disegno lasciato dal fumo sulla sua carta telata. Oltre tutto gli ingredienti impiegati son spesso poveri, ma colmi di fascino i risultati ottenuti. A fare il resto son poi Noland e Olitski, nei loro gorghi di colore, con i concentrici speculari di Accatinio, la luce imprigionata da Abe e i cangianti cieli di Strazza, come il magma luminoso di Pousette-Dart, o la vibrazione di un alone colorato com'è per Sedgley o Aricò. Prime due tappe. In «Elogio del decoro», da Martano, antico e moderno si saldano nel nome del prezioso e del bello; nell'ornato Grande bianco di Strazza come nell'esistenziale vitalità dei segni-colore di Griffa; tra gli Estri modulari di Cagli e la coerenza costruttiva di Capogrossi. Alla Bussola, una «Histoire du ciel» propone una cosmogonica rivisitazione (oltre tutto attualissima), con le mappe delle rotte stellari di Andrea Negri, i misteri lunari di Santo Tomaino, a fronte di due francesi, Richard Texter e Korczowski, quest'ultimo di origine polacca, le cui apocalittiche visioni si riallacciano, nell'unica personale, ospitata da Simon Gavina, alla suite «Amour à Mort»: inquieto ed inquietante itinerario, dedicato alla suggestive bellezze d'una Torino che anche nel degrado sa far trasparire le più autentiche sue aspirazioni. Uno spazio cerimoniale A chiudere la partita è il design dell' «Alisso»: oggetto d'uso e di decoro, il piatto di ceramica e l'applique, una coppa di vetro soffiato e fil di ferro cromato: tecnica e fantasia, tra neo-funzionale e l'incalzare del postmodern, da Maria Bofill a Sottsass: tutti bravi, estrosi, creativi, come Toni Corderò, Echaurren, Mencacci e Provinciali, l'ironico Rontini, sino a Kita che ha posto lo sfavillio della sua ciotola d'argento in un cubo, eletto a razionale «Spazio cerimoniale». Angelo Dragone Von Wiegand: «Sanctuary of Four Directions» Accanto: «Amour à mort» di Bogdan Korczowski

Luoghi citati: Atene, Cagli, Gerusalemme, Martano, Torino