I nuovi fantasmi del castello di Praga di Aldo Rizzo

I nuovi fantasmi del castello di Praga R OSSERVATORIO I nuovi fantasmi del castello di Praga ESTATE ci porterà una nuova crisi nell'Europa centroorientale? E' possibile, anzi è probabile. Infatti, dopo quello sovietico e quello jugoslavo, si delinea il caso della Cecoslovacchia. Vladimir Meciar ha detto che, dopo le elezioni, ci sarà il divorzio tra la parte ceca e quella slovacca della Repubblica federativa. E si vota il 5 e 6 giugno. Chi è Meciar? E' il leader del Movimento per la Slovacchia democratica, che ha soppiantato nelle simpatie dei suoi connazionali il primo ministro democristiano Jan Carnogursky. Tutte le previsioni lo danno vincente il 6 giugno. Se si avvereranno, salterà il progetto di una revisione costituzionale, che fa salvo il potere centrale, pur concedendo maggiore autonomia ai due governi regionali. Meciar non vuole nulla di meno di una sovranità piena per la Slovacchia, al massimo ammette un vago legame confederale. Al solito, ci sono ragioni lontane e recenti, per questo divorzio annunciato. Boemi e moravi da una parte, slovacchi dall'altra, erano insieme nell'impero asburgico, ma i primi gravitavano nell'orbita di Vienna (quindi della sua economia e della sua cultura) e invece i secondi erano nell'area ungherese, più periferica in tutti i sensi. Si mentivano ed erano più arretrati e più poveri, e ne davano la colpa ai cechi. Questi sentimenti sopravvissero alla nascita dello Stato unitario, dopo il crollo dell'impero, e alla lunga e tragica esperienza comunista, nel secondo dopoguerra. Ora minacciano di esplodere nel «terzo dopoguerra», nella riscoperta diffusa delle nazionalità, venuto meno il collante ideologico imposto dall'Urss. Anche perché si ripropone la questione economica: la Slovacchia paga più della parte ceca i costi della riforma, dal comunismo al mercato. La disoccupazione è al 12-13 per cento. Nel processo di liberazione dal comunismo (i magici fatti dell'89), la Cecoslovacchia lù un caso esemplare, sotto la guida suggestiva e sapiente dello scrittore Vaclav Havel. Nessuna violenza, tutto all'insegna della tolle- I clav | tutu ranza e della moderazione. La «rivoluzione di velluto». Ma i tempi sono cambiati. Rapidamente. Anche un Paese come la Cecoslovacchia non esce concorde e pulito dalla traversata del deserto comunista. Il Forum civico, che gestì la fine indolore dalla dittatura, praticamente non esiste più. Sono addirittura 111 le liste in lizza nelle prossime elezioni. E, nonostante gli appelli di Havel, è emerso uno spirito di vendetta. Come dimostra la famosa «Lustrace», la legge che decreta in pratica la morte civile per chiunque ebbe un posto, anche modesto, nella vecchia struttura politica. Una legge che minaccia anche i protagonisti della «Primavera» del 1968, compreso Dubcek. E compreso Meciar, in modi ambigui, che andrebbero chiariti. Il nazionalismo slovacco è contro la «Lustrace», oltre che per una maggiore giustizia economica. Dunque ha ragione? Forse. Ma resta che anch'esso è inquinato da umori perversi. Per dire, nella sua ricerca di simboli anticechi, ha riesumato la figura di Monsignor Tiso, il capo delia Slovacchia filonazista, dopo lo smembramento del Paese deciso da Hitler. Filonazista e antisemita. Un po' com'è accaduto in Croazia, con la rivalutazione del fascista Pavelic, in odio agli aggressori serbi. Fantasmi del passato, che non promettono nulla di buono. Anche se la Cecoslovacchia resta fondamentalmente un Paese mite, antimilitarista, almeno secondo la leggenda letteraria del «buon soldato Svejk». Ma è anche il Paese di Kafka, dei poteri invisibili e inesorabili. Nessuno può prevedere che cosa verrà fuori da un simile miscuglio storico-politico-culturale. Forse non accadrà nulla, nulla di grave, ma l'Europa deve prepararsi a un nuovo, inquietante, «test». Aldo Rizzo izoj