ANGREA CHENIER di Armando Caruso

ANGREA CHENIER LIRICA ANGREA CHENIER Da venerdì 8 al Regio Dirige Angelo Campori ANDREA Chénier: «Sem io». Lidia Legraix: «Son io». «Viva la morte insiem». Si consuma così, con un acuto a due voci, il dramma terreno del poeta più amato della lirica e dell'amata Maddalena di Coigny, che, sotto falso nome, sceglie di morire con lui. «Andrea Chénier», l'opera più nota e più bella insieme con «Fedora» di Umberto Giordano, che non poche «querelles» suscitò tra i fautori del romanticismo e del verismo attribuito in senso pieno al melodramma di Giordano. In realtà, l'opera che va in scena al Teatro Regio l'8 maggio alle 20,30 diretta da Angelo Campori e non più da Bruno Bartoletti, costretto a rinunciare per ragioni di salute, è figlia di quel verismo sentimentale, ricco cioè di tutti gli ingredienti del romanticismo ottocentesco e che dal romanticismo è generato senza complessi denigratori o volgarità di stampo musicale. «Andrea Chénier» è opera nobile, come nobili sono alcune opere pucciniane tanto amate dai' direttori d'orchestra d'una volta che imponevano ai loro cantanti una vocalità elegante ma vigorosa, ricca di accenti romantici, mai, per nessuna ragione, volgari e gridati. L'«Andrea Chénier» del Regio è una produzione del Maggio Musicale fiorentino, con alcune variazioni che concernono il cast: nei panni del poeta non ci sarà più Kristian Johansson, bensì Giorgio Merighi, che affronta una parte difficile; in quelli di Maddalena non ci sarà Giovanna Casolla, ma la più giovane Ilaria Galgani che fu doppio nei due Don Carlos/Don Carlo nell'inaugurazione di due anni fa; nel ruolo di Carlo Gerard ascolteremo il possente Silvano Carroli, cui subentrerà nelle ultime recite Renato Bruson. Le scene ed i costumi sono di Pierluigi Samaritani. E' curioso pensare come la fortuna di Umberto Giordano scaturì da alcune critiche favorevoli del compositore Gabriel Faure, allora critico del «Figaro» in vacanza a Pallanza e poi a Stresa, sul lago Maggiore, dove casualmente su un battello in- contro proprio Giordano a cui nel 1905 aveva dedicato un articolo assai elogiativo in occasione della rappresentazioni di tre sue opere: «Siberia», «Fedora» e «Chénier», appunto, quasi un festival giordaniano. Espressioni di consenso erano venute anche da D'Indy, Massenet e Saint-Saéns e dallo stesso Gustav Mahler che fin dal 1897 aveva diretto una memorabile edizione di «Chénier» allo Stadttheater di Amburgo e nel '900 quella di «Fedora» all'Hofoper di Vienna. Via via, l'opera musicale di Giordano s'è rafforzata, mantenendo intatta la sua forza d'attrazione. Angelo Campori, che il melodramma italiano conosce bene, avverte: «Con Giordano siamo nel difficile. Aveva fama di poca nobiltà, anche se l'opera si svolge in pieno '700.1 rischi di cadere nel banale e di scivolare nel facile declamato veristico sono in agguato ad ogni battuta, ma non dobbiamo pensare che tutto sia più difficile della sua vera natura. Si parla molto di partitura straussiana. Io non ne sono così certo. Sono del parere che non si tratti di un'opera sopraffina, ma ci sono accenti, impeti che hanno bisogno di tutta la nostra umiltà e attenzione. L'unica cosa che mi preoccupa è evitare, appunto, i frastuoni, deleteri in ogni opera». Campori, longobardo giramondo, come ama definirsi, dice chiaro e tondo: «Abbiamo avuto il tempo per provare. Se qualcosa non andrà bene sarà prima di tutto colpa mia o del destino». Ricorda con piacere l'anno trascorso come sostituto di Bernstein e i suoi insegnamenti: «Dirigeva con il corpo, tutte le sue fibre vibravano come corde di violino. Era un musicista di straordinaria natura. Al piano con lui ho trascorso ore e ore a preparare "Fidelio". Amava il Puccini di Tosca, il Verdi del Requiem e del Falstaff. Con lui ho cominciato ad approfondire i problemi della grande musica. Non amava che si parlasse di lui solo come l'autore di "West Side Story"». Armando Caruso Nellafolo tuta scena delle/uvre dell' "Andrea ( 'Iténier» al debili lo interdi S al Ilenia

Luoghi citati: Amburgo, Pallanza, Siberia, Stresa, Vienna