6..

BIAGI: QUELLA COTOLETTA AL SAVINI CON FAULKNER BIAGI: QUELLA COTOLETTA AL SAVINI CON FAULKNER mT°\J MILANO M « AMICIA Brooks Broli 1 thers e orologio d'oro I l Patek Philippe, Enzo a ;i Biagi scrive a mano I l'ennesimo articolo. I I Riempie di colpo quatfl I tro foglietti a righe V J rosse per stenografia e ^Lr/ fa una sola cancellatura: toglie un articolo. «Meno parole si usano e meglio è», dice. E' nel suo ufficio in Galleria sopra la Libreria Rizzoli. Ha accanto un barattolo di mentine, un acquerello di Fellini con auguri alla «banda Biagi», una foto con dedica dell'inventore dell'antipolio, Albert Sabin, e un disegno di Altan con un fumetto: «Siamo al punto che si deve scomodare Biagi per mettere in riga un ometto come il Cossiga». Ha quasi 72 anni («Mancano pochi minuti al nove agosto»). Ha appena pubblicato l'ennesimo libro, forse il quarantesimo. Si intitola Incontri e addii (Rizzoli, pp. 432, L. 30.000): «E' una riedizione di "Mille camere" e "Senza dire arriveaerci". C'è un po' della mia vita». Tanti alberghi, tantissimi personaggi e tantissime storie. Fra le pagine più riuscite, quelle sulla Dublino di Joyce, su Jana, la figlia della Milena amata da Kafka, e su Antonietta Pepe, contadina del Sud. Che cosa l'ha emozionata di più nei suoi viaggi? Forse il soffio della balena morente, e le sirene quando annunciano il bombardamento aereo. Ma più del viaggio mi piace l'idea di partire. Chissà cosa mi capita, penso. Me lo dico ogni mattina anche a casa, e da quando ho quattro by-pass il piacere è ancora maggiore. Alla Harley Clinic di Londra arrivava tutte le mattine un furgone e scaricava le bombole di ossigeno. Ecco un rumore che ricordo. L'esperienza più avventurosa? All'Hotel Duna di Budapest c'era un giornalista austriaco di grande famiglia che chiamavamo il Barone. Una sera, noi della troupe televisiva gli sostituimmo il numero sulla porta della camera con la scritta del cesso. La notte fu tutto un bussare, e il Barone si arrabbiò molto: un po' di goliardia la ricordo meglio. Erano anche tempi scuri: toglievamo le lampadine, facevamo scorrere forte l'acqua dal rubinetto, tenevamo la radio ad alto volume. C'era la leggenda delle spie, dei microfoni segreti. Un giorno un altezzoso politico dell'Est mi disse: Dobbiamo vederci per uno scambio di idee. Gli risposi: Scusi, lei che cosa ci mette?. Lei scrive spesso degli odori colti qua e là nel mondo. Quali le restano di più dentro? La birra a Praga, le candele in Svezia, la terra bagnata a Pianacelo, il mio paese. Se uno è bravo come Simenon, da un odore immagina un romanzo. Le donne riempiono più di metà del suo libro. Chi è la più memorabile? La più bella: una commessa che vendeva pietre antiche a Cartagena in Colombia e canticchiava «Una noche con tigo». La segnalai a Pietro Garinei per una rivista. Io non sono un amatore d'e¬ sportazione: l'insidia è la figlia della portinaia, non la diva, che per me è come la Gardesana, tutta curve. Ricordo Josephine Baker al Manzoni di Bologna il giorno dell'attentato a Togliatti. A un uomo che la guardava col binocolo disse dal palcoscenico: Signore, conservi le sue illusioni. Ricordo Michèle Morgan: una strana delusione, a parlarle. Era anche monarchica. Io me la rivedevo col basco nero nel «Porto delle nebbie» e l'impermeabile bianco; il duro Jean Gabin le diceva: Hai dei begli occhi, lo sai?. «Piove come in un film americano»: il suo libro comincia così. Un bell'attacco, ironico. Il racconto prosegue proprio come un film: un paesaggio, una casa, una stanza, un cassetto, un pacco di cartoline, e comincia la storia. Ha contato molto il cinema nel suo modo di scrivere? Ha cambiato tutto. Ricordo Dos Passos, il suo «42° parallelo». Siamo condizionati, si scrive per stacchi e sequenze rapide. Le intervista sono come le sceneggiature. Quali letture ama di più? Contano le cose lette da ragazzo. Nella biblioteca di mia nonna, maestra elementare per 53 anni nello stesso villaggio (insegnava anche il ricamo alle bambine), ho letto a sei anni la Bibbia e «I miserabili»: una bella confusione. Probabilmente mi è rimasta. Ho amato «Gente di Dublino» di Joyce, i racconti di Maupassant che un mio compagno di scuola rubava nella biblioteca dello zio, le edizioni Barion che costavano quattro lire sotto il Portico della Morte a Bologna. Ho amato i russi, gli americani: Saroyan, Hemingway, Caldwell. All'hotel Caravelle di Saigon incontrai Steinbeck: provai un grande sbigottimento. Ero stato molto suggestionato da «Uomini e topi» e da «Furore». C'era anche un altro inviato speciale: si chiamava Dayan. Con William Faulkner sono stato insieme qui a Milano. Portava ima giacca con le toppe ai gomiti e mangiammo una cotoletta al Savini. Qualcuno gli chiese: Che cosa le serve per la sua ispirazione? Una cassa di whisky e un po' di pace, rispose. Un giorno andai a Oxford nel Mississippi per vedere la sua casa e sulla porta mi venne incontro un negro con un mastello pieno di pannocchie. Sulla sua tomba abbandonata c'era scritto: «Amato, vai con Dio». Claudio Al tarocca Incontri e addii: «L'emozione più forte? Il soffio della balena morente» Enzo Biagi: nel suo ultimo libro tanti alberghi, storie e personaggi. Sotto: lo scrittore William Faulkner