JAPRISOT ALLA GUERRA di Giovanni Bogliolo

JAPRISOT ALLA GUERRA JAPRISOT ALLA GUERRA Scoperta di un maestro del noir IN Francia, quella del poliziesco - del polar, come tutti, con sempre minor di'grezzo, ormai lo chiamano - è una delle più vitali scuole di romanzo, ma ai romanzieri l'averla frequentata continua ad essere rinfacciato come un vergognoso peccato d'origine. Per anni, a Simenon non sono bastate le cauzioni entusiastiche di scrittori come Gide e Henry Miller; Frédéric Dard si è dovuto rassegnare ad essere la scialba controfigura del suo pseudonimo San Antonio; della generazione successiva, l'unico che sembra avviato a farsi accogliere senza troppe remore e diffidenze nei ranghi della letteratura «alta» è Jean Vautrin. Il caso Japrisot è invece ancora sotto giudizio. E curiosamente, perché questa stessa promozione che adesso una serie di libri di qualità non basta a procurargli gli era stata accordata con tutti gli elogi nel '58, quando si chiamava Jean-Baptiste Rossi, era un rital diciassettenne cresciuto a Marsiglia in una famiglia di immigrati ciociari ed era riuscito a pubblicare da Robert Laffont Les mal-partis, una tenera storia d'amore tra un liceale e una suora. Subito dopo, i casi della vita lo hanno portato ad allontanarsi progressivamente dalla letteratura, prima traducendo Salinger, poi redigendo testi pubblicitari, infine scrivendo adattamenti e sceneggiature per il cinema. Quando, nel '62, vi si è riaccostato, lo ha fatto dalla porta di servizio del poliziesco e, per non sciupare la memoria ancora viva dell'esordio, ha anagrammato il suo nome in Sébastien Japrisot. Solo che questo secondo debutto ha fatto più scalpore del primo: Piège pour Centdrillon ha vinto il Grand Prix de la littérature policière ed è stato portato sullo schermo da Cayatte, Compartiment tueurs è diventato un film di Costa-Gavras, Adieu l'ami e La course du lièvre à travers les champs, scritti direttamente per lo schermo, sono stati realizzati l'uno da Jean Herman - il futuro Jean Vautrin - e l'altro da René Clément. Nel giro di pochi anni Japrisot è diventato uno dei più celebrati autori di polars, sia letterari che cinematografici e quando ha provato a scuotersi di dosso questa fama meritata ma limitativa, costruendo su un intreccio poliziesco dei romanz\ di più profonde risonanze e di più lavorata scrittura, ha collezionato confortanti, ma mai decisive attestazioni di stima. Per almeno due volte - la prima nel '67 con La dame dans l'auto avec des lunettes et un fusti., l'altra nel '77, con L'été meurtrìer, una tragedia in forma di romanzo popolare che non avevo mancato di segnalare ai lettori di questo giornale - il consenso dei letterati è stato così convinto e diffuso da sembrare una definitiva cooptazione. Ma quello di «giallista» è un marchio indelebile e anche adesso, nel coro degli elogi che ha salutato il suo ultimo e forse più bel romanzo, non è difficile cogliere un poco dello stupore e della condiscendenza che di solito si riservano agli outsider. In realtà, del polar, in Una lunga domenica di passioni, è rimasto soltanto l'impianto, che è quello dell'indagine, della lenta, progressiva e fino all'ultimo incerta scoperta della verità. A condurre questa inchiesta però non è il solito investigatore tanto geniale quanto bizzarro, ma una ragazza caparbia e appassionata a cui un incidente ha tolto l'uso delle gambe e la guerra - la cosidetta Grande Guerra ha rubato il fidanzato. La verità da scoprire è in un oscuro episodio di questa guerra, nascosta dietro una cortina di bugie e di silenzi che, ogni volta che si dirada, lascia intravedere soltanto ignominie e crudeltà: cinque poveri ragazzi che, per leggerezza, calcolo o disperazione, si sono sparati a una mano e che Pétain ha mandato legati e inebetiti a morire, anziché davanti al plotone d'esecuzione, nella terra di nessuno che divideva le trincee francesi da quelle tedesche sul fronte della Piccardia. Ciascuno di essi ha delle radici, un passato, una storia, così come una storia hanno gli ufficiali che li hanno curati e quelli che li hanno condannati, i commilitoni che li hanno scortati fino al loro destino, quelli che li hanno consolati e aiutati, quelli che ne hanno affrettato la fine. Per ricostruire gli ultimi istanti del suo Manech, Mathilde deve frugare in tutte queste storie e non darsi pace fino a quando esse non combaciano, perché la sua sola speranza di trovarlo vivo si rifugia proprio nelle falle e nelle sovrapposizioni delle tessere del complesso mosaico. L'inchiesta è dunque il filo che lega tante vicende differenti che possono intrecciarsi, giustapporsi o scorrere parallele, ma che, in un punto almeno del loro tortuoso percorso, si sono trovate, uno dei primi giorni del 1917, ad attraversare quella striscia di terra esposta al fuoco dei due contendenti. Ciascuna porta un suo contributo di verità o di menzogna, avvicina o allontana la soluzione del mistero, offre angoscia, sollievo, orrore o rassegnazione, affievolisce o riaccende illusioni e speranze. Soprattutto - poiché Japrisot è un inesauribile raccontatore - ciascuna porta in primo piano personaggi di contorno e non li abbandona fino a quando, ben al di là delle necessità dell'intreccio, non hanno messo a nudo tutta quanta la loro umanità. E' una folla variopinta di falegnami, pescatori, contadini, bottegai, ex pugili, magnaccia, librai, investigatori privati, vedove, reduci e disertori, tutti quanti segnati, gli innocenti come i colpevoli, dalla stessa catastrofe, in cui spiccano, come sempre nei romanzi di Japrisot, le figure femminili: la moglie del caporale impotente che accetta di tradirlo col suo migliore amico per dargli il figlio che gli farà ottenere il congedo; la prostituta che, uno dopo l'altro, assassina tutti i militari che hanno avuto responsabilità nella morte del suo uomo e finisce, fiera e vendicata, sulla ghigliottina; soprattutto la piccola, indomita Mathilde, che per sette lunghi anni non smetterà di cercare tra i vivi il suo fidanzato caduto. Sono i volti molteplici e contraddittori che la vita ci mostra con generosa inventiva, ma che solo pochi romanzi - e nessuno poliziesco - sanno offrire con la stessa esuberante dovizia e la stessa affettuosa naturalezza. Giovanni Bogliolo Sébastien Japrisot Una lunga domenica di passioni trad. di Simona Martini Vigezzi Baldini & Castoldi, pp. 228, L. 26.000

Luoghi citati: Francia, Marsiglia