Primorac: qui torno alla vita

Primorac: qui torno alla vita Basket, l'ex nazionale jugoslavo fuggito da Sarajevo è a Torino Primorac: qui torno alla vita Ospite delVAuxilium, cerca un ingaggio «Sarajevo era un inferno. Con la mia famiglia me ne stavo asserragliato in casa e dalle finestre vedevo la gente cadere sotto i colpi dei cecchini. Così siamo scappati». Chi parla è Mario Primorac, 31 anni, ex nazionale jugoslavo e per 13 stagioni giocatore del Bosna Sarajevo. Ora è ospite dell'Auxilium Robe di Kappa, che ha accolto l'invito dell'associazione International Basket Center di Bologna, offrendo vitto e alloggio al profugo bosniaco e alla sua famiglia. E intanto Primorac si allena insieme alla squadra di Danna, con la quale giovedì disputerà un'amichevole contro l'Università del Michigan (palasport di Collegno, alle 20,30). Per l'occasione dovrebbero indossare la maglia dell'Auxilium anche gli ex Vidili, Pessina e Morandotti. «Mi piacerebbe giocare con la Robe di Kappa nella prossima stagione - dice Primorac -. Sarebbe un modo per sdebitarmi con una società che sta facendo tantissimo per me e alla quale sono davvero grato». Ma l'Auxilium ha ancora un discorso aperto con Hurt e Magee, e comunque avrebbe bisogno soprattutto di un rimbalzista. Primorac, invece, è un buon tiratore e ottimo passatore, ma non ha gran peso sotto le plance malgrado i suoi 205 cm di altezza. «Qui la mia vita può ricominciare - aggiunge Primorac -. A Sarajevo io e mia moglie Sanga non riuscivamo più a trovare nemmeno pane e latte per le nostre figlie (Anga di appena 8 mesi e Mia di quasi 4 anni, ndr). Così abbiamo raccolto in due borse ciò che ci era rimasto e siamo andati all'aeroporto per scappare, ma lo scalo era bloccato e gli aerei non partivano. Così abbiamo raggiunto Belgrado in pullman e di lì siamo volati in Italia. Torino mi piace, io e San¬ ga abbiamo già imparato a orientarci e a spostarci con pullman e tram. I taxi non possiamo permetterceli: ci sono rimasti pochi soldi e non so fino a quando potremo tirare avanti». Primorac parla con grande dignità ma nelle sue parole traspare la preoccupazione per il futuro e l'angoscia per i parenti lasciati in patria. «Le linee telefoniche con Sarajevo sono interrotte - conclude -. Cerco di avere notizie dalla Jugoslavia guardando la tivù, ma non capisco l'italiano e dalle sole immagini sembra che nella mia città sia ormai impossibile vivere. E' terribile non poter far nulla, ma tornare laggiù sarebbe follia». Giorgio Vi berti