Devia splendida Lucia e Ranzani non delude

Devia splendida Lucia e Ranzoni non delude Alla Scala l'opera con regia di Pier'Alli Devia splendida Lucia e Ranzoni non delude 77 direttore ha sostituito Gavazzeni dopo l'abbandono delle polemiche MILANO. Grande successo della «Lucia di Lammermoor» rappresentata l'altra sera alla Scala. L'esecuzione possiede due punti di forza: la compagnia di canto e lo spettacolo, interamente progettato da Pier'Alli. La prova di Mariella Devia come protagonista è finita con una cascata di fiori riversata sul boccascena da un loggione entusiasta. Difficile, effettivamente, cantare meglio: sicurezza tecnica e bellezza di suono si fondono nella sua voce in una unità felicissima, davvero irresistibile per gli amanti del belcanto. Che non è una cosa futile e puramente edonistica: la Callas ha spiegato una volta per tutte che il gorgheggio acrobatico, se eseguito con intelligenza, costituisce un precipitato di valori storici, estetici, drammatici, psicologici, denso e pregnante come altri fenomeni, di solito ritenuti più importanti dagli storici della musica. La Devia mette l'intelligenza al servizio di una voce duttile, morbida, filante, che attraverso una tecnica di rara sottigliezza le permette di realizzare un'idea precisa del personaggio. La sua Lucia è lirica, più che drammatica, vive la catastrofe della pazzia, messa in moto da un amore impossibile, in un clima idealizzato e sognante, dove tutto si smorza e rifluisce nella dolcezza, nel brivido segreto, nella malinconia e nello stupore. Delle due possibilità che sempre si presentano all'interprete storicamente consapevole - guardare avanti verso il futuro o indietro verso il passato - la Devia sceglie, secondo me, la seconda. La sua Lucia è la sublimazione in chiave di romanticismo notturno, idillico e, vorrei dire, leopardiano, delle eroine serie di Rossini: non conosce ancora accenti di sconvolgimento preverdiano. Questa idea trova nelle scene, nei costumi e nella regia di Pier'Alli l'ambiente più consono. Le vedute scozzesi che si susseguono sul palcoscenico della Scala sono bellissime: l'idea di fondo è quella del gotico diroccato - ve- Mariella Devia trate, bifore, infilate di archi a sesto acuto - vestigia frammentarie di un mondo eroso dal tempo, come la mente di Lucia è minata dalla pazzia. Il tutto avvolto da luci brumali, e percorso dai colori cinerei dei costumi: rosa, azzurri, marroni, come emanazioni del grigio dominante. In questa cornice i personaggi si muovono con eleganza e sobrietà, non solo la Devia, ma anche il tenore Vincenzo La Scola che migliora sempre, ed ora affronta di slancio, con nobiltà ed eleganza, la parte difficilissima di Edgardo. A lui tocca la scena musicalmente più bella, nell'ultimo atto, e qui egli si impone con la tornitura e l'energia necessarie, appena intimidite dalla necessità di salire qua e là sui gradi più alti del registro acuto. Renato Bruson ha mostrato ancora la sua classe nella parte di Enrico e Ferruccio Furlanetto ha dato voce attendibile al personaggio minore di Raimondo. Lord Arturo era Mario Berti, Alisa Floriana Sovilla e Normanno Ernesto Gavazzi. Sul podio, al suo debutto scaligero, il giovane Stefano Ranzani, per la prima volta alle prese con questa partitura ultracelebre, se l'è cavata con onore nel difficilissimo compito di sostituire Gavazzeni. La sua concertazione è parsa pulita e garbata, attenta a valorizzare i colori dell'orchestra che Donizetti tratta con cura particolare: gli assoli del flauto e dell'arpa bastino come esempio. Ma, oltre la messa a fuoco dei particolari, Ranzani ha capito che nel melodramma italiano dell'800 il respiro drammatico vuole una continua elasticità di moto, e che solo dal rapporto ben calibrato tra strette e slarghi, corse e dilatazioni di tempo, scatenamenti furiosi e stupefatte oasi di canto il teatro acquista vita e coerenza. Così, nell'esecuzione non ci sono state cadute di tensione e questo pare di ottimo auspicio per ciò che Ranzani farà in futuro. Paolo Gallarati Mariella Devia

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