Nudi alla dieta

Nudi alla dieta Alla vigilia della giornata mondiale del naturismo: gli adoratori del sole tra sacrifìci e voglia di star bene Nudi alla dieta PER il 24 maggio è stata proclamata la Giornata mondiale del naturismo, e gli adoratori del sole si stanno preparando. E' l'occasione italiana per uscire dai ghetti, per diventare come gli altri. Se ne discute da mesi, si riscoprono le radici: preferibilmente nelle classiche notti buie e tempestose, quando i chierici del nudo, costretti dalla brutalità del clima a coprirsi almeno spalle e torace (mai altro, perché suonerebbe tradimento ai padri fondatori), incominciano a raccontare di eroici cali di mutande da parte di quel tal Bragagnin Alfredo da San Dona del Piave o del talaltro Camillo Quadro, detto Maciste, di Riva Trigoso. I nomi - è evidente - sono destinati a cambiar sempre, perché, come succede in tutte le fedi, ognuno ha l'ambizione di apparire come l'apostolo prediletto del Messia. Fatto sta che, in un Paese cattolico, senza tradizioni salutiste, pudibondo e mammone, mostrarsi nudo agli altri non è facile. Persino oggi che i muri sono crollati. II nostro primo nudista storico porta il nome di un insegnante di economia politica all'università di Milano, il professor Paoletti, che nel '33 decise di fare il gran/ salto. «La cosa non dispiacque a Mussolini», dice Daniele Agnoli, provveditore agli studi della provincia di Bolzano, 65 anni, sposato, due figli. «L'idea di vivere nudi a contatto con la natura aveva dentro di sé un che di eroico, l'uomo e gli elementi, che ben si confaceva ai miti del fascismo. Ma il duce degli italiani a quei tempi aveva dei problemi con la Chiesa. E preferì lasciar perdere». Chi invece non perse l'occasione fu Hitler, che in tal modo potè esibire fino in fondo il presunto primato ariano della bellezza e della salute. Il tempo dimostrò poi la sua follia, ma nell'anima tedesca rimase comunque il ricordo di quella specie di comunione tattile con la natura. E la tradizione, spenta dalla sconfitta, si è poi riaccesa subito dopo la guerra. «Oggi i tedeschi che si spogliano sono dodici milioni, un quarto della popolazione del vecchio Ovest» - dice Cari Dressen, rappresentante di macchine tessili di Mònchengladbach, vicepresidente della Federazione internazionale. «E sono dati parziali perché l'unione è ancora completata». Ma in Italia quanti sono gli adoratori del sole? Da dove vengono? E le cifre sono così importanti? A prima vista parrebbe proprio di no: si mormora di 1520 mila adepti. E sono già un'esagerazione. Conferma Agnoli, che è anche direttore della rivista Naturismo: «Da noi si preferisce la guèpière. C'è il gusto per ciò che è equivoco, nascosto. Difficile che chi sbircia un bikini sbirci anche la natura. All'estero ci sfottono: siete tutti guardoni o finocchi. Dovremmo aprire un po' gli occhi. E non è una questione di sottosviluppo, di tradizione cattolica o di eccessivi pudori: semplicemente non siamo seri». Se tutto ciò è vero, Torino smentisce la sua fama di città diabolica, dedita a quelle pratiche peccaminose che hanno concentrato in Curia ben sei dei diciannove esorcisti presenti in tutta Italia. E' infatti sede dell'Unione naturisti italiani (presidente Tom Operti, commercialista sessantenne) e conta 700 famiglie iscritte, vicesindaco socialista compreso, che pagano regolarmente l'associazione. I bollini rappresentano solo una goccia nel mare: in Germania sono 100 mila, a fronte di quei 12 milioni di praticanti. In Francia sono 80 mila, in Olanda 70 mila, in Inghilterra 40 mila, in Svizzera 20 mila. Noi, con i nostri 4 mila totali, battiamo solo la Spagna che ne ha 3 mila. Ed abbiamo una concentrazione nordica, di frontiera: Torino in testa con tradizioni francesi, seguita dall'austro-tedesca Milano, dalla Trieste mitteleuropea e da una Bologna che guarda soprattutto alle coste dalmate. Roma infine mette insieme 60 famiglie, quanto tutto il Sud. Di solito si incomincia così: un viaggio a Bali o in un isolotto sperduto delle Maldive. Poi l'imbarazzo di celarsi in un costume mentre gli altri ne sono privi. Ed il sentirsi addosso gli sguardi curiosi di un mondo alla rovescia. Allora il maschio fa agli dei della spiaggia e dell'oceano una prima, virtuosissima, concessione: un tanga floreale pagato a peso d'oro nello shop dell'albergo ed i seni pallidi della sua compagna. Inevitabilmente seguiti da un dolorosissimo cache-sex addenta glutei che, per il secondo giorno, rappresenta il limite estremo della mediazione col comune senso del pudore. Infine via quell'accidenti di mutanda che sta trasformando una vacanza in una fiera di complessi, specialmente nei confronti di quel ragioniere di Cuneo che, a tavola, tratta con meno sussiego persino il boy degli aperitivi. Le varianti sono: crociera in barca con amici disinibiti, ex appartenenza alla generazione dei figli dei fiori, proprietari di terrazzini appartati in overdose da cemento. La morale però è sempre una sola. Il costume non lo si rimette più. Dice Operti: «Fare un bagno nudi non è come farlo vestiti. E poi: quando esci dall'acqua ti guardi intorno e ti accorgi che nessuno pensa a te. Che improvvisamente sono caduti i tabù e che le vergogne sono pure fantasie. In parole povere: l'occhio è in assuefazione, non ha più bisogno di immaginare ciò che non vede, e gli altri sensi seguono, si tranquillizzano. Tutto diventa meno conflittuale tra te e il sesso. I primi ad accorgersene sono i bambini: vedono soddisfatte curiosità che, se represse o mal indirizzate, potrebbero sfociare in frustranti insicurezze». Fin qui tutto bene. Questa è filosofia: la si può accettare o no. Ma, ammesso che sia quella desiderata, dove è possibile applicarla? C'è una «via nazionale» alla nudità, frastagliata come la nostra politica. E ci sono due filoni internazionali: quello tedesco e quello francese. L'uno spartano, sveglia alle 6, ginnastica, yogurt, frutta. L'altro vagamente edonista, sveglia quando vuoi, ginnastica se ti pare, ostriche, champagne e facciamoci i fatti nostri. La differenza balza agli occhi. La Germania nuda viene da lontano, ha bisogno di regole e di inquadramento, non fuma, non beve alcolici, ha orari in cui si può fare questo e non si può fare quello ed ha la vigorosa tendenza, quando espatria al sole, a sovrapporsi, a trasformare tutto in una piccola Prussia: pezzi di costa dalmata, ad esempio, e grandi fette di Corsica e di Spagna recano la sua impronta e sono ge¬ stite direttamente da severissimi vegetariani di Hannover o di Brema. La Francia svestita, invece, è più pigra, gioiosa, menefreghista, tutta tesa al riposo dello spirito, non alla sua costruzione. Mangia, beve e dorme. Guarda il mare e passeggia sulle dune. Non si preoccupa dei raggi ultravioletti, delle teorie del sole che uccide la pelle, dei comedoni o delle rughe. E soprattutto non si interroga mai. I perché vengono rimandati ad orario di ufficio. I grandi quesiti cosmici - chi siamo, dove andiamo, cosa facciamo - vengono sistemati in altra parte dell'esistenza, quella vestita o, come si dice su quelle spiagge, textile. E Tltalia? L'Italia è divisa, come sempre. Sentiamo Operti: «A Torino, la capitale morale del naturismo, ci sono Le Betulle. Gente tranquilla, famigliole per bene, tanta civiltà, molto lasciar vivere, nessuna regola. Poi c'è Bologna [Ca' Le Scope): medicina naturale, un po' di fanatismo vegetariano ed igienista, niente sigarette, vessilli pacifisti sotto i quali marciare, qualche divieto di troppo forse in reazione alla città più grassa e rossa della penisola. Quindi Bolzano (poca roba: solo sabato e domenica, tra amici, un po' come andare al bar); Pavia (7 nudisti del Po): un barcone squinternato al Ponte della Becca, telefonare prima e sperare in Dio, perché non sempre il nocchiero è disposto a traghettarti, dipende da come gli gira la luna. Ed infine Milano, altra federazione (l'Anita), nessuna sede, un vecchio naturista, l'ottantenne Ghirardelli, che vuole solo continuare a divertirsi col suo giocattolo. Spiagge? Due: la prima a Lido di Dante a Ravenna, ma circondata da non naturisti guardoni e fastidiosi. E la seconda a Capo Rizzuto, in provincia di Catanzaro: peccato che sia in capo al mondo». Di più non dice. Ma il profumo' di lotte intestine, di minicongiure, di invidie, di tutte quelle passioni cioè che agitano regolarmente i partitini (in questo caso soprattutto in funzione antisabauda) si leva intenso. E fa sorridere all'estero. «Siete quattro gatti e litigate sempre. Non siete nemmeno capaci di sfruttare la nostra marea nuda che, persa la Jugoslavia per la guerra, quest'anno si rovescerà in Spagna conferma Cari Dressen da Mònchengladbach -. E non tirate fuori il cattolicesimo: anch'io sono cattolico. E amo l'Italia, Non avrei dubbi su dove andare quest'estate. Purtroppo però la parte ufficiale del vostro Paese è bigotta, la mentalità è ristretta e per quei pochi che operano bene ci sono solo bastoni tra le ruote». Ma è davvero così? Un provveditore agli studi ed un commercialista lo saprebbero. Le loro funzioni, i loro affari ne avrebbero, in un modo o nell'altro, sofferto. Risponde Agnoli: «Guai? No, nessuno. Qualcuno, semmai, ha seguito il mio esempio». Conferma Operti: «Non ho; perso un solo cliente, anzi». «Questo non vuol dire che la. nostra società non vada miglio-; rata - conclude Agnoli -. La sessualità è entrata a scuola? Bene.' Peccato però che sia usata solo come prevenzione. Quando passeremo alla fase successiva, all'educazione? Quando il naturismo diventerà materia d'insegnamento? E' amore, demolizione della curiosità morbosa, è ecologia...». Vero? Può darsi. In ogni caso il buco nell'ozono creerà un bel problema di coscienza al naturista perfetto: adoratore o nemico del sole? Chissà. Chi l'ha detto che per abbronzarsi non serve il costume, ma ci vuole lo spray? Piero So ria Italiani, ultimi della classe: «Siete timidi eguardoni»