Walesa: voglio poteri speciali di Aldo Baquis

Gerusalemme, vade retro Pepsi ISRAELE Ma la multinazionale accusa: la concorrenza strumentalizza i religiosi Gerusalemme, vade retro Pepsi Rabbino la boicotta: «F molto meglio la Coca» TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Da mesi, in Israele si respirava aria di guerra imminente tra la Coca Cola, presente da sempre sul mercato, e la Pepsi Cola che, dopo essersi a lungo arresa alle rigide regole del boicottaggio arabo verso Israele, ha di recente deciso di cambiare rotta e penetrare in forze nello Stato ebraico. E ieri, mentre i muri delle città e le pagine dei settimanali erano tappezzati da una dispendiosa campagna pubblicitaria della «Coca», la guerra è scoppiata. A 5 giorni dall'inizio della produzione in Israele, la «Pepsi» ha denunciato il «clima di terrore» instauratosi a Bene Braq (un sobborgo ultraortodosso presso Tel Aviv, dove si trova lo stabilimento centrale della Coca Cola) contro i negozianti che avevano osato esporre la Pepsi Cola. Aharon Feldman, un dirigente della Pepsi in Israele, ha riferito che emissari del rabbino capo di Bene Braq, Moshe Landau, hanno minacciato i negozianti trovati in possesso della nuova bibita di ritirare loro il certificato di «kashrut», che attesta che tutti i prodotti in vendita sono conformi alle più strette regole dell'ortodossia ebraica. Senza quel certificato, gli esercizi sarebbero condannati al fallimento. In quel quartiere, la Coca Cola ha giocato d'anticipo invitando alcuni mesi fa - lo stesso rabbino Landau a compiere approfondite ispezioni nei suoi stabilimenti in Europa e in Usa e a visitare remote piantagioni del¬ l'Estremo Oriente, dove vengono coltivate piante necessarie alla produzione della bibita. Infine, a Landau è stata rivelata la «formula segreta» della bevanda, un privilegio forse senza precedenti da parte della multinazionale. L'operazione è stata coronata da successo e da allora gli ultraortodossi di Bene Braq sono finalmente autorizzati a bere la Coca Cola. A Feldman, tuttavia, la campagna intimidatoria avviata dal rabbino Landau (figlio di una delle più stimate e compiante autorità morali degli ortodossi israeliani) è apparsa sleale. «Mi sembra - ha detto - che egli faccia uso di prerogative rabbiniche a fini bassamente commerciali». Feldman ha ricordato infatti che la Pepsi è stata già approvata sia dal rabbinato d'Israele sia dal «badatz», un Consiglio ristretto di rabbini ultraortodossi. Con l'approssimarsi dell'estate, la guerra tra le due bibite è destinata a subire un inasprimento anche nel settore laico del Paese, quello che decreterà in definitiva il vincitore della competizione. La Pepsi è penalizzata dal fatto di aver per anni ignorato il mercato israeliano per non irritare i Paesi arabi. La stampa locale ha già tacciato di «cinismo e ipocrisia» la recente affermazione di un dirigente americano della Pepsi, giunto in Israele per l'inaugurazione di due stabilimenti: «Noi - aveva detto - abbiamo sempre sentito un profondo obbligo morale verso lo Stato ebraico». Secondo il quotidiano Haaretz, con la penetrazione in Israele la Pepsi si propone un altro obiettivo, forse ancora più importante: la normalizzazione delle relazioni con le organizzazioni ebraiche in Usa. Un segno del disgelo lo si è avuto nell'aprile scorso quando la società ha patrocinato una serata di beneficenza della Lega ebraica. Aldo Baquis

Persone citate: Bene Braq, Feldman, Landau, Moshe Landau